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I beni e prodotti più importanti ed essenziali sono sempre più in affitto. Cosa nasconde questo crescente trend

di Marcello Tansini pubblicato il
Insicurezza economica, desiderio di sost

La casa, un tempo considerata il principale investimento di una vita, è oggi vissuta in affitto anche da chi potrebbe permettersi l'acquisto.

Un tempo la casa si comprava, l'auto si acquistava, l'armadio si riempiva con abiti destinati a durare anni e gli elettrodomestici si sceglievano con l'idea che potessero attraversare almeno un decennio di vita domestica. Oggi la logica del possesso lascia il passo a quella dell'uso e il concetto stesso di essere proprietario sembra svuotarsi di senso. A imporsi è una visione del mondo più liquida, dove l'accesso conta più della titolarità e dove affittare diventa sinonimo di libertà. È una rivoluzione che riguarda non solo beni occasionali come un trapano o un vestito elegante per un evento, ma anche le due colonne portanti del vivere contemporaneo: la casa e l'auto.

La casa, un tempo considerata il principale investimento di una vita, è oggi vissuta in affitto anche da chi potrebbe permettersi l'acquisto. Le nuove generazioni, soprattutto nei centri urbani, preferiscono evitare il mutuo, l'anticipo, i vincoli pluridecennali, a favore di una maggiore mobilità e di un rapporto meno totalizzante con lo spazio abitativo. Allo stesso tempo l'auto non è più un oggetto da possedere, ma un servizio da utilizzare: il noleggio a lungo termine, i car sharing, le formule in abbonamento si moltiplicano e conquistano quote di mercato, perché promettono flessibilità, zero pensieri e la possibilità di cambiare veicolo con la stessa disinvoltura con cui si cambia smartphone.

Insicurezza economica, desiderio di sostenibilità, evoluzione digitale

L'ascesa dell'affitto come nuova normalità nè la conseguenza di una tripla mutazione strutturale. Innanzitutto, l'instabilità economica degli ultimi quindici anni tra crisi finanziarie, pandemia, inflazione e precarietà lavorativa ha minato alla base la fiducia nella pianificazione a lungo termine. Acquistare una casa o un'auto implica un impegno economico imponente, difficile da sostenere per chi vive in condizioni di reddito intermittente o in città dove i prezzi al metro quadro superano ogni ragionevole proporzione.

In secondo luogo, cresce una consapevolezza ambientale sempre più diffusa: affittare significa condividere, evitare sprechi, allungare la vita degli oggetti e dunque ridurre l'impatto ambientale. Infine, la digitalizzazione ha abbattuto ogni barriera di accesso al noleggio. In pochi click si può affittare qualsiasi cosa: dal divano al frigorifero, dalla bicicletta alla carrozzina, fino al box auto sotto casa.

Questa triplice spinta sta modificando l'intera architettura dei consumi. I beni essenziali diventano servizi, e il concetto di proprietà si svuota. Ma se la superficie appare lucida e promettente, sotto la patina della convenienza si nascondono anche nuove fragilità. Perché se è vero che affittare può sembrare più agile, più economico, più ecologico, è altrettanto vero che rinunciare alla proprietà significa rinunciare al controllo, alla stabilità e a un valore patrimoniale accumulabile nel tempo.

Affittare tutto, comodità o dipendenza?

Man mano che il noleggio diventa la regola e non l'eccezione, emergono interrogativi sul tipo di società che stiamo costruendo. La casa in affitto non è più solo un passaggio verso l'acquisto, ma una condizione permanente. L'auto non è più un bene da tramandare ai figli, ma un servizio da aggiornare ogni 36 mesi. Persino l'arredamento diventa temporaneo, come se anche lo spazio domestico fosse destinato a una forma di continua provvisorietà. Questo approccio può rivelarsi vantaggioso nel breve termine, ma rischia di trasformare il cittadino in un utente perpetuo, dipendente da piattaforme e contratti rinnovabili, privo di beni propri e soggetto alle condizioni dettate da chi quei beni li detiene.

In questa nuova economia, chi controlla l'accesso controlla il valore. Il noleggio, soprattutto nel settore immobiliare e della mobilità, può diventare uno strumento di concentrazione del potere economico: pochi grandi attori possiedono i beni, li gestiscono e li affittano a milioni di utenti. Il cittadino, spogliato della possibilità di accumulare, rischia di rimanere intrappolato in un ciclo di spese ricorrenti, senza mai capitalizzare nulla. Il passaggio da proprietario a fruitore comporta un cambio di status che può tradursi in una perdita di autonomia economica e progettuale, soprattutto se l'accesso ai beni viene subordinato a criteri di credito, scoring, abbonamenti premium.

La normalizzazione dell'affitto e il futuro incerto della proprietà

Stiamo assistendo a una ridefinizione del concetto di benessere. Non conta più ciò che si possiede, ma ciò a cui si può accedere. Il successo del noleggio sembra indicare una nuova idea di libertà: non avere nulla, ma poter usare tutto. Questa visione non è priva di contraddizioni. Se un tempo l'affitto era una tappa, oggi è la destinazione. Se ieri si risparmiava per acquistare, oggi si spende per usufruire. Una transizione che, nel tempo, può produrre una forma di fragilità strutturale, in cui l'individuo è sempre dipendente da un contratto esterno, da una piattaforma, da un canone mensile.

Il pericolo più grande non è l'affitto in sé, ma l'erosione della possibilità di scelta. Quando il noleggio diventa la sola opzione praticabile, la libertà si riduce. Per questo, dietro la facciata di flessibilità, si cela anche una domanda politica ed economica: chi possiede ciò che viene affittato?