L'Italia affronta un declino dell'alfabetizzazione: uno su tre comprende solo testi brevi. Dati OCSE, cause storiche e sociali, impatto su lavoro, diseguaglianze e strategie sono al centro del dibattito.
L'Italia si trova dinanzi a un'emergenza silenziosa ma sempre più evidente: una percentuale rilevante di adulti manifesta gravi difficoltà nella lettura e nella comprensione di testi scritti. Le recenti indagini dell'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) hanno fotografato una situazione allarmante, dove circa un terzo della popolazione adulta riesce a comprendere solo istruzioni essenziali e testi molto brevi.
Questi dati pongono il Paese nelle ultime posizioni tra le nazioni avanzate per capacità di interpretazione e utilizzo delle competenze chiave, con ripercussioni dirette sulla società, sull'accesso alle opportunità e sullo sviluppo economico. Il fenomeno, indicato ormai come regressione delle competenze di base, mette in luce disuguaglianze profonde e la necessità di una strategia efficace per invertire la tendenza.
L'analfabetismo funzionale identifica la condizione di chi, pur sapendo leggere e scrivere, non riesce a comprendere un testo complesso né a utilizzare le informazioni apprese nella vita quotidiana. Questo concetto va oltre la semplice alfabetizzazione primaria, focalizzandosi sulla capacità di applicare le conoscenze per risolvere problemi, compilare moduli, seguire istruzioni e comunicare in modo efficace nel contesto lavorativo e sociale.
La misurazione dell'analfabetismo funzionale in Italia avviene attraverso indagini campionarie internazionali, come il Programme for the International Assessment of Adult Competencies (PIAAC) condotto dall'OCSE. Il PIAAC valuta tre aree fondamentali:
Secondo i dati diffusi dall'OCSE, la media italiana nei test di literacy si attesta a 245 punti, al di sotto della media dei Paesi coinvolti (260 punti). Analogo trend si riscontra nelle competenze matematiche, dove il punteggio medio nazionale è 244 rispetto alla media OCSE di 261. L'ambito più critico è il problem solving adattivo, con 231 punti contro i 250 della media internazionale. Questo è il quadro:
Competenza |
Punteggio Italia |
Media OCSE |
Comprensione del testo (literacy) |
245 |
260 |
Competenze numeriche (numeracy) |
244 |
261 |
Problem solving adattivo |
231 |
250 |
Ulteriori dettagli evidenziano una situazione di svantaggio rispetto ai Paesi più virtuosi come Finlandia, Norvegia e Svezia. In Italia il 35% degli adulti non va oltre il livello 1 nella comprensione del testo, contro una media OCSE del 26%. Solo il 5% raggiunge i livelli più alti di competenza, a fronte di una media internazionale del 12%. Simili disparità si osservano nelle abilità numeriche e nella capacità di risolvere problemi in contesti nuovi o digitali.
Questi risultati mostrano come molte persone, anche con titoli di studio medio-alti, non riescano a mantenere o potenziare nel tempo le competenze acquisite, probabilmente a causa di una scarsa diffusione della formazione continua e di una limitata abitudine alla lettura e all'apprendimento post-scolastico.
La regressione delle competenze di base in Italia affonda le sue radici in dinamiche storiche, sociali e culturali stratificate. Nel secondo dopoguerra, l'intensa urbanizzazione e il boom economico hanno favorito il passaggio da società rurale a urbana senza riuscire, tuttavia, a diffondere in modo omogeneo la cultura e la scolarizzazione.
L'elevato tasso di abbandono scolastico durante la crescita economica e la mancanza di strategie efficaci per la formazione degli adulti hanno lasciato un'eredità pesante nelle aree meno sviluppate. Anche riforme educative incoerenti e il progressivo impoverimento dei programmi formativi hanno concorso al fenomeno. Criticità aggiuntive emergono dall'insufficiente attenzione ai disturbi dell'apprendimento e alla carenza di investimenti pubblici in educazione, soprattutto a partire dagli anni '90.
Il risultato è un evidente divario tra le richieste della società attuale e le competenze realmente diffuse nella popolazione, con effetti immediati sulle capacità di partecipazione civile e lavorativa.
L'insufficienza nelle competenze di base condiziona le possibilità di accesso, permanenza e qualità dell'occupazione. Una parte consistente della forza lavoro svolge attività per le quali il proprio livello di istruzione non trova pieno riconoscimento, come evidenziato dai recenti report internazionali: circa il 30% dei lavoratori nei Paesi avanzati non possiede le abilità indispensabili per la posizione ricoperta.
Le ripercussioni sono molteplici:
L'analisi mette in luce profonde disparità tra le varie generazioni, tra territori e tra persone appartenenti a differenti contesti socioeconomici:
La povertà educativa rappresenta uno degli ostacoli più gravi per la crescita socio-economica del Paese, influendo su mobilità sociale, accesso al lavoro e redistribuzione delle opportunità. Recenti analisi stimano che circa il 23,1% della popolazione sia esposta a rischio di esclusione sociale, con oltre un milione di minori in povertà assoluta.
Le condizioni di partenza incidono in misura significativa: laddove mancano investimenti nei servizi scolastici, nell'inclusione dei minori e nella formazione degli adulti, si osservano tassi più elevati di abbandono scolastico e skill mismatch nel mondo del lavoro. Le famiglie con basso livello culturale trasmettono difficoltà che si ripercuotono sulle scelte educative e lavorative dei figli, alimentando un ciclo di svantaggio difficilmente superabile.
La carenza di risorse umane qualificate condiziona la produttività complessiva e riduce il potenziale di crescita. Secondo le stime, il rafforzamento delle competenze diffuso potrebbe generare fino a 48 miliardi di euro aggiuntivi di prodotto interno lordo e ridurre il numero di persone escluse dal mercato del lavoro.