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Giornata contro la violenza sulle donne: i costi personali e sociali sono incalcolabili ma anche quelli economici

di Marcello Tansini pubblicato il
vioenza sulle donne

La violenza sulle donne lascia ferite profonde, non solo nelle vittime ma nell’intera societŕ. Nell’articolo si analizzano dati, impatti personali e collettivi, risposte istituzionali e sfide culturali, tra costi umani ed economici.

Il 25 novembre rappresenta una ricorrenza internazionale dedicata alla riflessione sulla violenza di genere. Questa giornata, istituita dall’ONU nel 1999, segna un momento di bilancio e consapevolezza su un fenomeno che attraversa confini, culture ed epoche e che, purtroppo, continua a segnare la società italiana ed europea.

Se il dolore, la sofferenza e la perdita di dignità di chi subisce violenza sono incalcolabili, la società si ritrova a confrontarsi anche con conseguenze collettive che vanno oltre la sfera personale e familiare. Le ripercussioni sociali, i danni sul tessuto economico e sanitario e il tema dei costi, sia visibili che nascosti, sono oggi al centro di un dibattito essenziale che mette in relazione giustizia, diritti umani e sviluppo.

Dati e dimensioni della violenza sulle donne in Italia e in Europa

Le statistiche recenti confermano l’ampiezza e la persistenza del fenomeno, in Italia come nel resto d’Europa. Secondo Istat ed Eurostat, una donna su tre in Europa ha subito violenza fisica o sessuale, e tra le giovani tra i 18 e 29 anni la percentuale raggiunge il 35%. La gravità della situazione è ulteriormente rafforzata da dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: 736 milioni di donne nel mondo hanno subito violenze dal partner e, solo nel 2023, 51.100 donne e ragazze sono state uccise da partner o familiari.

In Italia, il quadro appare altrettanto allarmante:

  • 2,4 milioni di donne tra i 16 e i 70 anni hanno subito violenza fisica negli ultimi cinque anni.
  • Nel 2025, il 60% delle donne uccise era vittima del partner o ex partner; l’83% dei casi avviene nel contesto familiare.
  • La dimensione sommersa resta significativa: solo una donna su quattro denuncia o chiede aiuto.
  • Il lavoro resta un contesto a rischio — una donna su tre denuncia molestie sul luogo di impiego.
Il fenomeno si manifesta inoltre in molteplici forme: controllo psicologico, violenza economica, stereotipi di genere e forme di aggressione digitale. Gli ultimi dati riportano che il 6,4% delle donne tra i 14 e i 70 anni ha subito molestie digitali, mentre la violenza domestica coinvolge ormai un’ampia parte della popolazione. Le chiamate al numero antiviolenza 1522 sono aumentate del 25,8% nel 2024 rispetto all’anno precedente, segno di una crescente consapevolezza tra le vittime e di un efficace lavoro di informazione pubblica.

La realtà dei femminicidi impone un’analisi rigorosa: la crescente attenzione mediatica e l’espansione degli strumenti di denuncia sono elementi positivi, ma non compensano il deficit di un sistema informativo esaustivo e aggiornato. Manca ancora una cultura del dato diffusa e accessibile, unica chiave per progettare interventi e monitorare l’efficacia delle politiche di contrasto.

L'impatto personale: testimonianze, conseguenze fisiche e psicologiche delle vittime

Il danno per chi subisce violenza va ben oltre la dimensione immediata dell’evento. Le ferite, fisiche e interiori, si trasformano spesso in cicatrici permanenti, non solo nel corpo, ma anche nella psiche. Le storie di donne come Filomena Lamberti, aggredita con l’acido dall’ex marito, o di Maria Antonietta Rositani, sopravvissuta a gravi ustioni, sono emblema della lunga strada che molte percorrono per tentare di ricostruire la propria esistenza.

Oltre agli impatti evidenti e documentati — danni alla salute, limitazioni funzionali, necessità di continue cure chirurgiche e psicologiche — le vittime affrontano anche conseguenze profonde come:

  • Disturbi post-traumatici e ansia cronica
  • Difficoltà relazionali e isolamento sociale
  • Perdita dell’autonomia economica e lavorativa
  • Senso di colpa, vergogna, paura di non essere credute
Il progetto RigeneraDerma, con terapie gratuite dedicate al recupero fisico delle donne sopravvissute a violenze gravi, mette in luce la necessità di integrare il supporto sanitario con azioni di promozione della qualità della vita e della fiducia in sé stesse. Il sostegno psicologico e le reti di solidarietà restano strumenti essenziali per affrontare il trauma e consentire alle vittime di ripensare il proprio futuro.

