Il Btp Più è un titolo di Stato con durata 8 anni, pensato per attrarre il piccolo risparmiatore con una struttura di rendimento che cresce nel tempo.
L'obiettivo del Btp Più era di offrire ai risparmiatori italiani uno strumento d'investimento sicuro e redditizio, incentivando al tempo stesso il collocamento di titoli presso il pubblico retail.
In pochi giorni ha raccolto oltre 15 miliardi di euro con un forte interesse da parte di piccoli investitori. Ma per alcuni, questo titolo si è rivelato una delusione per i risparmiatori, mentre per banche e fondi di investimento è stata un'opportunità redditizia che si è tradotta in profitti immediati.
Ma quali sono i motivi di questa apparente disparità tra chi ha sottoscritto il titolo e chi ha gestito l'emissione? Analizziamo nel dettaglio le caratteristiche del Btp Più, i rischi nascosti e i reali vantaggi per gli operatori istituzionali:
Un elemento distintivo rispetto ai Btp tradizionali è la possibilità di rimborso anticipato dopo i primi quattro anni.
Il tasso medio di rendimento annuo si attesta al 3,275% lordo, un valore che, se confrontato con l'attuale tasso d'inflazione, rischia di erodere il potere d'acquisto dei piccoli risparmiatori nel lungo periodo.
Se da un lato il Btp Più sembra un investimento sicuro, dall'altro ci sono rischi che i piccoli risparmiatori potrebbero non aver considerato al momento della sottoscrizione.
Uno dei problemi principali è l'inflazione. Sebbene i tassi offerti siano superiori a quelli dei conti deposito e di alcuni altri strumenti obbligazionari, non è detto che coprano l'aumento del costo della vita nei prossimi anni. Se l'inflazione dovesse mantenersi sopra il 3% annuo, il rendimento reale del Btp Più potrebbe risultare negativo, erodendo il capitale investito.
Un altro punto critico è la possibilità di vendere il titolo sul mercato secondario. In caso di necessità di liquidità prima della scadenza, gli investitori potrebbero essere costretti a vendere a prezzi inferiori rispetto al valore nominale, perdendo così una parte dell'investimento.
Il costo del Btp Più per il cittadino dipenderà dal pagamento degli interessi nel corso degli anni, trimestre dopo trimestre, fino alla scadenza del titolo. Su questo rendimenti si applica l’imposta del 12,5%, che rappresenta un prelievo fiscale che rientra nelle casse dello Stato.
Considerando un tasso lordo del 2,85% sulle sottoscrizioni per un valore complessivo di 14,906 miliardi di euro, il costo annuale per gli interessi ammonta a circa 425 milioni di euro. Su un periodo di 4 anni, questa somma si traduce in una spesa di 1,70 miliardi di euro. Una volta sottratta la quota fiscale, il costo netto a carico dello Stato si riduce a circa 1,49 miliardi di euro.
Al momento, l’unico dato certo è l’impegno finanziario relativo ai primi quattro anni del titolo. Non è possibile prevedere con certezza quanti investitori manterranno il proprio capitale vincolato fino alla scadenza degli 8 anni previsti.
Se tutti i sottoscrittori decidessero di conservare il Btp Più fino alla fine del periodo di investimento, il Tesoro dovrebbe corrispondere un interesse del 3,70% annuo per i successivi quattro anni. Questo comporterebbe un esborso annuale di circa 552 milioni di euro, per un totale di 2,21 miliardi di euro. Al netto delle imposte, la spesa effettiva si attesterebbe a circa 1,93 miliardi di euro.
Sommando le due fasi di pagamento degli interessi, il costo totale del Btp Più arriverebbe a circa 3,42 miliardi di euro, incidendo per circa il 22,92% sul capitale raccolto dallo Stato.
Mentre i piccoli risparmiatori sono stati attratti dalla promessa di rendimenti sicuri e dal basso rischio, il grande vincitore di questa operazione sembra essere il sistema bancario e i fondi d'investimento.
Le banche hanno avuto un ruolo chiave nel collocamento del titolo, guadagnando commissioni sul volume delle sottoscrizioni. In un contesto di tassi ancora relativamente elevati, questo si è tradotto in un profitto immediato, senza alcun rischio per gli istituti di credito.
Anche i fondi di investimento hanno approfittato del Btp Più, acquisendo titoli nel collocamento iniziale e rivendendoli poi sul mercato secondario con un utile rapido, favorito dall'interesse generato attorno all'emissione.
La strategia di emissione del Tesoro ha fatto sì che una parte del debito pubblico venisse assorbita dagli investitori retail, riducendo così la necessità di ricorrere ai mercati istituzionali, dove i tassi richiesti sarebbero stati più elevati. Questo ha stabilizzato i rendimenti dei titoli di Stato, un vantaggio per il sistema finanziario ma non per chi ha investito nel Btp Più con la speranza di un rendimento sicuro e crescente.