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Class Action Opzione donna: depositato l'atto ufficiale. Cosa viene richiesto e i prossimi passaggi

di Marianna Quatraro pubblicato il
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La class action su Opzione Donna affronta le recenti restrizioni nell’accesso alla misura pensionistica, analizzando le posizioni di legge, giurisprudenza e parti sociali, e le prospettive di tutela dei diritti previdenziali femminili.

La recente iniziativa legale promossa da Class Action Italia porta nuovamente al centro del dibattito il tema della flessibilità nell’accesso alla pensione per le donne.

L’atto ufficiale, notificato alle principali istituzioni competenti, segna un passaggio significativo nell’impegno a difesa dei diritti delle lavoratrici.

L’accusa principale riguarda profili di discriminazione indiretta emersi dopo le modifiche delle recenti normative che hanno ristretto notevolmente la platea delle beneficiarie di quella che era una misura riconosciuta come salvaguardia sociale. Il percorso legale intrapreso unisce l’esperienza di avvocati e associazioni a testimonianze dirette di centinaia di donne escluse dal beneficio, offrendo uno spaccato reale sulle conseguenze pratiche delle restrizioni introdotte negli ultimi anni all’Opzione Donna.

La discriminazione e le criticità normative secondo Class Action Italia

Secondo le analisi e il ricorso dell’“Associazione Class Action Italia”, le attuali condizioni di accesso all’anticipo pensionistico introducono una discriminazione indiretta tra lavoratrici appartenenti allo stesso genere. Il punto critico, evidenziato nell’azione legale, consiste nella selezione di criteri soggettivi estremamente ristretti, che finiscono per escludere una quantità significativa di potenziali beneficiarie.

L’associazione rileva come l’impianto attuale della misura – fissato dalla L. 213/2023 – non solo crei esclusione sociale, ma vanifichi l’intento originario di riduzione delle disparità di genere che aveva guidato la nascita della misura nel 2004. Attraverso l’esperienza diretta di numerose donne escluse, il piano di Class Action Italia costruisce un quadro concreto delle conseguenze di queste restrizioni normative e della perdita di strumenti di tutela per chi, pur avendo maturato i requisiti anagrafici e contributivi, si vede negare l’accesso dalla mancanza dei tre criteri soggettivi previsti dalla legge attuale.

Le condizioni soggettive restrittive e l’esclusione delle lavoratrici

La recente disciplina regolata dalla L. 213/2023 ha introdotto tre condizioni soggettive fondamentali per accedere al pensionamento anticipato sotto il regime di Opzione Donna:

  • essere caregiver che assistono familiari portatori di disabilità grave
  • essere titolari di invalidità civile riconosciuta almeno al 74%
  • essere lavoratrici licenziate o dipendenti di aziende con tavoli di crisi attivi presso il Ministero
Le restrizioni risultano particolarmente severe per le lavoratrici licenziate da imprese medio-piccole o da realtà che, pur avendo vissuto crisi conclamate, non rientrano negli elenchi ministeriali ufficiali. Questo criterio produce una disparità interna alle stesse lavoratrici, generando esclusioni arbitrarie e priva di razionalità sociale o previdenziale. Diverse associazioni e comitati – tra cui il Comitato Opzione Donna Social – hanno sottolineato attraverso testimonianze dirette gli effetti di questa normativa, con lavoratrici rimaste in un limbo previdenziale pur avendo maturato i requisiti di età e contribuzione richiesti dalla precedente versione della misura.

L’errore interpretativo dell’INPS e la posizione della giurisprudenza

L’atto depositato dall’Associazione Class Action Italia evidenzia una problematica interpretativa culturale e normativa, individuata nella Circolare INPS n. 59/2024. Secondo l’Associazione, con questa circolare si è compiuta una “inversione logico-linguistica” della volontà legislativa, legando in modo automatico e indissolubile lo status di lavoratrice licenziata all’esistenza di procedimenti di crisi aziendale aperti presso il Ministero. Tale restrizione non trova rispondenza nella ratio ispiratrice della legge, né nel dato letterale, come riconosciuto anche dalla recente giurisprudenza.

La sentenza della Corte d’Appello di Ancona n. 205/2025 ha definito “del tutto irragionevole” questa interpretazione restrittiva, evidenziando come tale lettura finisca per negare l’accesso all’istituto ad ampie fasce di aventi diritto. L’esclusione operata dall’INPS viene perciò contestata sia sul piano tecnico-normativo sia su quello degli effetti concreti, rafforzando la posizione delle associazioni che richiedono una revisione interpretativa e normativa in autotutela.

Le richieste formali e i prossimi passaggi della class action

Il piano formalmente depositato dall’Associazione Class Action Italia presenta richieste articolate, dirette a rimuovere le disparità create dalla normativa e dalle sue interpretazioni applicative. Si tratta di una strategia che punta sia a soluzioni immediate che a interventi di riforma a medio termine. Sono state avanzate le seguenti richieste:

  • Convocazione urgente di un tavolo tecnico tra la Consigliera di Parità, l’INPS e il Ministero del Lavoro
  • Emissione di una nuova circolare interpretativa che corregga l’indirizzo assunto dall’INPS nella circolare 59/2024
  • Intervento legislativo di medio termine per eliminare i tre criteri soggettivi e tornare a requisiti basati unicamente su età anagrafica e contributi
L’Associazione ha inoltre annunciato che solleciterà ufficialmente l’Ufficio della Consigliera Nazionale di Parità per chiarimenti sulle tempistiche e sulle modalità di risposta, riservandosi di fornire aggiornamenti tempestivi tramite i propri canali per garantire la massima trasparenza sulle evoluzioni della procedura.