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Come vanno l'Industria e la manifattura italiana? Dati e statistiche, luci e ombre nel Rapporto Industria 2025

di Marcello Tansini pubblicato il
rapporto industria italiana 2025

Dati, numeri e analisi rivelano le molteplici sfumature dell'industria italiana e manifatturiera : tra eccellenze, criticitŕ emergenti, politiche di sviluppo e il confronto tra diversi modelli d'impresa.

La produzione industriale e manifatturiera italiana rappresenta un pilastro portante per tutta l’economia, contribuendo direttamente a circa il 15% del PIL nazionale e, includendo l’indotto, arrivando fino al 30%. Forte di una lunga tradizione industriale e di una diffusa presenza su tutto il territorio, il settore si trova oggi di fronte a una stagione di intensa trasformazione. 

Resilienza e trasformazione emergono come parole chiave del momento. La manifattura italiana, seconda in Europa per valore e ottava nel contesto mondiale, ha dimostrato capacità di adattamento nonostante le sfide. Tuttavia, permangono elementi di vulnerabilità, legati soprattutto agli elevati costi produttivi e alle pressioni concorrenziali internazionali. 

Il quadro attuale dell’industria e della manifattura italiana: dati, dinamiche e posizionamento internazionale

Nel 2025, gli indicatori dipingono per l’industria italiana una situazione di rimbalzo moderato dopo anni complessi: la produzione industriale nei primi nove mesi dell’anno registra una contrazione dello 0,9% su base annua, evidenziando però un miglioramento rispetto ai cali dei periodi precedenti (-4% nel 2024). Il recente «Rapporto Industria 2025» segnala che il settore mantiene comunque una posizione di rilievo internazionale, essendo responsabile del 2,1% del valore aggiunto mondiale e del 13% di quello europeo. Questi dati confermano la centralità della manifattura nell’economia del paese e la sua caratura nel panorama europeo e mondiale.

Dal punto di vista delle esportazioni, la manifattura conferma la propria vocazione internazionale: oltre il 95% delle esportazioni totali italiane sono costituite da beni manifatturieri. L’export è sostenuto dalla capacità di presidiare le fasce qualitative medio-alte e di adattarsi rapidamente ai cambiamenti del contesto globale. In questo quadro, la dinamica delle vendite oltreconfine risulta particolarmente positiva: tra il 2015 e il 2025, la crescita media annua delle esportazioni italiane è stata pari al 2,4%, superando quella di altri grandi competitor europei, come Francia (+0,8%) e Germania (+1,1%).

Anche nel 2025, si registra un contributo decisivo da settori quali meccanica, farmaceutica, tessile e alimentare, che permettono al saldo commerciale manifatturiero di stabilizzarsi attorno ai 120 miliardi di euro annui. Secondo i dati ASI (Analisi dei Settori Industriali) di Intesa Sanpaolo, il fatturato della manifattura dovrebbe mantenersi stabile rispetto al 2024, con una possibile crescita moderata nei prossimi anni, supportata sia dal recupero dei mercati esteri sia dalla riattivazione degli investimenti interni.

La multinazionalizzazione delle imprese e la diversificazione lungo le filiere produttive rappresentano ulteriori elementi di tenuta. Tuttavia, il contesto internazionale appare segnato da una crescente instabilità: le tensioni commerciali, la volatilità dei costi energetici e l’incertezza geopolitica costituiscono fattori di rischio per la continuità e il consolidamento della ripresa del settore.

La competitività della manifattura italiana: tra punti di forza ed elementi di fragilità

La competitività delle imprese manifatturiere si fonda su alcune caratteristiche distintive che nel tempo hanno garantito il posizionamento del sistema industriale nostrano su scala europea e globale. In primo luogo, la qualità del prodotto resta elemento imprescindibile: il marchio Made in Italy viene riconosciuto e valorizzato per l’alto contenuto di innovazione, design e attenzione all’artigianalità. Le filiere integrate e la capacità di creare valore in segmenti di nicchia consentono all’Italia di primeggiare in molti comparti.

