L'Italia sta valutando l'introduzione di normative più stringenti per l'accesso dei minori ai social network, ispirandosi anche a iniziative internazionali come quella australiana.
L’uso dei social network da parte dei minorenni è da tempo oggetto di dibattiti, alimentati dalle preoccupazioni per la salute mentale, la sicurezza online e la privacy dei dati. L’Australia ha ad esempio introdotto una legge innovativa che vieta l’accesso ai social network ai minori di 16 anni. In pratica ha imposto alle piattaforme digitali obblighi stringenti per la verifica dell’età degli utenti. Questo provvedimento, tra i più restrittivi al mondo, ha acceso il dibattito anche in Italia, dove si stanno valutando misure simili per tutelare i giovani:
In Italia, la normativa stabilisce che i minorenni possano accedere ai social network autonomamente solo a partire dai 14 anni, come previsto dal GDPR recepito nel 2018. Al di sotto di questa età, l’accesso è consentito solo con il consenso esplicito dei genitori o dei tutori legali. La verifica dell’età e del consenso è spesso superficiale, rendendo inefficace il controllo.
Il tema ha riacceso l’interesse politico. In Parlamento sono in discussione proposte di legge per innalzare l’età minima di accesso ai social network a 15 o 16 anni, seguendo l’esempio australiano. Queste proposte mirano a garantire una maggiore tutela dei minorenni, ma incontrano ostacoli legati alla difficoltà di implementazione e ai rischi di esclusione digitale.
Una delle proposte più rilevanti è stata avanzata da Lavinia Mennuni (Fratelli d’Italia) e Marianna Madia (Partito Democratico), che propongono di vietare l’uso dei social network ai minori di 15 anni senza autorizzazione formale dei genitori. Questa iniziativa include anche norme specifiche per regolamentare i cosiddetti baby influencer, proteggendo i minori dal rischio di sfruttamento economico e psicologico nel mondo digitale.
Un’altra proposta del gruppo Azione-Italia Viva prevede di alzare a 15 anni l’età minima per accedere autonomamente ai social, vietando l’iscrizione ai minori di 13 anni. Questo disegno di legge affronta inoltre la questione delle responsabilità delle piattaforme digitali e invoca una maggiore trasparenza sui metodi di verifica dell’età e sul trattamento dei dati personali.
L’introduzione di restrizioni più severe in Italia solleva diverse sfide pratiche. La verifica dell’età degli utenti richiede l’adozione di tecnologie affidabili ma rispettose della privacy, come l’autenticazione tramite documenti d’identità o sistemi di intelligenza artificiale. Queste soluzioni potrebbero incontrare resistenze sia da parte delle piattaforme, che temono costi eccessivi, sia da parte degli utenti, preoccupati per la sicurezza dei propri dati.
Vietare l’accesso ai social network ai minori potrebbe alimentare fenomeni di esclusione digitale, penalizzando i giovani che utilizzano queste piattaforme per scopi educativi o relazionali. Gli esperti sottolineano la necessità di accompagnare eventuali restrizioni normative con programmi di educazione digitale e campagne di sensibilizzazione per promuovere un uso consapevole dei social media.
Sebbene l’Italia non abbia ancora adottato misure restrittive come quelle australiane, il dibattito è destinato a intensificarsi nei prossimi mesi. Le pressioni per regolamentare l’accesso ai social network riflettono una crescente consapevolezza dei rischi legati all’uso improprio delle piattaforme digitali. Tuttavia, il successo di queste iniziative dipenderà dalla capacità del legislatore di bilanciare le esigenze di protezione con il rispetto dei diritti digitali dei cittadini.
L’esperienza australiana offre un modello interessante, ma non privo di criticità. Per garantire un’implementazione efficace delle nuove regole, sarà fondamentale investire in tecnologie avanzate, rafforzare i meccanismi di controllo e coinvolgere attivamente tutte le parti interessate, dalle aziende tecnologiche alle famiglie.