L’ascesa dell’export cinese, il surplus commerciale record e le strategie di Pechino stanno ridefinendo gli scenari economici globali, con effetti diretti sull’Italia: dall’industria alle PMI, tra rischi e nuove sfide.
Negli ultimi mesi la Cina ha registrato risultati senza precedenti nel settore del commercio internazionale, ribaltando le previsioni degli analisti attraverso una crescita delle esportazioni che si accompagna a una debolezza della domanda interna. L’incremento delle vendite verso l’estero, a fronte di una congiuntura globale segnata da tensioni protezionistiche e da fasi alterne di rallentamento economico, impone una riflessione approfondita sulle dinamiche che guidano oggi le relazioni tra Pechino e i partner mondiali. Lo squilibrio commerciale richiama l’attenzione sulle implicazioni dirette per l’Italia e pone nuovi interrogativi sulle possibili risposte del sistema industriale ed europeo.
I dati ufficiali segnalano che le esportazioni dalla Cina sono cresciute a novembre del 5,9% su base annua, molto al di sopra delle stime di inizio periodo, mentre l’import si è limitato a un incremento dell’1,9%. Questo slancio sorprendente arriva all’indomani della tregua commerciale siglata a fine ottobre tra i presidenti Xi Jinping e Donald Trump, che ha contribuito a distendere temporaneamente le tensioni tra i due principali attori economici mondiali. Il rimbalzo export dopo il calo di ottobre (-1,1%) evidenzia la vivacità delle catene produttive e la capacità di reagire rapidamente ai cambiamenti nello scenario delle relazioni internazionali.
Dietro a questi numeri, spicca la maggiore incidenza dei settori ad alta crescita, come l’. In particolare, la domanda di veicoli elettrici e componenti high-tech continua a sostenere le vendite globali, attestando la Cina quale protagonista nella transizione verso produzioni più sostenibili e digitalizzate.
Il saldo positivo degli scambi della Cina ha superato la soglia dei 1.076 miliardi di dollari nei primi undici mesi dell’anno, superando ogni primato precedente. Tale performance si lega sia alla debolezza delle importazioni interne sia alla capacità di conquistare nuovi mercati esteri.
Tra le cause dell’ampliamento del surplus spiccano:
Alla base dell’exploit vi è una sistematica strategia di riposizionamento nei comparti a maggiore valore aggiunto. Tuttavia, ciò genera malcontento presso i governi dei Paesi importatori, tra cui la Francia e diversi Stati membri UE, che lamentano squilibri «insostenibili» e lanciano segnali di allerta sul rischio di deindustrializzazione europea.
Alla luce delle difficoltà incontrate sull’asse transpacifico, la leadership di Pechino si è orientata verso un approccio più proattivo e flessibile nella ridefinizione delle proprie priorità commerciali. Al centro di questa nuova fase si trovano:
Misure mirate puntano a coltivare nuovi motori di crescita, con focus su industria 4.0, digitalizzazione e sostenibilità ambientale, rendendo la struttura esportativa cinese sempre più dinamica e meno vulnerabile agli shock esterni.
Un elemento centrale nell’espansione delle esportazioni di Pechino è la debolezza della divisa nazionale, il renminbi, soprattutto rispetto a dollaro ed euro. Questa tendenza:
Gli ultimi dati confermano che le vendite dirette verso gli Stati Uniti hanno subito un calo significativo, con una riduzione annua del 28,6%. La contrazione è attribuibile all’intensificarsi della guerra commerciale e alle strategie statunitensi di riduzione dei rischi.
In parallelo, si assiste a:
Secondo l’ultimo report Morgan Stanley, la quota cinese sulle esportazioni mondiali potrebbe superare il 16,5% entro il 2030, nonostante le crescenti barriere all’accesso nei mercati Occidentali.
Il quadro italiano appare segnato da un rapido aumento del disavanzo commerciale verso Pechino, che nel 2024 ha sfiorato i 45 miliardi di euro. Si tratta di uno squilibrio che si è più che raddoppiato in soli sei anni, coinvolgendo una vasta gamma di settori.
I comparti maggiormente interessati dal crescente dominio cinese sono:
Le piccole e medie imprese italiane (PMI) sono le più esposte sia alla dipendenza da forniture strategiche sia alla concorrenza di prodotti cinesi a basso costo. Questa pressione rischia di erodere i margini, costringendo molte realtà produttive a riposizionarsi su gamme più alte o a puntare su personalizzazione, brevetti e servizi a valore aggiunto – un percorso non sempre immediato né accessibile a tutti.
Secondo elaborazioni di centri studi e associazioni imprenditoriali, più di un quarto delle importazioni italiane di mobilio e tessile ha origine cinese; anche l’elettronica di consumo e i piccoli elettrodomestici sono settori sensibili alla concorrenza asiatica.
Va altresì rimarcata la conseguenza sistemica: l’Italia chiude con un surplus commerciale globale, ma il deficit verso il mercato cinese rappresenta una vulnerabilità specifica, con rischi di polarizzazione tra filiere vincenti e comparti industriali in arretramento.
Di fronte all’accelerazione delle esportazioni di Pechino, l’Unione Europea e l’Italia stanno implementando misure difensive sempre più articolate. Gli organismi comunitari hanno introdotto dazi compensativi provvisori su prodotti sensibili come i veicoli elettrici, mentre le indagini antisovvenzioni riguardano anche tecnologie green.
Nel dettaglio, le principali linee di azione sono:
Il dibattito resta aperto su come coniugare le esigenze di decarbonizzazione, prezzi concorrenziali e tutela della manifattura europea. Il rischio, sottolineano molti esperti, è che la frammentazione delle strategie produca effetti disomogenei nei diversi comparti e territori. Rafforzare la dimensione d’impresa e promuovere aggregazioni restano priorità per aumentare la resilienza dell’industria italiana di fronte al «buco cinese».
L’anno prossimo si apre all’insegna dell’incertezza e della competizione internazionale. Pechino intende rafforzare il proprio modello di crescita orientato all’export, puntando su innovazione, mercati emergenti e capacità di adattamento normativo ai nuovi contesti geopolitici.
D’altro canto, l’Italia e l’UE sono chiamate a ridefinire le politiche industriali ed estere per affrontare uno scenario nel quale la pressione competitiva cinese continuerà a farsi sentire nei segmenti a medio e basso valore aggiunto. Le filiere avanzate, il capitale umano e le imprese orientate all’innovazione rappresentano il cardine su cui costruire la risposta europea.
Sebbene il surplus cinese destabilizzi i rapporti commerciali tradizionali, la sfida si gioca sulla capacità di sfruttare la crisi come leva per rinnovare l’approccio all’economia globale, evitando che la pressione dei container asiatici si trasformi in un rischio permanente di perdita di competitività e tenuta industriale.