La pressione burocratica in Italia è strutturale: nel 2024 sono uscite 305 Gazzette Ufficiali e 45 Supplementi per 35.140 pagine, e nei primi nove mesi del 2025 si è già a 25.888 pagine.
La burocrazia in Italia è divenuta una sorta di tassa occulta che grava profondamente sull'attività imprenditoriale. Secondo l'Ufficio studi della CGIA di Mestre, le micro e piccole imprese sostengono ogni anno un costo stimato attorno a 80 miliardi di euro solo per far fronte agli adempimenti amministrativi. In un'analisi precedente, la stessa CGIA aveva quantificato in 57,2 miliardi l'incidenza della burocrazia (ovvero il costo diretto dei rapporti con la PA), cifra che integra costi occulti, ritardi e inefficienze.
Questi numeri non sono meri esercizi teorici: significano che un imprenditore impiega tempo, risorse umane e denaro per navigare tra moduli, documenti, sportelli fisici, richieste di autorizzazione, pratiche tecniche e controlli. Nel 2025, la pressione normativa non sembra attenuarsi: nei primi nove mesi sono già state pubblicate 227 Gazzette Ufficiali e 31 supplementi, equivalenti a 25.888 pagine, in linea con il ritmo dell'anno precedente. Questo flusso regolatorio genera bisogno di atti attuativi, circolari esplicative e interpretazioni locali che spesso differiscono da comune a comune.
Una delle cause è la sovrapposizione normativa: norme che si accumulano senza che vengano rimosse quelle divenute obsolete o ridondanti. A ciò si aggiunge l'uso frequente di decreti-legge, che richiedono ulteriori provvedimenti attuativi per entrare in vigore realmente. In sostanza, ogni nuova norma porta con sé una catena di atti secondari che amplificano l'incoerenza e l'incertezza. L'analisi di questi meccanismi diventa decisiva per chi intenda stabilire un'azienda in un contesto locale: non basta sapere le leggi statali, bisogna conoscere come vengono applicate “sul territorio”.
In aggiunta, la burocrazia ha un impatto multiprospettico: rallenta l'innovazione, assorbe risorse che potrebbero essere destinate allo sviluppo e scoraggia la capacità competitiva internazionale delle imprese italiane. Il costo non si misura solo in euro spesi, ma in opportunità perse. Quando una ditta è costretta a impiegare personale per adempiere obblighi normativi, quel personale non è dedicato alla produzione, al marketing o all'espansione. Secondo un'indagine della Banca Europea degli Investimenti, in Italia il 90% delle imprese dichiara di avere personale che si occupa di tali incombenze, percentuale superiore a quella dei principali paesi europei.
Infine, va menzionato un dato che molti osservatori sottolineano: il Parlamento e il Governo stessi stanno cercando di alleggerire l'iper-normazione. Ad esempio, nei primi mesi del 2025 è stato approvato un disegno di legge che prevede l'abrogazione di oltre 30.700 norme emanate tra il 1861 e il 1946, con l'obiettivo di ridurre lo stock normativo statale di circa il 28%. Questo è un segnale che anche a livello centrale si riconosce il peso eccessivo dell'“archivio legislativo” inutilizzato, ma la semplificazione reale dipenderà sempre dall'efficacia territoriale dell'applicazione.
Un parametro influente è l'ICity Rank 2024, realizzato da FPA, che misura la trasformazione digitale dei comuni capoluogo d'Italia su tre dimensioni: Amministrazioni digitali (servizi online, adozione di piattaforme nazionali, fruibilità web), Comuni aperti (trasparenza, open data, partecipazione sociale) e Città connesse (infrastrutture digitali urbane, device e sensoristica urbana). Secondo quel ranking, otto città italiane superano la soglia di 75/100 in tutte e tre le dimensioni e sono considerate “full digital”: Bergamo, Bologna, Firenze, Genova, Milano, Modena, Roma e Venezia.
In queste otto città, l'imprenditore ha probabilmente la maggiore probabilità di interagire con sportelli unici digitali, modulistica standard, integrazioni con SPID/CIE/IO, PagoPA e interoperabilità tra banche dati. Questo significa che molte pratiche possono essere avviate e seguite in modalità telematica, riducendo gli spostamenti fisici e accelerando i tempi di esito.
