Dal 2006 il tuo sito imparziale su Lavoro, Fisco, Investimenti, Pensioni, Aziende ed Auto

Come č riuscita la Cina ad avere un surplus commerciale ed export record e i possibili effetti per l'Italia

di Marcello Tansini pubblicato il
record surplus cina cos come export

L’ascesa dell’export cinese, il surplus commerciale record e le strategie di Pechino stanno ridefinendo gli scenari economici globali, con effetti diretti sull’Italia: dall’industria alle PMI, tra rischi e nuove sfide.

Negli ultimi mesi la Cina ha registrato risultati senza precedenti nel settore del commercio internazionale, ribaltando le previsioni degli analisti attraverso una crescita delle esportazioni che si accompagna a una debolezza della domanda interna. L’incremento delle vendite verso l’estero, a fronte di una congiuntura globale segnata da tensioni protezionistiche e da fasi alterne di rallentamento economico, impone una riflessione approfondita sulle dinamiche che guidano oggi le relazioni tra Pechino e i partner mondiali. Lo squilibrio commerciale richiama l’attenzione sulle implicazioni dirette per l’Italia e pone nuovi interrogativi sulle possibili risposte del sistema industriale ed europeo.

L’ascesa dell’export cinese: dati attuali e fattori trainanti

I dati ufficiali segnalano che le esportazioni dalla Cina sono cresciute a novembre del 5,9% su base annua, molto al di sopra delle stime di inizio periodo, mentre l’import si è limitato a un incremento dell’1,9%. Questo slancio sorprendente arriva all’indomani della tregua commerciale siglata a fine ottobre tra i presidenti Xi Jinping e Donald Trump, che ha contribuito a distendere temporaneamente le tensioni tra i due principali attori economici mondiali. Il rimbalzo export dopo il calo di ottobre (-1,1%) evidenzia la vivacità delle catene produttive e la capacità di reagire rapidamente ai cambiamenti nello scenario delle relazioni internazionali.

Dietro a questi numeri, spicca la maggiore incidenza dei settori ad alta crescita, come l’. In particolare, la domanda di veicoli elettrici e componenti high-tech continua a sostenere le vendite globali, attestando la Cina quale protagonista nella transizione verso produzioni più sostenibili e digitalizzate.

  • Export verso USA: contrazione annua del 28,6% (33,8 miliardi di dollari), segno che la guerra dei dazi e le strategie di decoupling hanno inciso profondamente su questo asse commerciale.
  • Importazioni sottotono: solo +1,9% nonostante gli sforzi di Pechino per riequilibrare la bilancia e sostenere la domanda interna.
La resilienza e il rapido riposizionamento dei flussi commerciali rappresentano il vero tratto distintivo dell’attuale stagione dell’export cinese.

Surplus commerciale record: dinamiche, cause e impatti globali

Il saldo positivo degli scambi della Cina ha superato la soglia dei 1.076 miliardi di dollari nei primi undici mesi dell’anno, superando ogni primato precedente. Tale performance si lega sia alla debolezza delle importazioni interne sia alla capacità di conquistare nuovi mercati esteri.

Tra le cause dell’ampliamento del surplus spiccano:

  • la svalutazione del renminbi rispetto alle valute di riferimento (dollaro ed euro),
  • la rapida crescita dell’export verso Sudest Asiatico e Medio Oriente,
  • la riesportazione di beni attraverso Paesi terzi per aggirare le barriere tariffarie.
L’espansione dell’attivo commerciale cinese non è priva di conseguenze per gli equilibri macroscopici: partner come l’Unione Europea vedono aumentare i deficit bilaterali e si trovano a dover reagire con strumenti difensivi. L’intervento analitico di fonti come Capital Economics e Morgan Stanley suggerisce che, senza cambiamenti strutturali, la quota della Cina sulle esportazioni mondiali potrebbe crescere ulteriormente nei prossimi anni.

Alla base dell’exploit vi è una sistematica strategia di riposizionamento nei comparti a maggiore valore aggiunto. Tuttavia, ciò genera malcontento presso i governi dei Paesi importatori, tra cui la Francia e diversi Stati membri UE, che lamentano squilibri «insostenibili» e lanciano segnali di allerta sul rischio di deindustrializzazione europea.

