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Quando posso chiedere alla mia azienda la pensione anticipata o lavorare meno ultimi anni nel 2025

Quali sono i casi in cui si puņ chiedere ad azienda di andare in pensione prima o lavorare meno gli ultimi anni secondo le normative in vigore nel 2025

Autore: Marianna Quatraro
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La possibilità di richiedere la pensione anticipata all’azienda è una strada concreta e realistica, molto spesso molto più di quello che si pensa, per molti lavoratori che desiderano o devono lasciare il lavoro prima di raggiungere il requisito pieno della pensione di vecchiaia. 

Modalità per ottenere la pensione anticipata in accordo con l’azienda

Nel sistema previdenziale italiano attuale, la pensione anticipata azienda è ottenibile utilizzando particolari strumenti regolati dalla normativa vigente, principalmente l’isopensione e il contratto di espansione. Entrambe le soluzioni prevedono l’attivazione su base volontaria e richiedono specifici requisiti sia per il datore di lavoro che per il dipendente.

Dal punto di vista tecnico, questi strumenti si inseriscono all’interno dei processi di riorganizzazione aziendale, consentendo di gestire eccedenze di personale e favorire il ricambio generazionale in azienda con misure di accompagnamento alla quiescenza. A questi strumenti si aggiungono le opzioni di trasformazione del rapporto di lavoro da full time a part time negli ultimi anni, consentendo una transizione graduale dalla piena attività lavorativa al pensionamento.

Isopensione: requisiti e funzionamento 2025

L’isopensione (o assegno di esodo) è regolamentata dall’art. 4 della Legge Fornero (n. 92/2012, ss.mm.), con potenziamento grazie alla Legge 205/2017 che ne consente l’utilizzo fino al 2026 per un massimo di sette anni di anticipo rispetto ai requisiti per pensione di vecchiaia o anticipata. Per l’accesso è necessario:

  • Lavorare in aziende con almeno 15 dipendenti;
  • Maturare i requisiti per la pensione di vecchiaia (67 anni di età e almeno 20 anni di contributi) o per la pensione anticipata ordinaria (41 anni e 10 mesi di contribuzione per donne, 42 anni e 10 mesi per uomini) entro massimo sette anni dalla cessazione del rapporto di lavoro;
  • Sottoscrivere un accordo aziendale con le rappresentanze sindacali maggiormente rappresentative, che abbia valenza per la gestione degli esuberi;
  • Ricevere la validazione INPS dell’accordo e la stima degli oneri a carico dell’azienda (compresa presentazione di una fideiussione bancaria a garanzia delle obbligazioni verso lavoratori e INPS).

L’importo dell’assegno di isopensione è sostanzialmente pari alla pensione che spetterebbe in quel momento. Durante l’intero periodo di isopensione, l’azienda si impegna a versare anche la copertura contributiva correlata, utile alla determinazione dell’importo della futura pensione e necessaria per il perfezionamento dei diritti pensionistici previsti. La prestazione non è reversibile e non dà diritto agli assegni familiari, né prevede perequazione automatica.
Con le modifiche normative degli ultimi anni sono state superate penalizzazioni applicate alle “pensioni anticipate” prima dei 62 anni di età, aumentando così la sostenibilità della soluzione per i lavoratori coinvolti.

La procedura richiede un iter rigoroso e la presentazione telematica all’INPS di tutta la documentazione necessaria. In caso di insolvenza aziendale protratta per 180 giorni, l’INPS può escutere la fideiussione, tutelando le posizioni dei lavoratori.

Tra le novità per il 2025 si segnala la conferma della possibilità di accedere allo scivolo massimo di 7 anni. La misura, prorogata fino al 2026, offre quindi una delle tempistiche di anticipo più ampie nel panorama normativo europeo.

Esempio di calcolo del periodo di isopensione

Se nel 2025 una lavoratrice ha 60 anni e 6 mesi e soddisfa i requisiti di anzianità contributiva, può accedere all’isopensione, accompagnandola potenzialmente fino alla pensione a 67 anni e 6 mesi (età prevista dalle tabelle per la pensione di vecchiaia, salvo ulteriori adeguamenti agli incrementi della speranza di vita nelle future riforme).

