La violenza sulle donne lascia ferite profonde, non solo nelle vittime ma nell’intera societŕ. Nell’articolo si analizzano dati, impatti personali e collettivi, risposte istituzionali e sfide culturali, tra costi umani ed economici.
Il 25 novembre rappresenta una ricorrenza internazionale dedicata alla riflessione sulla violenza di genere. Questa giornata, istituita dall’ONU nel 1999, segna un momento di bilancio e consapevolezza su un fenomeno che attraversa confini, culture ed epoche e che, purtroppo, continua a segnare la società italiana ed europea.
Se il dolore, la sofferenza e la perdita di dignità di chi subisce violenza sono incalcolabili, la società si ritrova a confrontarsi anche con conseguenze collettive che vanno oltre la sfera personale e familiare. Le ripercussioni sociali, i danni sul tessuto economico e sanitario e il tema dei costi, sia visibili che nascosti, sono oggi al centro di un dibattito essenziale che mette in relazione giustizia, diritti umani e sviluppo.
Le statistiche recenti confermano l’ampiezza e la persistenza del fenomeno, in Italia come nel resto d’Europa. Secondo Istat ed Eurostat, una donna su tre in Europa ha subito violenza fisica o sessuale, e tra le giovani tra i 18 e 29 anni la percentuale raggiunge il 35%. La gravità della situazione è ulteriormente rafforzata da dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: 736 milioni di donne nel mondo hanno subito violenze dal partner e, solo nel 2023, 51.100 donne e ragazze sono state uccise da partner o familiari.
In Italia, il quadro appare altrettanto allarmante:
La realtà dei femminicidi impone un’analisi rigorosa: la crescente attenzione mediatica e l’espansione degli strumenti di denuncia sono elementi positivi, ma non compensano il deficit di un sistema informativo esaustivo e aggiornato. Manca ancora una cultura del dato diffusa e accessibile, unica chiave per progettare interventi e monitorare l’efficacia delle politiche di contrasto.
Il danno per chi subisce violenza va ben oltre la dimensione immediata dell’evento. Le ferite, fisiche e interiori, si trasformano spesso in cicatrici permanenti, non solo nel corpo, ma anche nella psiche. Le storie di donne come Filomena Lamberti, aggredita con l’acido dall’ex marito, o di Maria Antonietta Rositani, sopravvissuta a gravi ustioni, sono emblema della lunga strada che molte percorrono per tentare di ricostruire la propria esistenza.
Oltre agli impatti evidenti e documentati — danni alla salute, limitazioni funzionali, necessità di continue cure chirurgiche e psicologiche — le vittime affrontano anche conseguenze profonde come:
Oltre all’aspetto umano e personale, la violenza sulle donne determina costi rilevanti per l’intera collettività. Le stime più recenti, elaborate dall’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere, valutano l’impatto della violenza di genere nell’Unione Europea in 366 miliardi di euro l’anno, di cui 289 attribuibili al solo fenomeno sulle donne. Nel contesto italiano, la cifra oscilla tra 16 e 17 miliardi di euro l’anno, una somma che si suddivide tra:
Va osservato che, a fronte di una spesa così elevata, gli investimenti nella prevenzione risultano ancora irrisori: appena 6,3 milioni di euro sono stati destinati ad attività preventive, a dimostrazione di una grave sproporzione tra costi affrontati e risorse dedicate a contrastare il fenomeno alla radice.
Il sistema normativo italiano ed europeo ha compiuto progressi sostanziali nel rafforzare la tutela delle donne, ma permangono lacune applicative e strategiche. In Italia, l’introduzione del Codice Rosso (legge n. 69/2019) ha rafforzato i meccanismi sanzionatori e la tempestività di intervento, mentre nel 2024 la nuova direttiva europea ha incluso innovazioni nella punibilità di nuove e gravi forme di violenza, quali il revenge porn, le mutilazioni genitali e lo stalking online, la molestia e l’incitamento all’odio di genere.
Le azioni istituzionali si sono concentrate anche su:
Uno degli ostacoli maggiori nella lotta alla violenza di genere in Italia riguarda l’assenza di un sistema di dati accessibile, rigoroso e aggiornato. Secondo esperte come Donata Columbro, la carenza di banche dati aperte impedisce un’analisi accurata e limita la possibilità di valutare l’efficacia delle azioni messe in campo. Questa debolezza genera ulteriori problemi: