La possibilità di richiedere la pensione anticipata all’azienda è una strada concreta e realistica, molto spesso molto più di quello che si pensa, per molti lavoratori che desiderano o devono lasciare il lavoro prima di raggiungere il requisito pieno della pensione di vecchiaia.
Nel sistema previdenziale italiano attuale, la pensione anticipata azienda è ottenibile utilizzando particolari strumenti regolati dalla normativa vigente, principalmente l’isopensione e il contratto di espansione. Entrambe le soluzioni prevedono l’attivazione su base volontaria e richiedono specifici requisiti sia per il datore di lavoro che per il dipendente.
Dal punto di vista tecnico, questi strumenti si inseriscono all’interno dei processi di riorganizzazione aziendale, consentendo di gestire eccedenze di personale e favorire il ricambio generazionale in azienda con misure di accompagnamento alla quiescenza. A questi strumenti si aggiungono le opzioni di trasformazione del rapporto di lavoro da full time a part time negli ultimi anni, consentendo una transizione graduale dalla piena attività lavorativa al pensionamento.
L’isopensione (o assegno di esodo) è regolamentata dall’art. 4 della Legge Fornero (n. 92/2012, ss.mm.), con potenziamento grazie alla Legge 205/2017 che ne consente l’utilizzo fino al 2026 per un massimo di sette anni di anticipo rispetto ai requisiti per pensione di vecchiaia o anticipata. Per l’accesso è necessario:
L’importo dell’assegno di isopensione è sostanzialmente pari alla pensione che spetterebbe in quel momento. Durante l’intero periodo di isopensione, l’azienda si impegna a versare anche la copertura contributiva correlata, utile alla determinazione dell’importo della futura pensione e necessaria per il perfezionamento dei diritti pensionistici previsti. La prestazione non è reversibile e non dà diritto agli assegni familiari, né prevede perequazione automatica.
Con le modifiche normative degli ultimi anni sono state superate penalizzazioni applicate alle “pensioni anticipate” prima dei 62 anni di età, aumentando così la sostenibilità della soluzione per i lavoratori coinvolti.
La procedura richiede un iter rigoroso e la presentazione telematica all’INPS di tutta la documentazione necessaria. In caso di insolvenza aziendale protratta per 180 giorni, l’INPS può escutere la fideiussione, tutelando le posizioni dei lavoratori.
Tra le novità per il 2025 si segnala la conferma della possibilità di accedere allo scivolo massimo di 7 anni. La misura, prorogata fino al 2026, offre quindi una delle tempistiche di anticipo più ampie nel panorama normativo europeo.
Se nel 2025 una lavoratrice ha 60 anni e 6 mesi e soddisfa i requisiti di anzianità contributiva, può accedere all’isopensione, accompagnandola potenzialmente fino alla pensione a 67 anni e 6 mesi (età prevista dalle tabelle per la pensione di vecchiaia, salvo ulteriori adeguamenti agli incrementi della speranza di vita nelle future riforme).
Il contratto di espansione (art. 41 D.Lgs. 148/2015 e ss. modifiche) è uno strumento “multifunzione” adottato in aziende medio-grandi per favorire il ricambio generazionale, sostenere la riqualificazione delle competenze e consentire un esodo programmato di lavoratori che soddisfano requisiti previdenziali per il pensionamento a breve termine. Nel 2025, è in discussione la possibile proroga della misura per aziende con almeno 200 dipendenti, ma resta attivabile solo se previsto dalle leggi di finanza annuali.
Funzionamento:
Il contratto può includere piani di formazione e riqualificazione per il personale e nuovi piani di assunzione a tempo indeterminato (uno su tre lavoratori usciti con il pensionamento anticipato). Il ricorso alla cassa integrazione straordinaria è previsto fino a 18 mesi, con riduzione di orario media fino al 30%.
Tra le prospettive normative 2025, si segnala che il contratto di espansione non risulta attivo in assenza di ulteriore proroga delle norme sperimentali, ma potrebbe essere confermato tramite provvedimenti successivi.
Un’opzione alternativa e spesso poco considerata consiste nel concordare con il datore di lavoro il passaggio da un contratto full time a una modalità part time negli ultimi anni che precedono il pensionamento, facilitando la transizione verso l’uscita dal mondo del lavoro e migliorando il bilanciamento tra esigenze personali e professionali.
I tipi di part time (orizzontale, verticale, ciclico) influenzano l’accredito dei contributi INPS e l’accesso alla prestazione pensionistica. Dal 2021, la normativa ha equiparato i trattamenti previdenziali anche per i part time verticale e ciclico, garantendo le 52 settimane annue accreditate se la retribuzione rispetta i minimi stabiliti. Il minimale INPS per il 2025 è fissato a 241,36 euro settimanali per dipendenti privati, equivalente a 12.550,72 euro annui su base minima.
In sintesi:
Occorre tuttavia considerare che la riduzione della base contributiva porta generalmente a un assegno pensionistico finale più basso. Per sopperire a questa criticità, può essere valutata l’adesione a fondi pensione complementare, utilizzando sia il TFR che contributi volontari, con benefici fiscali e la possibilità di incrementare la rendita futura.
Il ricorso al part time deve essere oggetto di valutazione sulle prospettive previdenziali e sulle esigenze economiche del lavoratore. Un’adeguata pianificazione in questa fase consente di ridurre l’impatto della minore contribuzione e può essere accompagnata dal riscatto volontario dei periodi insufficientemente coperti.
Per chi sceglie il part time, strategicamente è consigliabile:
È inoltre possibile, tramite accordi individuali o collettivi, una risoluzione consensuale del rapporto di lavoro accompagnata dalla NASPI (indennità mensile di disoccupazione), che può anticipare l’accesso a strumenti pensionistici anticipati come la “Quota 41”, riservata però a categorie precise.