Negli ultimi due anni i fondi sovrani hanno riallineato i loro portafogli, ponendo maggiore enfasi sul reddito fisso, dopo una fase in cui i tassi vicini allo zero ne avevano ridotto l'attrattiva.
I fondi sovrani di investimento sono diventati negli ultimi due decenni un osservatorio per comprendere i movimenti della finanza globale. Nati per gestire gli avanzi commerciali di Paesi esportatori di materie prime o con forte surplus di bilancia, questi colossi amministrano oggi oltre 13 trilioni di dollari, una cifra che equivale a più della metà del PIL statunitense.
Ciò che rende rilevante la loro strategia non è solo la massa di capitali in gioco, ma la loro capacità di guardare oltre i cicli di breve termine e di anticipare tendenze economiche che influenzano poi i mercati azionari e obbligazionari mondiali.
Negli ultimi due anni i fondi sovrani hanno riallineato i loro portafogli, ponendo maggiore enfasi sul reddito fisso, dopo una fase in cui i tassi vicini allo zero ne avevano ridotto l'attrattiva. L'aumento dei rendimenti obbligazionari dal 2022 ha riportato i bond governativi e corporate in primo piano, offrendo una fonte di reddito stabile e meno esposta alle oscillazioni estreme che hanno caratterizzato le Borse. In parallelo la quota azionaria rimane intorno a un terzo del portafoglio medio, ma la selezione è diventata più stringente, con un'attenzione crescente alle società che presentano bilanci solidi, posizionamento competitivo e soprattutto esposizione a trend secolari come tecnologia, sanità e sostenibilità.
Quello che emerge è un chiaro ritorno alla gestione attiva: i fondi sovrani stanno riducendo la semplice replica degli indici per privilegiare scelte mirate che consentano di minimizzare il rischio geopolitico e di intercettare sacche di valore ancora non pienamente riconosciute dal mercato. Questo cambio di passo implica che, nei prossimi anni, il differenziale di rendimento tra chi saprà selezionare e chi si limiterà a seguire la media si amplierà, rafforzando la centralità di analisi qualitative e strategie long-term.
Uno dei capitoli più eclatanti delle strategie recenti riguarda l'imponente investimento in infrastrutture digitali. Nel 2024 i fondi sovrani hanno allocato miliardi nella costruzione e nell'acquisto di data center, considerati ormai vere e proprie nuove utility, capaci di generare flussi di cassa prevedibili e destinati a crescere insieme alla domanda di capacità computazionale. Non si tratta più soltanto di finanziare immobili tecnologici, ma di assicurarsi la partecipazione diretta alla spina dorsale su cui poggia l'economia dell'intelligenza artificiale, il cui sviluppo richiede potenza di calcolo, raffreddamento avanzato ed energia elettrica in quantità crescenti.
L'AI generativa ha agito da catalizzatore, accelerando decisioni di lungo periodo e trasformando i fondi sovrani in partner indispensabili per i grandi player tecnologici che necessitano di capitali giganteschi per costruire campus di server in tutto il mondo. In parallelo, gli stessi fondi stanno puntando sulle reti di telecomunicazione, dalle dorsali in fibra ai cavi sottomarini, con la consapevolezza che la connettività globale è un asset tanto cruciale quanto lo furono in passato il petrolio o l'acciaio. Ciò che questo comporta per le Borse è evidente: valutazioni crescenti dei fornitori di semiconduttori, degli operatori energetici collegati e delle società che sviluppano soluzioni per il raffreddamento e la gestione energetica dei centri dati.
La transizione energetica è l'altro pilastro delle strategie attuali. Se fino a pochi anni fa l'attenzione si concentrava principalmente su grandi parchi solari ed eolici, oggi i fondi sovrani stanno diversificando verso lo storage di energia, la mobilità elettrica e le reti di trasmissione. Investire nelle infrastrutture che distribuiscono l'energia è visto come un modo per garantire ritorni stabili e, allo stesso tempo, sostenere la modernizzazione delle economie domestiche.
Un ruolo crescente è attribuito alle materie prime critiche. Diversi fondi del Golfo hanno sottoscritto accordi per entrare nella catena del valore delle batterie, acquisendo quote in miniere di litio o in aziende specializzate nella raffinazione di materiali essenziali per i veicoli elettrici.
Questa strategia ha un duplice obiettivo: ridurre la dipendenza dalle importazioni e costruire una base industriale nazionale in grado di generare occupazione e know-how. Sul piano delle Borse, ciò significa che società legate allo sviluppo delle reti, alla produzione di batterie e agli impianti di stoccaggio energetico potranno beneficiare di valutazioni crescenti e di un flusso costante di capitali istituzionali.
I mercati privati restano una componente fondamentale delle strategie dei fondi sovrani, ma la fase attuale è segnata da maggiore cautela. Nel private equity l'attenzione si è spostata dai megafondi generalisti a investimenti più mirati in settori come la sanità, la tecnologia climatica e la logistica, con l'obiettivo di ridurre i rischi legati a valutazioni gonfiate.
Nel real estate si assiste a una trasformazione radicale: l'epoca dell'ufficio centrale nelle metropoli sembra tramontata, mentre cresce l'interesse per asset più resilienti come magazzini logistici e, ancora una volta, data center. Allo stesso tempo, il private credit continua ad attrarre capitali in cerca di rendimento, ma i fondi sovrani applicano filtri più stringenti sui covenant e sulla qualità degli emittenti, consapevoli che l'aumento dei tassi ha reso più fragile una parte del mercato del debito privato.
Dal punto di vista geografico, i fondi sovrani del Golfo usano sempre più i loro patrimoni per costruire industrie nazionali, riducendo la dipendenza dal petrolio e sviluppando settori come il turismo, l'intrattenimento e soprattutto la tecnologia. Mubadala e PIF sono esempi emblematici di questa nuova fase, che mescola obiettivi finanziari e strategie industriali.
In Asia, i colossi di Singapore, come Temasek e GIC, restano barometri globali: il loro orientamento verso digitale e sostenibilità è un segnale forte della direzione che prenderanno gli investimenti futuri. Ma è l'India la nuova protagonista, con fondi come QIA pronti a impegnare decine di miliardi di dollari per sfruttare il potenziale di un Paese giovane, digitalizzato e in rapida crescita. L'attrattività di questo mercato non si limita alla Borsa locale, ma si traduce in un aumento dell'interesse globale per società tecnologiche, manifatturiere e infrastrutturali indiane.