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Il taglio dell'Irpef non migliora l'economia italiana. La posizione e le richieste di Confindustra per la manovra

di Marianna Quatraro pubblicato il
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Critica la posizione del presidente di Confindustria Orsini sulla ulteriore riduzione dell'Irpef 2026 dal 35% al 33% per la seconda aliquota

La discussione sulla rimodulazione dell’Imposta sul Reddito delle Persone Fisiche (Irpef) nasce dalla necessità di sostenere il potere d’acquisto, alleggerire la pressione tributaria e rilanciare i consumi. L'obiettivo sarebbe facilitare una redistribuzione della ricchezza e rilanciare la competitività. Ma, per alcuni, il taglio Irpef viene percepito dalla maggior parte degli attori economici come parziale e non sufficiente a produrre effetti strutturali sull’economia nazionale.

Il nuovo taglio dell’Irpef 2026: cosa prevede la riduzione dal 35% al 33%

La proposta di riforma prevede una riduzione della seconda aliquota Irpef dal 35% al 33% per i contribuenti rientranti nel secondo scaglione di redditi compresi tra 28.000 e 50.000 euro lordi annui, e che potrebbero arrivare anche fino a 60mila euro, come ipotizzato.

La misura mira a ridurre la pressione fiscale sul ceto medio, considerato l’asse portante della domanda interna. Gli obiettivi esplicitati:

  • Alleviare il carico fiscale sui lavoratori dipendenti e pensionati in fascia intermedia
  • Aumentare la capacità di spesa e favorire i consumi
  • Rendere il sistema più equo attraverso la progressiva riduzione delle aliquote medie effettive
La modifica dovrebbe tradursi in un risparmio annuo che si stima tra i 250 e i 350 euro per contribuente interessato, secondo relazioni tecniche disponibili. 

I potenziali beneficiari e l’impatto sui cittadini: chi sarà interessato dalla misura

La nuova riforma dell'Irpef 2026 riguarderebbe lavoratori, pensionati e alcuni professionisti con redditi lordi annui intermedi. L’effetto diretto sarà visibile nella fascia di contribuenti con reddito imponibile tra i 28.000 e i 50.000 euro, mentre rimarranno esclusi i percettori di redditi inferiori e i titolari di aliquote massime.

I principali interessati sarebbero dunque:

  • Dipendenti del settore pubblico e privato
  • Pensionati con assegni mediamente superiori
  • Autonomi fuori dall’ambito della flat tax.
Dalla revisione dell'Irpef 2026 potrebbero derivare, però, anche dei rischi, come:
  • Effetto eroso dall’inflazione e dal mancato aggiornamento delle deduzioni
  • Possibile sovrapposizione con altri interventi di sostegno
  • Aumento delle disparità tra categorie di lavoratori.

Gli effetti della riforma Irpef sull’economia reale italiana

Le analisi condotte da istituti indipendenti e osservatori come il Centro Studi di Confindustria mettono in discussione l’impatto della misura su crescita e competitività. La detassazione di uno scaglione intermedio avrebbe, infatti, a loro dire, una portata limitata sia in termini di rilancio della domanda sia di stimolo agli investimenti.

Tabella – Stime sull’impatto macroeconomico (ipotetico)

Voce Stima 2026
Incremento PIL +0,1%
Incremento consumi interni +0,2%
Impatto su investimenti Trascurabile

L’assenza di indicizzazione generalizzata ai parametri di inflazione, la permanenza di costi energetici elevati e la dinamica salariale fiacca rischiano di rendere marginale lo stimolo fornito dalla revisione Irpef. 

Secondo le valutazioni del settore industriale, l'abbassamento della seconda aliquota di tassazione non si tradurrebbe in un aumento tangibile del potere d’acquisto né in un rafforzamento strutturale della capacità produttiva.

La posizione di Confindustria: richieste, critiche e proposte per una manovra efficace

Secondo il presidente di Confindustria, Emanule Orsini, la sola riduzione dell’aliquota fiscale non costituisce uno strumento sufficiente per rilanciare la competitività e l’economia reale italiana, e ha sottolineato la centralità delle politiche per incentivare la produttività e sostenere l’impresa produttiva piuttosto che agire esclusivamente sul prelievo Irpef.

Le principali richieste e orientamenti puntano a:

  • Piano straordinario da 8 miliardi per le imprese, soprattutto in riferimento a incentivi Industria 4.0 e 5.0
  • Semplificazione normativa e ampliamento dell’ACE (Aiuto alla Crescita Economica)
  • Mantenimento ed estensione degli strumenti di garanzia a favore delle PMI
  • Rifinanziamento strutturale degli incentivi per ricerca, innovazione tecnologica ed ecologica.
Secondo Confindustria, l’aumento delle retribuzioni deve avvenire in modo strutturale, tramite rinnovo contrattuale e incentivi alla produttività, non attraverso misure fiscali a scadenza annuale.

I punti chiave sottolineati:

  • Potenziamento dei contratti di produttività come volano per l’incremento salariale
  • Stabilità nel quadro degli incentivi (es. Industria 4.0, 5.0, ZES Unica, crediti d’imposta su ricerca e sviluppo)
  • Importanza della sicurezza energetica e dei meccanismi di decoupling dei prezzi.