Le strategie della Cina: diversificazione dei mercati, innovazione e politiche monetarie

Alla luce delle difficoltà incontrate sull’asse transpacifico, la leadership di Pechino si è orientata verso un approccio più proattivo e flessibile nella ridefinizione delle proprie priorità commerciali. Al centro di questa nuova fase si trovano:

  • la diversificazione geografica dell’export,
  • la ricerca nell’innovazione produttiva,
  • l’implementazione di politiche fiscali attive e una politica monetaria moderatamente espansiva.
Durante la recente riunione del Politburo, si è posta l’accento sulla costruzione di un mercato interno solido e sulla necessità di mantenere l’apertura internazionale, promuovendo un’integrazione intelligente delle filiere e una maggiore cooperazione con i mercati emergenti.

Misure mirate puntano a coltivare nuovi motori di crescita, con focus su industria 4.0, digitalizzazione e sostenibilità ambientale, rendendo la struttura esportativa cinese sempre più dinamica e meno vulnerabile agli shock esterni.

L’effetto della svalutazione del renminbi e la competitività internazionale

Un elemento centrale nell’espansione delle esportazioni di Pechino è la debolezza della divisa nazionale, il renminbi, soprattutto rispetto a dollaro ed euro. Questa tendenza:

  • rende i prodotti cinesi più accessibili sui mercati esteri,
  • aumenta i margini degli esportatori locali,
  • sostiene la domanda globale rivolta verso la Cina,
  • penalizza però le importazioni, confermando la fragilità della domanda interna.
Il risultato è un rafforzamento della competitività internazionale delle imprese cinesi, in particolare in settori come la manifattura avanzata e il comparto tecnologico. Analisti come Lynn Song sottolineano che la svalutazione, unita alla spinta innovativa, favorisce l’allargamento del surplus verso partner commerciali come la UE, suscitando nuove misure protezionistiche in risposta alla pressione concorrenziale.

Export cinese verso Usa, Ue e Sudest Asiatico: trend, limiti e sfide protezionistiche

Gli ultimi dati confermano che le vendite dirette verso gli Stati Uniti hanno subito un calo significativo, con una riduzione annua del 28,6%. La contrazione è attribuibile all’intensificarsi della guerra commerciale e alle strategie statunitensi di riduzione dei rischi.

In parallelo, si assiste a:

  • un aumento delle esportazioni verso l’Unione Europea (+14,8% a novembre), con una crescita accentuata nei segmenti veicoli elettrici, componentistica e tecnologia green,
  • una forte avanzata in Asia sudorientale (+8%), area che funge sia da nuovo mercato sia da snodo logistico per eludere parte dei dazi americani.
Le strategie di aggiramento delle barriere tariffarie – in particolare mediante la riesportazione dei beni attraverso terzi Paesi come Vietnam e Messico – sottolineano la capacità di adattamento delle aziende cinesi. Tuttavia, questo fenomeno alimenta ulteriori pressioni normative e il rischio di escalation protezionistica, specialmente nell’Unione Europea, dove i governi valutano dazi aggiuntivi e misure di controllo sulle importazioni soggette a sussidi statali.

Secondo l’ultimo report Morgan Stanley, la quota cinese sulle esportazioni mondiali potrebbe superare il 16,5% entro il 2030, nonostante le crescenti barriere all’accesso nei mercati Occidentali.

Ripercussioni e rischi per l’Italia: deficit commerciale, settori più colpiti e ruolo delle PMI

Il quadro italiano appare segnato da un rapido aumento del disavanzo commerciale verso Pechino, che nel 2024 ha sfiorato i 45 miliardi di euro. Si tratta di uno squilibrio che si è più che raddoppiato in soli sei anni, coinvolgendo una vasta gamma di settori.