Una città che merita specifica attenzione è Genova, la quale, secondo l'ICity Rank 2024, ottiene un primato nell'ambito “Amministrazioni digitali”, scalando ben 12 posizioni rispetto all'anno precedente. Il Comune genovese ha rinnovato il sito istituzionale, ampliato i servizi online (oltre 650), potenziato la funzionalità di assistenza e semplificato le interfacce per l'utenza. Questo la rende una delle piattaforme pubbliche più mature in Italia sul fronte digitale.
Al margine superiore del ranking, c'è un gruppo di circa 30 città considerate “altamente digitalizzate”: per esempio Brescia, Cagliari, Parma, Perugia, Reggio Emilia, Rimini, Torino, Trento. Queste non sempre raggiungono la piena maturità nei tre assi, ma mostrano punteggi elevati in almeno due dimensioni e valori intermedi nella terza. (FPA) Per chi intenda avviare un'attività produttiva con fabbisogni logistici o connessi alla digitalizzazione, queste città spesso offrono un buon compromesso tra infrastrutture, mercati locali e relazioni amministrative relativamente snelle.
Al di là della classifica, ciò che fa la differenza è la qualità del SUAP locale, del settore tecnico comunale e della gestione sportello unico. Anche comuni non “top digitali” possono essere favorevoli se la macchina locale è ben organizzata e orientata all'innovazione. Quindi non sempre una città “media” è da scartare a priori: occorre guardare ai fattori locali.
Quando un imprenditore valuta dove avviare un'attività, la scelta non può prescindere dall'analisi locale della burocrazia operativa, non solo del fisco nazionale. Ecco un ragionamento articolato che tiene conto dei profili di città.
Le città che convengono di più per chi vuole minimizzare le frizioni burocratiche sono quelle classificate come “full digital”. Milano, Bologna, Firenze, Genova, Modena, Bergamo, Roma e Venezia offrono infrastrutture amministrative più mature, strumenti digitali consolidati e processi più standardizzati. In tali contesti, la prevedibilità dei tempi, l'uso massiccio di portali e sportelli online e il dialogo fra banche dati semplifica la vita dell'imprenditore. In queste grandi realtà, il “costo-burocrazia” assoluto è alto - Milano e Roma vedono pesi complessivi di miliardi - ma il beneficio marginale per impresa migliora quando la macchina amministrativa è più fluida.
Una seconda categoria riguarda le città di livello medio-alto dal punto di vista digitale, come Brescia, Parma, Torino, Trento, Cagliari, Reggio Emilia e altre. In queste località non è garantito che ogni procedura sia completamente online, ma buona parte lo è, e le amministrazioni stanno spesso attuando piani di modernizzazione. Qui si possono insediare aziende industriali leggere, laboratori, imprese tecnologiche, servizi specialistici, con margini di differenziale positivo rispetto a centri più “freddi” dal punto di vista digitale.
D'altra parte, ci sono città in cui consiglierei cautela: capoluoghi che l'ICity Rank segnala in ritardo su tutte le dimensioni (Avellino, Crotone, Enna, Foggia, Isernia, L'Aquila, Rieti). In quei contesti l'imprenditore rischia di affrontare sportelli fisici obbligatori, istruttorie non standardizzate, interventi discrezionali, tempi variabili e poca interoperabilità interna tra uffici. Non significa che non si possa avviare un'attività, ma serve consapevolezza: bisogna prevedere margini di tempo e costi aggiuntivi per “slittamenti” amministrativi.
In ambienti con digitalizzazione insufficiente, una piccola azienda potrebbe restare paralizzata da un singolo iter che richiede decine di passaggi cartacei. È il caso tipico di pratiche ambientali, ampliamenti industriali, richieste di servitù tecniche o autorizzazioni paesaggistiche in cui ogni dipendente pubblico può interpretare la norma con discrezionalità. Il risultato è che un progetto che in una città digitalmente matura richiederebbe settimane, altrove può richiedere mesi.
Un altro elemento da considerare è la relazione con la Pubblica Amministrazione quando si è fornitori: in molte realtà metropolitane i ritardi nei pagamenti sono più frequenti, soprattutto nel settore sanitario o nei grandi appalti. Il dato nazionale sull'“efficienza dei pagamenti” registra in media 29,6 giorni nel 2024, ma con forte dispersione locale. Quindi se la tua azienda fornirà servizi o beni alla PA locale, non basta che la burocrazia sia snella: serve anche che l'ente sia puntuale nei pagamenti.