Anche a Milano, l'intelligenza artificiale sta rivoluzionando il mercato del lavoro, coinvolgendo colossi come Microsoft e Paramount. Le nuove tecnologie, se da un lato accelerano la digitalizzazione, dall'altro generano crisi occupazionali e ridefiniscono le prospettive dei lavoratori, con impatti profondi sul tessuto sociale cittadino.
Negli ultimi mesi, anche Milano sta vivendo un’ondata di tagli occupazionali senza precedenti, in particolare nel settore tecnologico e dei servizi avanzati. L’espansione dell’intelligenza artificiale nei processi aziendali è diventata un simbolo della trasformazione in atto: processi automatizzati e algoritmi sofisticati stanno modificando radicalmente il tessuto occupazionale cittadino. Questa rivoluzione coinvolge aziende di primo piano, dai colossi internazionali come Microsoft e Paramount fino a operatori più radicati nel territorio lombardo.
Il panorama milanese riflette una complessa rete di riorganizzazioni, con multinazionali che annunciano piani di riduzione del personale con impatti significativi. In primo piano, la vicenda di Paramount Italia spicca per le proteste: 35 esuberi annunciati nella storica sede di Corso Europa, coinvolgendo un terzo dei dipendenti. L’azienda, dopo l’acquisizione da Skydance Media, ha perseguito una strategia sempre più orientata alla digitalizzazione e allo streaming. Secondo le rappresentanze sindacali, l’approccio adottato nel gestire questo cambio ha aperto un conflitto sociale ed evidenziato il rischio di perdita di responsabilità sociale d’impresa.
Microsoft Italia ha reso noto l’avvio di una procedura di licenziamento collettivo sia nel periodo successivo alla pandemia sia in tempi recenti, toccando decine di lavoratori a Milano. Similmente, Panasonic – da anni radicata a Viale Fulvio Testi – ha intrapreso una ristrutturazione globale, coinvolgendo anche il capoluogo lombardo attraverso la chiusura di linee produttive e funzioni amministrative. Epson, punto di riferimento per il mondo delle stampanti e dei dispositivi elettronici, ha avviato procedure analoghe: la digitalizzazione e la discesa delle vendite hanno imposto scelte drastiche, con procedure di riduzione del personale in corso e forti tensioni sindacali.
Tra le altre realtà, anche Amazon ha incontrato le organizzazioni dei lavoratori per concordare incentivi alle uscite, evitando – almeno per ora – licenziamenti collettivi, mentre multinazionali come HP hanno optato per ristrutturazioni che, pur rivolte su scala globale, trovano in Milano un punto di impatto rilevante. In questa realtà si inseriscono nuovi casi, come quello di Freudenberg a Rho, e altre crisi di aziende coinvolte nella digitalizzazione, a conferma del tornado occupazionale che si abbatte sulla città e sulla sua area metropolitana.
Le riduzioni del personale annunciate dalle società con sede a Milano non dipendono solo dalla congiuntura economica, ma si inseriscono in trasformazioni strutturali guidate dall’adozione dell’AI e dalla digitalizzazione dei processi. Le aziende coinvolte giustificano le scelte con la necessità di aumentare l’efficienza e di concentrarsi su settori strategici o a maggior valore aggiunto. Ad esempio, Paramount Italia ha spiegato che la tendenza verso lo streaming e il digitale richiede profili altamente specializzati, mentre molte funzioni amministrative rischiano di essere sostituite o ridotte. Un trend simile è stato annunciato dalla leadership di Panasonic e da altri grandi player, che guardano all’innovazione come a un volano ma anche a un agente di ridefinizione del perimetro occupazionale.
Nel dettaglio, l’intelligenza artificiale permette di automatizzare compiti ripetitivi e analisi dati, riducendo la necessità di impiegati in alcune aree. L’ ha accelerato questa trasformazione, comprimendo i margini di comparti tradizionali (come quello delle stampanti), guidando così piani di ristrutturazione aziendale. In particolare, le scelte centralizzate dalle sedi estere, spesso negli Stati Uniti, vengono poi applicate agli organici della filiale italiana.
Va poi considerata la concorrenza globale: aziende che devono tenere il passo con innovatori internazionali e produttori low cost scelgono strategie snelle, orientate al digitale e alla sostenibilità ambientale. Policy green e riduzione degli sprechi influenzano anche la domanda di specifiche categorie di prodotti e servizi, portando a una razionalizzazione della forza lavoro.
Nel capoluogo lombardo, l’ondata di licenziamenti ha prodotto risposte sindacali decise e acceso il dibattito sugli strumenti di tutela esistenti. I sindacati, come la CGIL Milano o la Fistel Cisl, si sono mossi immediatamente con scioperi, presidi e incontri di trattativa. Paramount Italia, ad esempio, è stata oggetto di tre giorni consecutivi di sciopero, mentre per Panasonic, Epson e Microsoft sono stati avviati tavoli di trattativa per mediare e ridurre l’impatto dei tagli. Spesso, nelle aziende più strutturate, l’accordo sindacale prevede incentivi all’uscita o meccanismi di ricollocamento in nuovi rami dell’impresa.
L’Italia si distingue per un apparato normativo volto a contenere la portata delle crisi collettive: la Legge 223/1991 regola infatti le procedure di licenziamento collettivo, imponendo tempi, consultazioni sindacali e misure di accompagnamento (come Cassa Integrazione, mobilità e fondi specifici). Queste tutele arginano effetti repentini e permettono una gestione più ordinata rispetto, ad esempio, agli Stati Uniti, dove le scelte aziendali possono essere applicate in modo rapido e senza consultazioni articolate.
Il tessuto occupazionale milanese coinvolto nei tagli comprende persone con professionalità articolate e storie molto diverse tra loro. Le procedure collettive interessano in modo trasversale non solo i reparti amministrativi, ma anche figure senior con lunga anzianità, donne – alcune delle quali in condizione di maternità o appartenenti a categorie protette – e lavoratori monoreddito. Questa eterogeneità rende le ripercussioni ancora più pesanti.
I racconti raccolti durante i presìdi mostrano preoccupazioni legate non solo all’aspetto economico ma anche all’identità professionale. In molti casi, le possibilità di ricollocamento risultano esigue, soprattutto per i profili meno digitalizzati o per chi, dopo molti anni nella stessa azienda, fatica ad aggiornare le proprie competenze.
S’indebolisce inoltre il tessuto sociale delle famiglie coinvolte, generando incertezza verso il futuro. Diverse testimonianze riportano una delusione per la percepita mancanza di responsabilità sociale dell’impresa, soprattutto dove le aziende vantano (almeno formalmente) policy di gender equality o inclusione: “L’azienda sta dimostrando di non perseguire più l’obiettivo della responsabilità sociale”, racconta una rappresentante dei lavoratori presso Paramount.
I costi psicologici e materiali si sommano a una crescente richiesta di maggiore coinvolgimento, informazione e ascolto. Emergono, infine, segnali d’insofferenza, con una parziale erosione di fiducia nelle promesse di innovazione che promettono crescita solo per alcuni, lasciando altri esclusi dai nuovi processi produttivi.
L’attuale scenario milanese obbliga tutti gli attori del sistema – istituzioni, imprese, università e sindacati – a ripensare le politiche attive del lavoro, la formazione e le strategie di inclusione sociale. L’ascesa degli strumenti di intelligenza artificiale, insieme allo sviluppo di modelli produttivi automatizzati, evidenzia la necessità di investire sull’aggiornamento delle competenze e sulla riqualificazione professionale.
Da una parte, si aprono nuove possibilità nei settori legati all’AI, alla gestione dei dati e alla sostenibilità digitale; dall’altra, aumenta il rischio di marginalizzazione di chi non riesce a transitare verso ruoli più specialistici. Le università e i centri di ricerca milanesi possono giocare un ruolo chiave nell’accelerare la ricollocazione dei lavoratori colpiti, proponendo percorsi adattati alle esigenze dei comparti hi-tech in espansione.
Sul fronte istituzionale, rimane urgente rafforzare gli ammortizzatori sociali e migliorare la sinergia tra pubblico e privato per individuare fasi di transizione meno traumatiche. In parallelo, saranno necessari monitoraggi continui sull’impatto dell’AI nelle filiere produttive locali per prevenire futuri squilibri occupazionali e sociali.