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In quali casi per un errore sul lavoro si rischia il licenziamento e come ci si puņ opporre

Prima di procedere al licenziamento disciplinare, il datore di lavoro ha l'obbligo di inviare una contestazione formale dell'addebito.

Autore: Chiara Compagnucci
pubblicato il
In quali casi per un errore sul lavoro s

Non tutti gli errori sul lavoro sono motivo di licenziamento. La giurisprudenza distingue tra l'errore lieve, che può essere giustificabile o attribuibile a inesperienza, e l'errore grave o reiterato, che può incrinare il vincolo fiduciario tra datore e lavoratore. L'elemento centrale è che l'errore risulti intenzionale, doloso oppure gravemente colposo ovvero connotato da una trascuratezza tale da mettere a rischio beni, persone o interessi aziendali rilevanti.

Due sono le cornici normative entro cui si può inserire un licenziamento per errore: la giusta causa, prevista dall'articolo 2119 del Codice Civile, si applica quando il comportamento è così grave da impedire la prosecuzione anche temporanea del rapporto di lavoro; il giustificato motivo soggettivo riguarda ipotesi meno gravi ma comunque idonee a minare la fiducia nel dipendente, come una negligenza sistematica, una violazione delle procedure aziendali, o un uso improprio degli strumenti di lavoro. Entrambe le ipotesi richiedono una valutazione dettagliata del fatto contestato.

Esempi di errore che hanno giustificato il licenziamento sono l'omessa segnalazione di un grave malfunzionamento, la distruzione accidentale ma evitabile di beni aziendali, l'invio di informazioni riservate all'esterno, oppure la ripetizione di errori di gestione nonostante richiami e sanzioni precedenti. La reiterazione dell'errore, anche se non dolosa, è considerata dalla giurisprudenza un indizio di inidoneità professionale, motivo per cui può fondare legittimamente un recesso da parte del datore, purché la procedura sia regolarmente attivata. Approfondiamo in questo articolo:

  • Procedura disciplinare e diritti del lavoratore

  • Come opporsi a un licenziamento per errore

Procedura disciplinare e diritti del lavoratore

Prima di procedere al licenziamento disciplinare, il datore di lavoro ha l'obbligo di inviare una contestazione formale dell'addebito. Questo documento contiene la descrizione dell'errore contestato, data, luogo, modalità e tutti gli elementi che rendano il comportamento individuabile. Una comunicazione generica o incompleta rende la sanzione invalida. Il lavoratore ha il diritto di replicare per iscritto o a voce, entro 5 giorni lavorativi.

La proporzionalità tra infrazione e sanzione è un principio cardine del diritto disciplinare. Un errore isolato, privo di intenzionalità, può giustificare al massimo un richiamo o una sospensione, ma non legittima il licenziamento. Solo quando l'errore ha caratteristiche di colpa grave oppure quando si inserisce in un contesto di precedenti sanzioni già irrogate per comportamenti simili, il datore può motivare una risoluzione definitiva del rapporto. Questo principio è stato ribadito dalla Cassazione, che invita i datori a preferire il richiamo scritto alla sanzione estrema, salvo che la gravità oggettiva del fatto lo impedisca.

Affinché il licenziamento per errore sia ritenuto legittimo, non basta che il fatto sia avvenuto. È indispensabile che la procedura disciplinare sia rispettata integralmente, compresa la valutazione della difesa del lavoratore. L'azienda deve inoltre dimostrare di non aver tollerato il comportamento nel tempo e di aver agito in modo tempestivo. Un licenziamento comunicato troppo tempo dopo il fatto contestato può essere considerato illegittimo per decadenza implicita o per comportamento concludente di tolleranza da parte del datore.

Come opporsi a un licenziamento per errore

Se il lavoratore ritiene ingiusto il licenziamento per errore, ha diritto a presentare impugnazione scritta entro 60 giorni dalla ricezione della lettera di recesso. Questo atto, che può essere redatto anche con l'assistenza del sindacato o di un legale, non deve necessariamente contenere motivazioni complesse, ma deve esprimere la volontà di opporsi. L'inosservanza di questo termine rende il licenziamento definitivo, anche se infondato.

Dopo l'impugnazione, il lavoratore ha a disposizione 180 giorni per intraprendere un'azione giudiziaria o attivare una procedura conciliativa, prevista in sede sindacale o presso l'Ispettorato del Lavoro. Se il tentativo di conciliazione fallisce o non viene attivato, il termine per adire il tribunale si riduce a 60 giorni dalla chiusura del primo passaggio. Il giudice del lavoro, in sede di giudizio, valuterà non solo la sussistenza del fatto ma anche la proporzionalità della sanzione, l'eventuale reiterazione, e l'idoneità della contestazione disciplinare.

Nel caso in cui il licenziamento venga dichiarato illegittimo per insussistenza del fatto, il lavoratore ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, oltre al risarcimento delle mensilità perdute e alla ricostituzione della posizione contributiva. Se il giudice riconosce l'esistenza del fatto ma lo considera sproporzionato rispetto alla sanzione irrogata, il lavoratore potrà ottenere un'indennità risarcitoria variabile, fino a un massimo di 24 mensilità, a seconda dell'anzianità di servizio e delle dimensioni aziendali. In entrambi i casi, l'assistenza di un avvocato del lavoro è fortemente raccomandata per massimizzare la tutela dei propri diritti.

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