Sul fronte della produttività, però, emergono aspetti problematici. La crescita del valore aggiunto per ora lavorata, pur mostrando miglioramenti recenti, rimane inferiore ai livelli pre-crisi e rispetto ai principali partner europei. Ciò penalizza la competitività costo-tempo, anche a causa della prevalenza di micro e piccole imprese che, pur rappresentando la ricchezza territoriale, limitano l’efficienza aggregata del sistema.

  • La presenza di una solida cultura imprenditoriale e il forte legame tra imprese e territori rappresentano indubbi vantaggi competitivi.
  • La capacità di adattamento e resilienza delle imprese italiane è riconosciuta a livello internazionale e si traduce in pronta risposta agli shock esterni, come dimostrato anche dalle recenti turbolenze sulle catene di fornitura globali.
  • L’innovazione nei processi e nei prodotti, accompagnata dall’incremento negli investimenti in ricerca e sviluppo – che assorbono circa il 50% della spesa totale del comparto – rafforza le potenzialità di crescita futura.
Tra le debolezze da affrontare si annoverano però:
  • Persistenza di un gap nella digitalizzazione, in particolare tra le PMI, ancora distante dai livelli raggiunti in Germania e soprattutto in Francia.
  • L’elevata dipendenza energetica e i livelli di costo superiori alla media europea, che erodono i margini e frenano investimenti.
  • La difficoltà nel reperire competenze specialistiche, con carenza di profili tecnici adeguati ai nuovi paradigmi produttivi.
L’analisi del Centro Studi Confindustria evidenzia quindi che la competitività resta il risultato di un equilibrio tra punti di forza consolidati e criticità strutturali, il cui bilanciamento determinerà la traiettoria di crescita nei prossimi anni.

Costi energetici, produttività e investimenti: le principali criticità e prospettive di miglioramento

L’aumento dei costi dell’energia si configura come uno degli ostacoli più gravosi per le aziende, che in Italia risultano le più colpite nell’Unione Europea dagli effetti dei rincari registrati negli ultimi anni. L’incidenza dei costi energetici sulla produzione rimane di oltre un punto percentuale superiore ai livelli pre-pandemici (2018-2019), una soglia che penalizza fortemente settori energy intensive come metallurgia, ceramica, gomma-plastica e minerali non metalliferi.

A questa criticità si associa il tema della produttività del lavoro, ancora inferiore ai livelli ottimali. Il ritorno agli standard pre-crisi non è stato completato: il valore aggiunto per ora lavorata resta al di sotto dei picchi raggiunti nel passato, incidendo negativamente sulla capacità delle imprese di competere per costi e qualità nel medio termine.

Sul versante degli investimenti, il settore manifatturiero mostra tendenze divergenti: se gli investimenti materiali (macchinari, attrezzature) tengono in modo soddisfacente – anche grazie a incentivi fiscali come Industria 4.0 e Transizione 5.0 – sono gli asset immateriali (software, ricerca e sviluppo, competenze) a registrare un ritardo rispetto ai competitor europei. Nel 2025, la quota degli investimenti immateriali raggiunge il 15% del valore aggiunto, restando nettamente al di sotto dei livelli francesi e tedeschi.

Nonostante tali zavorre, si osserva una significativa crescita patrimoniale delle imprese, con la quota di capitale proprio salita al 49% del passivo nel 2023 e un forte calo dell’indebitamento bancario. Questo rafforzamento finanziario apre prospettive più solide per affrontare la volatilità dei mercati e investire nell’innovazione nei prossimi anni.
Prospettive di miglioramento, dunque, dovranno fondarsi su strumenti che riducano il gap energetico, favoriscano la transizione digitale e incoraggino investimenti sia sui beni materiali che su quelli immateriali, specie tra le piccole e medie imprese.

