La nuova Manovra Finanziaria 2026 ridisegna il sistema fiscale: analisi dell'Istat sul taglio Irpef, il bonus mamma, la revisione dell'Isee, i loro effetti su famiglie e redditi, con focus su disparitŕ e crescita.
Nel 2026 la legge di bilancio italiana introduce una serie di interventi destinati a modificare in modo significativo l’assetto fiscale e redistributivo del Paese. L’obiettivo dichiarato dal Governo consiste nel rafforzare competitività e solidità finanziaria, agendo su leve fiscali come la riduzione delle aliquote sul reddito delle persone fisiche (Irpef), nuovi incentivi destinati alle famiglie, in particolare alle madri lavoratrici, e una revisione dei criteri per il calcolo dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (Isee). La relazione dell’Istat, presentata alle commissioni Bilancio, conferma che le misure interesseranno milioni di cittadini, con ripercussioni, però. distribuite in modo non uniforme lungo la scala dei redditi
L’intervento cardine della politica fiscale 2026 è la diminuzione di due punti percentuali dell’aliquota intermedia Irpef sullo scaglione di reddito tra 28.000 e 50.000 euro, portata dal 35% al 33%. Secondo l’Istat, la riduzione riguarda poco più di 14 milioni di contribuenti, con un beneficio annuo medio di 230 euro ciascuno. Tradotto sul piano familiare, circa 11 milioni di famiglie si trovano a ottenere un vantaggio per una media di 276 euro annui, stimando la presenza di più contribuenti per nucleo.
Tra le critiche sollevate nelle sedi istituzionali emerge il rischio di un beneficio «dispersivo», in quanto la scelta di includere anche redditi elevati limita la capacità dello strumento di sostenere concretamente il ceto medio, specialmente nei contesti in cui il recupero di potere d’acquisto si è dimostrato più debole negli ultimi anni.
L’ampliamento del bonus rivolto alle lavoratrici madri costituisce un altro pilastro della manovra. L’incremento a 60 euro mensili interessa circa 865.000 lavoratrici – un quarto del totale con figli – a fronte di un costo complessivo stimato in 570 milioni di euro. I beneficiari sono individuati tra le madri dipendenti e autonome: per madri di due figli, di cui il più piccolo sotto i 10 anni, e per madri di almeno tre figli – in questo caso, il figlio minore deve essere al di sotto dei 18 anni.
| Plateale coinvolta | 865 mila lavoratrici (circa 25% delle lavoratrici con figli) |
| Beneficio medio individuale annuo | 660 euro |
| Famiglie coinvolte | 3,2% delle famiglie italiane |
| Incidenza sui redditi familiari | +2,7% in media |
Dal punto di vista distributivo, tre quarti delle risorse vanno a vantaggio dei quinti centrali della distribuzione reddituale. Il beneficio cresce all’aumentare del reddito familiare equivalente: le famiglie con i redditi maggiori ottengono mediamente 700 euro, rispetto ai 581 euro di quelle con i redditi più bassi. Ciò si spiega perché, tra i nuclei meno abbienti, le madri lavorano meno mesi l’anno rispetto alle colleghe dei gruppi più avvantaggiati.
L’effetto complessivo sul reddito risulta più incisivo rispetto al taglio Irpef. Il confronto con il 2025 evidenzia un incremento del beneficio pro capite di circa 220 euro su base annua.
La revisione dei criteri di calcolo dell’Isee, intervenuta attraverso la manovra, produce effetti positivi su circa 2,3 milioni di famiglie, pari all’8,6% del totale. Il beneficio medio annuo si attesta attorno ai 145 euro, ma la variabilità è notevole in funzione della condizione economica del nucleo familiare.
L’analisi fornita dall’Istituto nazionale di statistica mostra che le novità proposte nella più recente manovra incidono sulla distribuzione del reddito in maniera differenziata. Il taglio all’Irpef, infatti, ha una ricaduta prevalente sulle fasce con redditi elevati, mentre i benefici sulle fasce meno abbienti si attestano su valori contenuti. La redistribuzione – misurata sia in termini assoluti sia in percentuale rispetto al reddito familiare – risulta limitata nella capacità di ridurre il divario tra gruppi sociali.
Si evidenzia, dunque, che:
Questo incentivo fiscale mira ad accelerare i rinnovi dei contratti collettivi e si traduce in un beneficio netto mensile contenuto: ad esempio, un aumento di 80 euro lordi mensili si trasforma in circa 15 euro netti. L’impatto generale sugli stipendi resta quindi limitato sia per entità, sia per la temporaneità dell’intervento, lasciando irrisolta la problematica del mancato recupero del potere d’acquisto dei salari.