Conseguenze collettive: costi sociali, sanitari ed economici della violenza di genere

Oltre all’aspetto umano e personale, la violenza sulle donne determina costi rilevanti per l’intera collettività. Le stime più recenti, elaborate dall’Istituto Europeo per l’Uguaglianza di Genere, valutano l’impatto della violenza di genere nell’Unione Europea in 366 miliardi di euro l’anno, di cui 289 attribuibili al solo fenomeno sulle donne. Nel contesto italiano, la cifra oscilla tra 16 e 17 miliardi di euro l’anno, una somma che si suddivide tra:

  • Spese sanitarie e psicologiche: oltre 460 milioni di euro per cure e 158 milioni per sostegno psicoterapeutico.
  • Acquisto di farmaci: circa 44 milioni di euro.
  • Perdita di produttività: più di 604 milioni di euro, considerando la sottrazione dal mondo del lavoro delle vittime.
  • Costi giudiziari e delle Forze dell’Ordine: oltre 657 milioni complessivi.
  • Spese legali: quasi 290 milioni di euro.
Tutta questa spesa collettiva si traduce in una cifra che — in media — può essere assimilata a oltre 500 euro al secondo sulle casse pubbliche. Questa media, valutata in relazione ai dati ISTAT, non tiene conto delle perdite a lungo termine dovute alle conseguenze generazionali e sociali, come la trasmissione della violenza ai figli e la fragilità delle reti di supporto.

Va osservato che, a fronte di una spesa così elevata, gli investimenti nella prevenzione risultano ancora irrisori: appena 6,3 milioni di euro sono stati destinati ad attività preventive, a dimostrazione di una grave sproporzione tra costi affrontati e risorse dedicate a contrastare il fenomeno alla radice.

La risposta istituzionale e legislativa: prevenzione, supporto e iniziative concrete

Il sistema normativo italiano ed europeo ha compiuto progressi sostanziali nel rafforzare la tutela delle donne, ma permangono lacune applicative e strategiche. In Italia, l’introduzione del Codice Rosso (legge n. 69/2019) ha rafforzato i meccanismi sanzionatori e la tempestività di intervento, mentre nel 2024 la nuova direttiva europea ha incluso innovazioni nella punibilità di nuove e gravi forme di violenza, quali il revenge porn, le mutilazioni genitali e lo stalking online, la molestia e l’incitamento all’odio di genere.

Le azioni istituzionali si sono concentrate anche su:

  • Incremento dei centri antiviolenza — nel 2023 erano 404 — e rafforzamento delle case rifugio
  • Crescita della formazione degli operatori e campagne di sensibilizzazione
  • Reddito di libertà: un sostegno economico diretto a favorire l’emancipazione delle vittime, benché la copertura resti parziale
Tuttavia, la mancanza di sistemi informativi integrati e di banche dati pubbliche aggiornata su casi e dinamiche della violenza rappresenta ancora un ostacolo alla progettazione di politiche efficaci. L’iniziativa “Corri Libera” e le sempre più frequenti manifestazioni pubbliche contribuiscono non solo a sensibilizzare, ma a ridisegnare l’approccio culturale e sociale all’emergenza.

La cultura del dato, la rappresentazione mediatica e le sfide per una narrazione responsabile

Uno degli ostacoli maggiori nella lotta alla violenza di genere in Italia riguarda l’assenza di un sistema di dati accessibile, rigoroso e aggiornato. Secondo esperte come Donata Columbro, la carenza di banche dati aperte impedisce un’analisi accurata e limita la possibilità di valutare l’efficacia delle azioni messe in campo. Questa debolezza genera ulteriori problemi:

  • Raccolte statistiche frammentate e insufficienti
  • Tendenza all’isolamento dei singoli casi nella cronaca invece che alla comprensione del fenomeno come questione strutturale
  • Persistenza della cosiddetta "vittimizzazione secondaria" nei media, con discussioni sulla condotta della donna piuttosto che sulla responsabilità collettiva
L’approccio del femminismo dei dati suggerisce di coniugare rigore analitico con consapevolezza sociale, per evitare il rischio di giustificare o normalizzare la violenza. Reti di attiviste e ricercatrici, in Italia e all’estero, dimostrano che raccontare le storie dietro i numeri è una forma di giustizia sociale, essenziale per combattere stereotipi e poteri radicati.