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Conviene spostare l'oro da Bankitalia allo Stato Italiano come richiede Fdi in Manovra Finanziaria? I pro e contro

di Marcello Tansini pubblicato il
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Il dibattito sulla gestione delle riserve auree vede la proposta di Fratelli d'Italia di trasferire l'oro da Bankitalia allo Stato. Si analizzano motivazioni, rischi economici, vincoli legali e precedenti storici.

Il tema delle riserve auree italiane, custodite da via Nazionale, si è imposto all’attenzione pubblica con la proposta avanzata da Fratelli d’Italia di trasferire la titolarità formale dell’oro direttamente allo Stato. Questa iniziativa, inserita tra gli emendamenti al disegno di legge per il bilancio 2026, punta a sancire che «le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato, in nome del Popolo Italiano».

Un simile passaggio suscita vivaci discussioni tra esperti, istituzioni finanziarie e forze politiche, poiché l’oro rappresenta uno degli asset strategici più rilevanti per la nazione. Il valore delle riserve attualmente supera i 270 miliardi di euro, con riflessi non solo simbolici ma anche sulla credibilità finanziaria del Paese.

L’interlocuzione si fa ancora più accesa per l’incidenza che una simile scelta potrebbe avere sui rapporti tra Italia e Unione Europea, così come sulle future politiche economiche. 

Il valore e il ruolo delle riserve auree della Banca d’Italia

Le riserve auree rappresentano una risorsa preziosa per la stabilità finanziaria dell’Italia. Attualmente, la Banca d’Italia detiene circa 2.500 tonnellate d’oro, un patrimonio valutato intorno ai 275 miliardi di euro secondo le quotazioni recenti. Questa massa aurifera riveste una funzione di garanzia sia per il sistema bancario che per la fiducia nei confronti della moneta e del debito pubblico. L’oro fisico risulta il più tradizionale degli strumenti di riserva: per le banche centrali, esso serve a rafforzare la credibilità sui mercati internazionali, specialmente in presenza di tensioni valutarie o crisi finanziarie.

La composizione delle riserve

  • Patrimonio: circa 2.500 tonnellate
  • Valore attuale stimato: 275 miliardi di euro
  • Quota rispetto al PIL nazionale: circa 13%
  • Percentuale in relazione al debito pubblico: 10%
Questo patrimonio, seppure formalmente gestito da Bankitalia, svolge un ruolo di "ancora" per il sistema economico, consentendo di sostenere la fiducia delle controparti internazionali. Storicamente, le riserve aurifere sono state accumulate per difendere la stabilità del sistema bancario interno e, più recentemente, per rispettare i requisiti di appartenenza al sistema euro.

La detenzione dell’oro da parte di una banca centrale nazionale comporta anche precise responsabilità giuridiche e restrizioni operative: le varie direttive europee e le norme del Sistema Europeo delle Banche Centrali (SEBC) impongono che queste risorse restino fuori dalle dinamiche del bilancio statale, pur rimanendo di fatto una proprietà "ultima" della collettività nazionale. L’oro custodito assicura, dunque, non solo un valore materiale ma anche un importante presidio per la reputazione internazionale della Repubblica Italiana.

La proposta di Fratelli d’Italia: motivazioni e contenuto dell’emendamento

L’iniziativa di Fratelli d’Italia si presenta sotto la forma di un emendamento al primo articolo della legge di Bilancio 2026. Il testo, promosso dal capogruppo FdI Lucio Malan e altri tre senatori, prevede una modifica significativa: "le riserve auree gestite e detenute dalla Banca d’Italia appartengono allo Stato, in nome del Popolo Italiano". Questo cambio normativo, seppur conciso nella formulazione, mira a ridefinire il legame giuridico tra le riserve aurifere e il bilancio statale.

Le motivazioni dichiarate alla base della proposta possono essere così sintetizzate:

  • Consentire allo Stato di poter disporre, in linea teorica, delle riserve auree come garanzia aggiuntiva in situazioni di crisi economica o finanziaria.
  • Rafforzare il principio di sovranità nazionale sulle risorse strategiche, soprattutto in periodo di eccessivo debito pubblico.
  • Accrescere la capacità del governo di risposta a scenari emergenziali, attraverso l’inserimento delle riserve nei meccanismi di equilibrio finanziario statale.
Il dibattito in seno alla maggioranza richiama, tuttavia, anche riflessioni prudenti: fonti governative hanno escluso una reale volontà di "utilizzare" direttamente questo oro sul mercato. Si sottolinea, piuttosto, l’intenzione di rafforzare la posizione negoziale dell’Italia in ambito europeo.

Implicazioni giuridiche: la proprietà dell’oro e i vincoli UE

La questione della titolarità delle riserve auree è regolata non solo dalla normativa italiana ma anche dai vincoli derivanti dal diritto europeo. Secondo l’art. 130 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea, la Banca d’Italia gode di totale indipendenza nel compimento dei suoi compiti come parte del SEBC. Le riserve auree sono, quindi, iscritte nel patrimonio della banca centrale, quale soggetto di diritto pubblico autonomo.