La struttura dimensionale del tessuto produttivo: micro, medie e grandi imprese a confronto

La struttura produttiva italiana è caratterizzata da un’elevata frammentazione: le microimprese (sotto i 10 addetti) rappresentano la maggioranza numerica, generando circa il 10% del valore aggiunto totale del settore. Questa peculiarità si riflette in un minor peso delle grandi imprese rispetto ad altri sistemi europei (solo il 42% del valore aggiunto manifatturiero italiano contro il 74% della Francia e il 75% della Germania). La prevalenza del piccolo, pur assicurando flessibilità e radicamento territoriale, costituisce un freno per l’efficienza produttiva complessiva.

Negli ultimi dieci anni, tuttavia, si evidenziano segnali di trasformazione positiva:

  • Il numero di microimprese è diminuito del 12%, segno di un processo selettivo e di accorpamento che favorisce una maggiore robustezza tra le imprese sopravvissute.
  • Le grandi aziende italiane hanno aumentato mediamente le proprie dimensioni e il loro peso all’interno del comparto produttivo.
  • Le imprese medie e grandi dimostrano di essere particolarmente performanti dal punto di vista della produttività, con risultati spesso superiori alle omologhe tedesche, francesi e spagnole. Le piccole imprese italiane restano seconde solo alle tedesche per efficienza.
Questo sviluppo segnala che l’efficienza produttiva tende a crescere insieme alle dimensioni d’impresa. Tuttavia, la sfida futura rimane quella di favorire la crescita dimensionale e il rafforzamento delle filiere, così da affrontare con maggiore solidità l’evoluzione della concorrenza internazionale.

Politiche industriali, innovazione e strategie per la crescita e resilienza della manifattura

Per rilanciare la resilienza e la crescita delle attività produttive, il confronto tra imprese e istituzioni evidenzia la necessità di misure strutturali e lungimiranti. Le richieste principali del tessuto imprenditoriale includono:

  • Maggiore stabilità normativa e semplificazione amministrativa per facilitare la pianificazione a medio e lungo termine.
  • Potenziamento degli incentivi agli investimenti produttivi, specie per la transizione digitale (come previsto nei piani Transizione 5.0 e nelle diverse misure nazionali ed europee).
  • Sostenere la riduzione dei costi energetici, anche con la spinta su fonti rinnovabili e investimenti in efficienza.
Il recente “Rapporto Industria 2025” documenta inoltre il valore delle politiche per l’inclusione e il rafforzamento delle competenze, indicando che la flessibilità del mercato del lavoro e l’adozione di interventi mirati su formazione e aggiornamento professionale incidono positivamente sulla competitività complessiva.

Le strategie future dovranno promuovere una maggiore integrazione delle filiere, sostenere la digitalizzazione e la transizione ecologica e garantire condizioni favorevoli agli investimenti in ricerca e sviluppo, anche grazie al supporto del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). L’innovazione non sarà solo tecnologica: dovrà essere accompagnata da investimenti in capitale umano e da una visione industriale orientata al lungo termine.

Luci, ombre e indicazioni in prospettiva dal Rapporto Industria 2025

Dal quadro delineato dall’ultima pubblicazione del Centro Studi Confindustria emerge un settore manifatturiero in ripresa, ma segnato da persistenti elementi di fragilità. La capacità di resistere agli shock degli ultimi anni e i risultati ottenuti sul fronte export rappresentano segnali positivi, mentre i dati relativi a produttività e costi energetici richiedono attenzione e intervento specifici.

I punti di forza distintivi – qualità della produzione, competitività sui mercati internazionali, crescita patrimoniale delle imprese e robustezza delle medie e grandi aziende – convivono con debolezze strutturali, in particolare per quanto riguarda l’eccessiva frammentazione dimensionale, il ritardo negli investimenti immateriali e l’esposizione ai rincari energetici.

Le direzioni indicate dal “Rapporto Industria 2025” suggeriscono che sarà essenziale puntare su innovazione, rafforzamento dimensionale, digitalizzazione e nuove politiche industriali, per garantire un percorso stabile di sviluppo. Solo in questo modo la manifattura italiana potrà mantenersi tra i protagonisti dell’economia europea e internazionale.