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Aumenti stipendi per tutti grazie alla nuova tanto attesa direttiva Ue, ma ci sono sorprese

di Chiara Compagnucci pubblicato il
Gli obiettivi della direttiva europea

L'obiettivo della direttiva Ue sul salario minimo era quello di creare un meccanismo di adeguamento degli stipendi negli Stati membri.

L’Unione europea ha tentato di dare una svolta nel settore del lavoro attraverso l’introduzione di una direttiva sul salario minimo, pensata per garantire condizioni economiche più dignitose ai lavoratori dei diversi Stati membri.
L'aumento del salario minimo interesserebbe, infatti, tutti i lavoratori. Crescendo l'importo minimo orario ci sarebbe un effetto a catena che potrerebbe tutti gli stipendi ad alzarsi per adeguarsi al costo orario più basso obbligatorio per legge.

Ad esempio, se il salario minimo orario imposto fosse di 9 euro, non solo tutti coloro che prendendono una cifra minore, avrebbero dei benefici in busta paga, ma anche chi prende 9-10 euro all'ora che si vedrebbe aumentare i propri salari e tutti gli altri dipendenti a salire.

Ma quella che sembra una svolta concreta verso la riduzione delle disparità salariali rischia di naufragare ancor prima di entrare in vigore.
La Corte di Giustizia Europea ha sollevato dubbi sulla compatibilità della norma con le competenze giuridiche dell’Ue e messo in discussione la sua validità. Vale la pena approfondire:

  • Gli obiettivi della direttiva, più salari, meno disparità
  • Il parere della Corte di Giustizia sul salario minimo

Gli obiettivi della direttiva, più salari, meno disparità

L'obiettivo della direttiva Ue sul salario minimo era quello di creare un meccanismo di adeguamento degli stipendi negli Stati membri, affinché nessun lavoratore rimanesse sotto una soglia considerata dignitosa. L’idea di base si fondava sulla promozione della contrattazione collettiva, incoraggiando i governi a stabilire criteri chiari per determinare i salari minimi e armonizzarli, laddove possibile, su scala europea.

Se fosse stata approvata, la direttiva avrebbe portato benefici immediati a milioni di lavoratori, soprattutto nei Paesi in cui i salari minimi risultano ben al di sotto della media UE. In nazioni come Bulgaria, Romania e Ungheria, dove i compensi mensili minimi non superano i 500 euro, questa misura sarebbe stato un cambio di paradigma fondamentale per la tutela dei diritti dei lavoratori.

I fautori della norma sostenevano che, oltre a migliorare le condizioni di vita, la direttiva avrebbe contribuito a stimolare i consumi, con effetti positivi sull’intera economia europea. Già in fase di discussione, alcuni Stati membri e gruppi di interesse hanno espresso forti perplessità, ritenendo che la questione delle retribuzioni dovesse rimanere sotto la competenza esclusiva dei singoli governi nazionali.

Il parere della Corte di Giustizia sul salario minimo

A mettere i bastoni tra le ruote a questa riforma è stato il recente parere dell’Avvocato Generale della Corte di Giustizia Europea, Nicholas Emiliou, che ha sollevato dubbi sulla legittimità della direttiva. Secondo la sua analisi, la regolamentazione delle retribuzioni non rientra nelle competenze dell’Ue, come stabilito dall’articolo 153 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea. In altre parole, Bruxelles non avrebbe il diritto di imporre agli Stati membri una politica salariale uniforme.

L’Avvocato Generale ha inoltre evidenziato che la Direttiva potrebbe interferire con le normative nazionali sulla contrattazione collettiva e sui diritti di associazione. Se la Corte di Giustizia dovesse confermare questa posizione nella sua sentenza definitiva, la direttiva sarebbe completamente bloccata, senza possibilità di essere applicata.

Un altro problema sollevato riguarda le modalità con cui la norma sarebbe stata implementata. Alcuni governi, come quello della Danimarca e della Svezia, hanno espresso forti riserve, sostenendo che i loro modelli di contrattazione collettiva sarebbero stati messi a rischio. In questi Paesi i salari non sono stabiliti per legge, ma attraverso accordi tra sindacati e datori di lavoro. L’imposizione di una direttiva europea avrebbe potuto stravolgere un sistema consolidato e ritenuto efficace. In buona sostanza provocherebbe un effetto a catena che costringerebbe i datori di lavoro ad aumentare il livello degli stipendi per tutti per evitare un adeguamento all'importo del salario minimo.

Per le aziende multinazionali, la mancata armonizzazione salariale potrebbe però rivelarsi un vantaggio competitivo, in quanto permetterebbe loro di continuare a operare in Paesi con salari più bassi con costi ridotti della manodopera. E potrebbe anche portare a un aumento delle disuguaglianze interne nell’Unione europea con lavoratori degli stessi settori che percepiscono retribuzioni molto diverse a seconda del Paese di residenza.

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