Contratto di espansione: struttura, requisiti attuali e prospettive di riattivazione

Il contratto di espansione (art. 41 D.Lgs. 148/2015 e ss. modifiche) è uno strumento “multifunzione” adottato in aziende medio-grandi per favorire il ricambio generazionale, sostenere la riqualificazione delle competenze e consentire un esodo programmato di lavoratori che soddisfano requisiti previdenziali per il pensionamento a breve termine. Nel 2025, è in discussione la possibile proroga della misura per aziende con almeno 200 dipendenti, ma resta attivabile solo se previsto dalle leggi di finanza annuali.

Funzionamento:

  • Può essere attivato per i lavoratori a non più di 60 mesi (5 anni) dal diritto alla pensione di vecchiaia o anticipata;
  • Richiede un accordo sindacale presso la sede del Ministero del Lavoro;
  • Prevede per i lavoratori l’erogazione di un’indennità mensile corrispondente all’importo della pensione maturata al momento della cessazione, a carico dell’azienda con eventuale contributo statale (valore equivalente alla NASPI per i primi 24 mesi);
  • Per chi accede tramite pensione anticipata, la contribuzione figurativa deve essere versata anche nel periodo di accompagnamento.

Il contratto può includere piani di formazione e riqualificazione per il personale e nuovi piani di assunzione a tempo indeterminato (uno su tre lavoratori usciti con il pensionamento anticipato). Il ricorso alla cassa integrazione straordinaria è previsto fino a 18 mesi, con riduzione di orario media fino al 30%.

Tra le prospettive normative 2025, si segnala che il contratto di espansione non risulta attivo in assenza di ulteriore proroga delle norme sperimentali, ma potrebbe essere confermato tramite provvedimenti successivi. 

Passaggio da lavoro full time a part time negli ultimi anni: impatto sulla pensione

Un’opzione alternativa e spesso poco considerata consiste nel concordare con il datore di lavoro il passaggio da un contratto full time a una modalità part time negli ultimi anni che precedono il pensionamento, facilitando la transizione verso l’uscita dal mondo del lavoro e migliorando il bilanciamento tra esigenze personali e professionali.

I tipi di part time (orizzontale, verticale, ciclico) influenzano l’accredito dei contributi INPS e l’accesso alla prestazione pensionistica. Dal 2021, la normativa ha equiparato i trattamenti previdenziali anche per i part time verticale e ciclico, garantendo le 52 settimane annue accreditate se la retribuzione rispetta i minimi stabiliti. Il minimale INPS per il 2025 è fissato a 241,36 euro settimanali per dipendenti privati, equivalente a 12.550,72 euro annui su base minima.

In sintesi:

  • In presenza di retribuzione superiore al minimo, il periodo part time è accreditato per intero ai fini pensionistici (sia in settore privato che pubblico).
  • Se lo stipendio si posiziona al di sotto della soglia minima, il riconoscimento contributivo avverrà proporzionalmente al reddito effettivamente percepito.
  • Nel pubblico impiego, gli anni in part time sono calcolati sempre integralmente.

Occorre tuttavia considerare che la riduzione della base contributiva porta generalmente a un assegno pensionistico finale più basso. Per sopperire a questa criticità, può essere valutata l’adesione a fondi pensione complementare, utilizzando sia il TFR che contributi volontari, con benefici fiscali e la possibilità di incrementare la rendita futura.

Il ricorso al part time deve essere oggetto di valutazione sulle prospettive previdenziali e sulle esigenze economiche del lavoratore. Un’adeguata pianificazione in questa fase consente di ridurre l’impatto della minore contribuzione e può essere accompagnata dal riscatto volontario dei periodi insufficientemente coperti.

Strategie aggiuntive e simulazione

Per chi sceglie il part time, strategicamente è consigliabile:

  • Monitorare i livelli retributivi per non scendere sotto i minimi INPS e garantire l’integrale accreditamento;
  • Pianificare il riscatto dei periodi scoperti contributivamente (valutando i costi e le agevolazioni disponibili);
  • Valutare il conferimento del proprio TFR a un fondo pensione, che produce rendimenti e garantisce una tassazione più favorevole (aliquota tra 9% e 15% rispetto al 23% del TFR lasciato in azienda);
  • Considerare contributi volontari aggiuntivi e la deduzione fiscale fino a 5.164,57 euro/anno.

Considerazioni su altri strumenti di accompagnamento al pensionamento

È inoltre possibile, tramite accordi individuali o collettivi, una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro accompagnata dalla NASPI (indennità mensile di disoccupazione), che può anticipare l’accesso a strumenti pensionistici anticipati come la “Quota 41”, riservata però a categorie precise.

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