I comparti maggiormente interessati dal crescente dominio cinese sono:

  • chimica (oltre 8 miliardi di euro di importazioni),
  • elettronica e ottica (circa 7,5 miliardi),
  • apparecchi elettrici e macchinari (circa 6 miliardi ciascuno).
Perfino nei segmenti dove il made in Italy gode di fama internazionale, si osserva un costante saldo negativo, accentuato dalle strategie di Pechino di passaggio da fornitore di componenti a venditore diretto di prodotti finiti, già brandizzati e destinati alla grande distribuzione europea.

Le piccole e medie imprese italiane (PMI) sono le più esposte sia alla dipendenza da forniture strategiche sia alla concorrenza di prodotti cinesi a basso costo. Questa pressione rischia di erodere i margini, costringendo molte realtà produttive a riposizionarsi su gamme più alte o a puntare su personalizzazione, brevetti e servizi a valore aggiunto – un percorso non sempre immediato né accessibile a tutti.

Secondo elaborazioni di centri studi e associazioni imprenditoriali, più di un quarto delle importazioni italiane di mobilio e tessile ha origine cinese; anche l’elettronica di consumo e i piccoli elettrodomestici sono settori sensibili alla concorrenza asiatica.

Va altresì rimarcata la conseguenza sistemica: l’Italia chiude con un surplus commerciale globale, ma il deficit verso il mercato cinese rappresenta una vulnerabilità specifica, con rischi di polarizzazione tra filiere vincenti e comparti industriali in arretramento.

Risposte dell’Italia e dell’Unione Europea: strategie, dazi e possibili scenari futuri

Di fronte all’accelerazione delle esportazioni di Pechino, l’Unione Europea e l’Italia stanno implementando misure difensive sempre più articolate. Gli organismi comunitari hanno introdotto dazi compensativi provvisori su prodotti sensibili come i veicoli elettrici, mentre le indagini antisovvenzioni riguardano anche tecnologie green.

Nel dettaglio, le principali linee di azione sono:

  • sostegno rafforzato alle filiere produttive europee a rischio deindustrializzazione,
  • rafforzamento degli strumenti di difesa commerciale e accelerazione delle procedure antidumping,
  • incoraggiamento delle PMI a investire su digitalizzazione e innovazione – chi compete solo sul prezzo risulta più vulnerabile,
  • diversificazione dei fornitori su scala continentale, per evitare eccessive dipendenze strategiche.
Nel segmento auto elettriche, la Commissione UE ha già imposto tariffe aggiuntive fino al 35% su alcuni produttori cinesi. Analoghe misure sono allo studio per i settori rinnovabili e high-tech, in una prospettiva di equilibrio tra sostegno ai consumatori, sicurezza energetica e difesa industriale.

Il dibattito resta aperto su come coniugare le esigenze di decarbonizzazione, prezzi concorrenziali e tutela della manifattura europea. Il rischio, sottolineano molti esperti, è che la frammentazione delle strategie produca effetti disomogenei nei diversi comparti e territori. Rafforzare la dimensione d’impresa e promuovere aggregazioni restano priorità per aumentare la resilienza dell’industria italiana di fronte al «buco cinese».

Conclusioni: cosa aspettarsi per il 2026 tra equilibri globali e interessi nazionali

L’anno prossimo si apre all’insegna dell’incertezza e della competizione internazionale. Pechino intende rafforzare il proprio modello di crescita orientato all’export, puntando su innovazione, mercati emergenti e capacità di adattamento normativo ai nuovi contesti geopolitici.

D’altro canto, l’Italia e l’UE sono chiamate a ridefinire le politiche industriali ed estere per affrontare uno scenario nel quale la pressione competitiva cinese continuerà a farsi sentire nei segmenti a medio e basso valore aggiunto. Le filiere avanzate, il capitale umano e le imprese orientate all’innovazione rappresentano il cardine su cui costruire la risposta europea.

Sebbene il surplus cinese destabilizzi i rapporti commerciali tradizionali, la sfida si gioca sulla capacità di sfruttare la crisi come leva per rinnovare l’approccio all’economia globale, evitando che la pressione dei container asiatici si trasformi in un rischio permanente di perdita di competitività e tenuta industriale.