Il dettaglio delle singole province mette in evidenza le disuguaglianze territoriali e conferma che la maggior parte dei territori più attivi si concentra nel Nord Italia.
I dati mostrano quanto il mercato del lavoro italiano sia spaccato tra Nord e Sud, non solo in termini di opportunità occupazionali, ma anche nel numero di giorni lavorati nel corso dell'anno. Se nel Settentrione si è raggiunta una media di 255 giornate lavorative, il Mezzogiorno si è fermato a 228, una differenza di 27 giorni che è il riflesso di dinamiche strutturali più complesse.
Alla base di questo divario ci sono fenomeni endogeni e cronici, come la diffusione del lavoro sommerso che priva migliaia di persone di contratti regolari e tutele, e la precarietà occupazionale, che nel Sud assume spesso i tratti di intermittenza lavorativa, stagionalità estrema e assenza di continuità contrattuale. Questi elementi concorrono a ridurre il numero effettivo di giornate lavorate. Vediamo da vicino:
All'estremo opposto, Vibo Valentia si conferma come la provincia con il minore numero di giorni lavorati, fermandosi a 193,3 giornate annue, un dato che fotografa una situazione drammatica sotto il profilo occupazionale. Anche altre province del Sud e delle isole, come Nuoro (205,2), Trapani (213,3) e Foggia (213,5), mostrano un numero di giornate lavorative molto inferiore alla media nazionale, a testimonianza di un mercato del lavoro più fragile, caratterizzato da settori deboli, scarsa industrializzazione e un alto tasso di disoccupazione strutturale. Curiosamente, anche Rimini, seppur nel Centro-Nord, registra un valore basso (212,5 giorni), condizionato dalla forte stagionalità turistica, che limita la stabilità lavorativa nel resto dell'anno.
Il numero di giornate lavorate non è solo una statistica da registrare nei report, ma ha ricadute sulla produttività e sulle retribuzioni che determinano la capacità di reddito delle famiglie e il benessere dei territori. Secondo le rilevazioni, la retribuzione media giornaliera di un lavoratore del Nord si attesta a 104 euro lordi, mentre nel Sud scende a 77 euro, con un divario del 35% che testimonia una doppia penalizzazione: meno giorni lavorati e retribuzioni più basse.
Non sorprende quindi che le retribuzioni annue più alte si concentrino nelle province settentrionali, con Milano che guida la classifica con 34.343 euro medi annui, seguita da Monza-Brianza (28.833 euro), Parma (27.869 euro), Modena (27.671 euro), Bologna (27.603 euro) e Reggio Emilia (26.937 euro). Al contrario, i livelli più bassi si registrano nelle province del Sud, con Vibo Valentia che chiude la classifica con 13.388 euro annui, seguita da Nuoro (14.676 euro), Cosenza (14.817 euro) e Trapani (14.854 euro), a conferma di un gap economico che sembra consolidarsi anno dopo anno.