I Piani Individuali di Risparmio (PIR) sono stati progettati per canalizzare l’accumulo privato nella direzione delle piccole e medie imprese italiane, rafforzando la struttura produttiva nazionale. Questa misura, sostenuta dal legislatore con la Legge di Bilancio 2017, prende spunto da analoghe iniziative europee, ponendo al centro l’interesse per la crescita strutturale dell’economia reale. Obiettivi primari sono l’incentivo alla capitalizzazione delle imprese e la promozione di investimenti a medio-lungo termine, cercando di colmare lo storico squilibrio tra propensione al risparmio e limitata diversificazione degli investimenti finanziari in Italia.
Il quadro normativo che disciplina questi strumenti ha subito frequenti aggiornamenti. Inizialmente con un’impostazione più restrittiva, la regolamentazione si è progressivamente modificata per rispondere alle esigenze sia dei risparmiatori sia del mercato, ampliando la platea degli strumenti e innalzando i limiti di investimento e titolarità. Nell’ultimo periodo, per effetto di interventi normativi quali il cosiddetto "Decreto Anticipi" e la Legge di Bilancio 2021, sono state introdotte importanti novità, come l’aumento nel numero di piani sottoscrivibili per persona fisica e l’estensione ad ambiti d’investimento più ampi.
Questi strumenti si configurano come veicoli di investimento pensati per indirizzare la raccolta del risparmio individuale verso aziende italiane o europee, con stabile organizzazione in Italia, specialmente quelle di dimensioni medio-piccole. Essi permettono ai sottoscrittori di costruire un portafoglio finanziario regolamentato, in grado di generare rendimenti sfruttando asset come azioni, obbligazioni, ETF e, in alcune versioni, anche strumenti di credito.
Le forme assunte possono essere eterogenee e includono principalmente:
Destinati esclusivamente a persone fisiche, i piani prevedono il rispetto di requisiti di residenza e l’impossibilità di co-intestazione, dettagli che ne garantiscono la personalizzazione e la tracciabilità per ogni investitore.
Uno degli elementi distintivi riguarda le regole percentuali imposte nella composizione del portafoglio, che assicurano la concentrazione su imprese italiane o assimilate, incentivandone lo sviluppo. La varietà dei prodotti utilizzabili all’interno di questi piani consente un certo livello di diversificazione, pur restando ancorata alle restrizioni normative vigenti.
Dal punto di vista amministrativo, la sottoscrizione avviene attraverso intermediari autorizzati (banche, società di gestione del risparmio, compagnie assicurative), i quali garantiscono la conformità del prodotto alle prescrizioni di legge e la corretta gestione degli adempimenti fiscali. Ulteriori specifiche riguardano l’investimento minimo e massimo annuale e complessivo, oltre all’orizzonte temporale vincolante necessario per beneficiare dei potenziali vantaggi fiscali.
I PIR sono quindi un’opzione riservata ai risparmiatori con profilo individuale e obiettivi orientati al medio-lungo termine, offrendo opportunità diverse da quelle riconosciute ai tradizionali strumenti di risparmio gestito.
La struttura dei PIR è fondata su una serie di regole precise che ne determinano la composizione e i meccanismi operativi. Almeno il 70% del patrimonio deve essere destinato a strumenti finanziari emessi da imprese aventi sede legale in Italia oppure in Stati membri dello Spazio Economico Europeo con stabile organizzazione nel territorio italiano. All’interno di questa quota, una percentuale deve obbligatoriamente essere veicolata verso aziende fuori dai principali indici italiani, incrementando il sostegno a realtà di medie e piccole dimensioni.
Le modalità di sottoscrizione si articolano tra percorsi completamente gestiti e soluzioni "fai-da-te". Nel primo caso, la banca o la società di gestione si occupa, per conto del cliente, di comporre il portafoglio osservando tutte le prescrizioni; in alternativa, l’investitore può costruire autonomamente la propria allocazione tramite apposito conto titoli presso un intermediario abilitato, avendo cura di rispettare le percentuali richieste dalla normativa.
Nel dettaglio, i limiti dimensionali previsti sono risultanti da periodiche revisioni regolatorie: il limite massimo di versamenti annui e la soglia complessiva differiscono tra le versioni ordinarie e quelle alternative, mentre la soglia minima di ingresso nei piani è accessibile, in generale, anche a piccoli investitori. In entrambi i casi, il rispetto di queste soglie è essenziale per mantenere la qualifica fiscale agevolata.
Durante la fase di investimento, ogni PIR è soggetto a monitoraggio costante da parte dell’intermediario, per garantire il rispetto della composizione del portafoglio e la conservazione dei privilegi fiscali. Eventuali variazioni nella detenzione degli asset devono essere comunicate e, se necessario, riequilibrate per non incorrere nella decadenza dei benefici. Ulteriormente, la legge consente il mantenimento dell’agevolazione anche nel caso in cui sia necessario liquidare un investimento prima della scadenza, a patto che la somma venga reimpiegata in strumenti equivalenti entro 90 giorni.
La distinzione principale tra le due tipologie si fonda sui limiti di investimento, target di risparmiatori e composizione degli asset. I PIR ordinari sono accessibili a una vasta platea di investitori e presentano vincoli su orizzonte temporale e ammontare delle somme investibili. I limiti annui si attestano attualmente su 40.000 euro e il complessivo non può superare i 200.000 euro. All’interno del portafoglio, almeno il 70% deve essere investito in strumenti finanziari italiani o di società aventi sede in Europa ma operanti in Italia, con quote riservate a società non comprese nei principali indici.
PIR alternativi sono invece introdotti per andare incontro alle esigenze di investitori istituzionali o soggetti con patrimoni significativi: il massimale annuo raggiunge i 300.000 euro mentre la soglia decennale sale a 1,5 milioni di euro. La struttura investibile comprende strumenti meno liquidi, quali private equity, fondi chiusi, attività creditizie e prestiti alle PMI, accentuando complessità e volatilità del prodotto.
Un elemento distintivo dei PIR alternativi riguarda la concentrazione di investimento: almeno il 70% deve essere detenuto in imprese escluse dagli indici FTSE MIB e FTSE Mid Cap, stimolando così la crescita di aziende minori. I limiti per singolo emittente risultano più flessibili, passando dal 10% degli ordinari al 20% nelle versioni alternative.
Riassumendo:
L’attrattività dei piani individuali di risparmio risiede nei benefici fiscali previsti dalla normativa specifica. I rendimenti derivanti da investimenti conformi, se mantenuti per almeno cinque anni, sono totalmente esenti dall’imposta del 26% su plusvalenze, dividendi e interessi, creando così un vantaggio diretto sulle performance nette. In aggiunta, gli importi detenuti nei PIR non rientrano né nel calcolo per l’imposta di successione né in quella sulle donazioni, una peculiarità che li distingue rispetto alla maggior parte dei prodotti finanziari.
I vantaggi fiscali sono subordinati al rispetto di requisiti chiari e stringenti:
Le disposizioni normative sui PIR prevedono vincoli precisi nella composizione del portafoglio e nei limiti d’investimento. Almeno il 70% delle somme versate deve essere investito in strumenti riconducibili a imprese italiane o europee, con sedi operative in Italia, garantendo un focus netto sul rafforzamento dell’economia nazionale.
La normativa impone ulteriore suddivisione all’interno di tale quota:
Sono previsti limiti alla concentrazione: su ciascun emittente, pubblico o privato, non è possibile investire oltre il 10% del totale del piano (20% per i PIR alternativi). Inoltre, strumenti liquidi come conti correnti e depositi non possono insieme superare il 30% dell’investimento.
I tetti annuali e complessivi sono distinti tra ordinari e alternativi. Per i primi, i versamenti annui non devono eccedere 40.000 euro, mentre il massimo investibile a vita è 200.000 euro. Per i secondi, il limite annuale sale a 300.000 euro e quello decennale raggiunge 1,5 milioni di euro.
La predisposizione di una strategia per i piani individuali di risparmio richiede attenzione agli equilibri tra rischio e rendimento, nonché all’orizzonte temporale vincolante tipico di questa soluzione. Una delle scelte principali riguarda il bilanciamento tra asset azionari e obbligazionari presenti all’interno del portafoglio, con preferenza per titoli di società innovative, quotate fuori dai maggiori indici, e strumenti obbligazionari corporate a breve o medio termine.
Un approccio strutturato prevede la diversificazione su più categorie di strumenti finanziari:
L’applicazione pratica dei piani individuali di risparmio può avvenire attraverso soluzioni preconfezionate o tramite la costruzione autonoma del portafoglio. Esistono due principali vie operative: affidare la gestione a un intermediario finanziario oppure selezionare personalmente i titoli all’interno di un conto titoli dedicato.
Vediamo con esempi pratici e concreti come investire nei Pir con queste 2 modalità appena descritti e come funzionano nei rispettivi casi
Esempio 1 (fondo PIR gestito): un risparmiatore sceglie un fondo comune PIR compliant presso una banca o una società di gestione del risparmio. Investe 10.000 euro: almeno 7.000 euro saranno destinati a imprese italiane o europee con stabile organizzazione in Italia, di cui almeno il 25% su titoli non appartenenti al FTSE MIB e il 5% su società che non rientrano nemmeno nel FTSE Mid Cap. La banca garantisce che il fondo mantenga costantemente le giuste proporzioni previste dalla normativa.
