Il dibattito sulla gestione delle riserve auree vede la proposta di Fratelli d'Italia di trasferire l'oro da Bankitalia allo Stato. Si analizzano motivazioni, rischi economici, vincoli legali e precedenti storici.
Il tema delle riserve auree italiane, custodite da via Nazionale, si è imposto all’attenzione pubblica con la proposta avanzata da Fratelli d’Italia di trasferire la titolarità formale dell’oro direttamente allo Stato. Questa iniziativa, inserita tra gli emendamenti al disegno di legge per il bilancio 2026, punta a sancire che «le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato, in nome del Popolo Italiano».
Un simile passaggio suscita vivaci discussioni tra esperti, istituzioni finanziarie e forze politiche, poiché l’oro rappresenta uno degli asset strategici più rilevanti per la nazione. Il valore delle riserve attualmente supera i 270 miliardi di euro, con riflessi non solo simbolici ma anche sulla credibilità finanziaria del Paese.
L’interlocuzione si fa ancora più accesa per l’incidenza che una simile scelta potrebbe avere sui rapporti tra Italia e Unione Europea, così come sulle future politiche economiche.
Le riserve auree rappresentano una risorsa preziosa per la stabilità finanziaria dell’Italia. Attualmente, la Banca d’Italia detiene circa 2.500 tonnellate d’oro, un patrimonio valutato intorno ai 275 miliardi di euro secondo le quotazioni recenti. Questa massa aurifera riveste una funzione di garanzia sia per il sistema bancario che per la fiducia nei confronti della moneta e del debito pubblico. L’oro fisico risulta il più tradizionale degli strumenti di riserva: per le banche centrali, esso serve a rafforzare la credibilità sui mercati internazionali, specialmente in presenza di tensioni valutarie o crisi finanziarie.
La composizione delle riserve
La detenzione dell’oro da parte di una banca centrale nazionale comporta anche precise responsabilità giuridiche e restrizioni operative: le varie direttive europee e le norme del Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) impongono che queste risorse restino fuori dalle dinamiche del bilancio statale, pur rimanendo di fatto una proprietà "ultima" della collettività nazionale. L’oro custodito assicura, dunque, non solo un valore materiale ma anche un importante presidio per la reputazione internazionale della Repubblica Italiana.
L’iniziativa di Fratelli d’Italia si presenta sotto la forma di un emendamento al primo articolo della legge di Bilancio 2026. Il testo, promosso dal capogruppo FdI Lucio Malan e altri tre senatori, prevede una modifica significativa: "le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato, in nome del Popolo Italiano". Questo cambio normativo, seppur conciso nella formulazione, mira a ridefinire il legame giuridico tra le riserve aurifere e il bilancio statale.
Le motivazioni dichiarate alla base della proposta possono essere così sintetizzate:
La questione della titolarità delle riserve auree è regolata non solo dalla normativa italiana ma anche dai vincoli derivanti dal diritto europeo. Secondo l’art. 130 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, la Banca d’Italia gode di totale indipendenza nel compimento dei suoi compiti come parte del SEBC. Le riserve auree sono, quindi, iscritte nel patrimonio della banca centrale, quale soggetto di diritto pubblico autonomo.
Questo assetto giuridico comporta importanti conseguenze:
La prospettiva di spostare la proprietà delle riserve auree dallo scenario della banca centrale al bilancio statale comporta molteplici rischi, sia di ordine finanziario che di reputazione internazionale. Le principali criticità possono essere così riassunte:
Per comprendere i possibili effetti di una scelta del genere, utile è il raffronto con il caso della Banca d’Inghilterra nel 1999. All’epoca, la decisione di alienare una parte consistente delle riserve aurifere portò a una drastica flessione del prezzo dell’oro a livello globale. L’iniziativa scatenò proteste internazionali, soprattutto da parte delle altre banche centrali, preoccupate per il potenziale destabilizzante sul mercato dei metalli preziosi.
La conseguenza fu l’adozione di un accordo tra le principali banche centrali mondiali, attraverso cui si stabiliva una vendita progressiva per evitare crolli dei prezzi. Tuttavia, il danno all’immagine e al valore delle riserve fu rilevante per la stessa banca centrale inglese. Il caso britannico rappresenta un monito rispetto ai rischi di trasferire la gestione dell’oro dalle autorità bancarie alle logiche politiche, dimostrando come tale scelta possa produrre risultati contrari agli obiettivi dichiarati.
Analizzando nel merito le motivazioni e gli effetti di questa proposta di spostamento delle riserve auree sotto l’egida dello Stato, emergono alcuni vantaggi potenziali ma anche numerosi rischi.
| Vantaggi | Svantaggi |
|
|
La storia dimostra che le riserve auree, soprattutto nel quadro comunitario europeo, vanno gestite con cautela e secondo regole condivise, senza improvvisazioni legate a esigenze contingenti di copertura della spesa pubblica. L’eventuale riforma si collocherebbe, quindi, in una situazione ad altissimo rischio, con benefici simbolici disallineati rispetto alle possibili derive pratiche.