Questo assetto giuridico comporta importanti conseguenze:

  • Il Parlamento italiano potrebbe intervenire solo entro i limiti imposti dalle superiori norme europee.
  • La proprietà giuridica della materia prima resta in capo a Bankitalia, pur potendosi considerare di “ultima istanza” proprietà della nazione attraverso l’istituzione che la incarna.
  • Operazioni di trasferimento o utilizzo a fini di bilancio rischiano di entrare in conflitto con il principio di indipendenza, mettendo a rischio la permanenza dell’Italia nei meccanismi finanziari dell’eurosistema.
Nel passato, tentativi simili a quello odierno – si veda il progetto Tremonti sulla “gold tax” o la proposta Prodi di vendere parte delle riserve – sono stati bloccati dalla Banca Centrale Europea, riaffermando il carattere inalienabile di tali riserve senza adeguata copertura giuridica sovranazionale. Il rispetto dei criteri europei è dunque un elemento obbligato per qualsiasi cambio nella gestione dell’oro detenuto da Bankitalia.

I possibili rischi economici e di credibilità per l’Italia

La prospettiva di spostare la proprietà delle riserve auree dallo scenario della banca centrale al bilancio statale comporta molteplici rischi, sia di ordine finanziario che di reputazione internazionale. Le principali criticità possono essere così riassunte:

  • Perdita di fiducia dei mercati: Il solo annuncio di una modifica nella gestione dell’oro potrebbe essere interpretato dagli investitori e dalle istituzioni internazionali come un segnale di vulnerabilità finanziaria o di emergenza fiscale.
  • Possibile impatto negativo sui rating sovrani: Le agenzie di valutazione considerano il livello delle riserve e la solidità delle istituzioni bancarie centrali come parametri di affidabilità. Un intervento sulle riserve rischia di alimentare percezioni negative, influendo negativamente sullo spread e sul costo del debito pubblico.
  • Effetti sul prezzo dell’oro: Eventuali ipotesi di vendita, anche parziale, di un quantitativo significativo di oro italiano sul mercato globale potrebbero contribuire a depressare i prezzi, come già avvenuto in passato per altre banche centrali. Un’operazione simile avrebbe un impatto non solo per l’Italia, ma per tutto il sistema di riserve internazionali.
  • Messaggio di "ultima ratio": La scelta di far confluire asset di riserva nel bilancio dello Stato sarebbe percepita come ammissione di difficoltà nel reperire risorse attraverso canali ordinari, rischiando uno stigma internazionale.
Secondo ex responsabili dell’Ufficio Studi di Bankitalia, questa operazione equivarrebbe a dichiarare a mercati e partner internazionali l’incapacità di reperire risorse senza intaccare i presidi strategici nazionali. L’utilità dell’oro risiede proprio nella discrezione e nella sua capacità di sostenere fiducia e stabilità, mentre la sua liquidazione esplicita – o il solo minacciarla politicamente – rischia di compromettere uno degli asset-valore più significativi del Paese.

Precedenti storici: cosa accadde alla Banca d’Inghilterra

Per comprendere i possibili effetti di una scelta del genere, utile è il raffronto con il caso della Banca d’Inghilterra nel 1999. All’epoca, la decisione di alienare una parte consistente delle riserve aurifere portò a una drastica flessione del prezzo dell’oro a livello globale. L’iniziativa scatenò proteste internazionali, soprattutto da parte delle altre banche centrali, preoccupate per il potenziale destabilizzante sul mercato dei metalli preziosi.

La conseguenza fu l’adozione di un accordo tra le principali banche centrali mondiali, attraverso cui si stabiliva una vendita progressiva per evitare crolli dei prezzi. Tuttavia, il danno all’immagine e al valore delle riserve fu rilevante per la stessa banca centrale inglese. Il caso britannico rappresenta un monito rispetto ai rischi di trasferire la gestione dell’oro dalle autorità bancarie alle logiche politiche, dimostrando come tale scelta possa produrre risultati contrari agli obiettivi dichiarati.

Conclusioni: pro e contro dello spostamento dell’oro allo Stato

Analizzando nel merito le motivazioni e gli effetti di questa proposta di spostamento delle riserve auree sotto l’egida dello Stato, emergono alcuni vantaggi potenziali ma anche numerosi rischi.

Vantaggi Svantaggi
  • Rafforzamento simbolico della sovranità nazionale sulle risorse aurifere.
  • Possibilità, in casi estremi, di disporre di un’ulteriore ancora di garanzia per il debito pubblico.
  • Aumento della pressione negoziale in sede internazionale ed europea.
  • Rischio di perdita di credibilità sui mercati finanziari e nelle sedi comunitarie.
  • Possibili violazioni dei vincoli normativi europei, con ripercussioni sull’operatività all’interno del SEBC.
  • Pericolo di depressione dei prezzi dell’oro se la misura venisse accompagnata da cessioni o utilizzi straordinari
  • Messaggio di emergenza trasmesso agli osservatori esterni, con effetti negativi sulla percezione della salute finanziaria nazionale.
Molti analisti sottolineano come la gestione delle riserve da parte di una banca centrale indipendente sia condizione essenziale perché queste conservino il massimo del loro potenziale protettivo. Spostare la proprietà formale all’amministrazione statale rischia di indebolire questa funzione, trasmettendo un segnale di debolezza piuttosto che di forza alla comunità internazionale.

La storia dimostra che le riserve auree, soprattutto nel quadro comunitario europeo, vanno gestite con cautela e secondo regole condivise, senza improvvisazioni legate a esigenze contingenti di copertura della spesa pubblica. L’eventuale riforma si collocherebbe, quindi, in una situazione ad altissimo rischio, con benefici simbolici disallineati rispetto alle possibili derive pratiche.