Esempio 2 (conto titoli fai-da-te): un investitore, tramite piattaforma autorizzata, crea autonomamente un portafoglio PIR. Compra azioni di tre PMI italiane, obbligazioni emesse da una società quotata sull’AIM Italia e integra con ETF focalizzati su small cap domestiche. L’investitore deve monitorare personalmente la composizione e rispettare i vincoli previsti dalla legge, aggiornando periodicamente il portafoglio.
L’adesione ai piani individuali di risparmio comporta l’assunzione di diversi rischi che devono essere compresi prima di procedere. Uno degli aspetti più evidenti è la bassa diversificazione geografica: la normativa impone la concentrazione degli investimenti su titoli italiani o di società con presenza significativa in Italia. Questa caratteristica espone il risparmiatore al cosiddetto "rischio Paese", cioè alla volatilità e alle fluttuazioni dell’economia nazionale, senza strumenti di compensazione verso altri mercati.
Il rischio specifico di portafoglio si concentra su titoli di piccole e medie imprese, spesso caratterizzati da elevata volatilità e bassa liquidità. Le aziende fuori dai principali indici borsistici possono soffrire di limitate transazioni quotidiane sul mercato, rendendo difficoltosa la vendita degli asset nei tempi desiderati o causando oscillazioni di prezzo più ampie sul breve periodo. Inoltre, la concentrazione sulle PMI implica un’esposizione potenzialmente elevata a settori ciclici e innovativi, poco rappresentati da dati storici solidi, aumentando l’incertezza.
Il rispetto dei vincoli di composizione e durata è obbligatorio per mantenere i vantaggi fiscali: in caso di necessità di disinvestimento anticipato, oltre a perdere il beneficio, è richiesta una puntuale rendicontazione fiscale retrodatata sull’intera durata dell’investimento. Anche variazioni legislative improvvise, frequenti negli anni recenti, possono influenzare la strategia e l’efficacia dei PIR, limitando la programmabilità di lungo periodo.
Sono 6 i contro, gli svantaggi ad investire nei Pir:
I costi rappresentano un elemento chiave per l’effettiva convenienza dei piani individuali di risparmio, in quanto le spese di gestione, amministrative e di performance possono ridurre in modo rilevante i rendimenti realizzati nel tempo. Le principali componenti di costo includono:
La presenza di costi ricorrenti impatta direttamente sulla crescita del capitale. Anche una differenza di pochi punti percentuali può, su un orizzonte temporale di 5-10 anni, assorbire una parte significativa del vantaggio fiscale, soprattutto in contesti di rendimenti medi o bassi.
Nei PIR gestiti tramite fondi comuni o gestioni patrimoniali, le spese tendono a essere maggiori rispetto a una gestione diretta, dove però l’investitore deve assumersi la responsabilità di garantire la conformità normativa e affrontare potenziali costi impliciti di transazione. La trasparenza sui costi e l’analisi comparativa tra le diverse offerte disponibili rappresentano dunque un aspetto imprescindibile nella valutazione complessiva di questi strumenti.
Il confronto tra i piani individuali di risparmio e strumenti alternativi di allocazione, come i piani di accumulo di capitale, mette in luce differenze sostanziali sia nella struttura che negli obiettivi d’investimento. Entrambi sono focalizzati sull’accrescimento progressivo del capitale ma utilizzano approcci regolamentari e fiscali differenti.
Con il primo strumento, il vantaggio fiscale è uno dei principali driver: se rispettate tutte le condizioni, il risparmio sulla tassazione di plusvalenze, dividendi e successione può risultare considerevole. Tuttavia, la rigidità normativa, il vincolo geografico agli investimenti domestici e i limiti su importi e durata riducono la flessibilità rispetto ad altri strumenti.
I piani di accumulo di capitale si basano sull’investimento periodico di una cifra predefinita, consentendo una maggiore diluizione del rischio e un ingresso graduale sui mercati, particolarmente utile in contesti di volatilità. Tali soluzioni non prevedono la stessa esenzione fiscale sui profitti, ma sono meno vincolate in termini di scelta delle asset class e di possibilità di diversificazione geografica e settoriale.
In sintesi:
PIR | PAC |
Esenzione fiscale su guadagni e successione | Tassazione ordinaria sul capital gain |
Vincolo quinquennale e su asset specifici | Maggiore flessibilità e liquidabilità |
Accesso a fondi, polizze, ETF PIR compliant | Libertà di scelta su strumenti globali |