Il nucleare torna al centro del dibattito italiano con il Governo Meloni: tra innovazione tecnologica, costi, lavoro, normative e sfide ambientali si intrecciano opportunità e criticità che delineano il futuro energetico del Paese.
Dopo oltre un decennio di assenza dal panorama energetico italiano, il tema dell’energia nucleare è rientrato con forza nel dibattito politico e industriale. Questo rinnovato interesse nasce dall’esigenza di affrontare la crescente domanda di energia legata alla transizione ecologica, alla digitalizzazione e alla volontà di ridurre la dipendenza dalle fonti fossili importate. L’attenzione è rivolta verso tecnologie innovative e partnership industriali, mentre parallelamente emergono interrogativi sostanziali sulla fattibilità tecnica, economica e sociale delle ambiziosi promesse. Le recenti audizioni parlamentari e i rapporti delle principali associazioni mostrano un contesto in rapida evoluzione: la filiera nazionale è pronta a rilanciarsi, trainata da accordi tra industria e enti di ricerca, ma deve confrontarsi con il peso di esperienze passate, le riserve della comunità scientifica e una platea pubblica che permane scettica.
L’attenzione dell’industria italiana si è recentemente concentrata su due tecnologie considerate di nuova generazione: gli Small Modular Reactor (SMR) e gli Advanced Modular Reactor (AMR). Queste soluzioni sono pensate per superare i limiti delle grandi centrali tradizionali, puntando sulla modularità, la flessibilità e la sicurezza. Grazie alle loro dimensioni ridotte e ai sistemi evoluti, tali reattori risultano più adattabili alle esigenze energetiche moderne, favorendo l’integrazione con impianti rinnovabili e la distribuzione capillare sul territorio. In particolare, gli SMR sono in grado di fornire non solo energia elettrica, ma anche calore di processo, rendendoli utili per i distretti industriali difficili da decarbonizzare.
Sul fronte internazionale, le strategie dell’Unione Europea si stanno concentrando sulla creazione di una supply chain autonoma, capace di garantire sicurezza di approvvigionamento ed elevati standard qualitativi. In Italia, la partnership tra Anima Confindustria e l’Associazione Italiana Nucleare mira a consolidare la filiera, promuovendo scambi di competenze tecniche, standardizzazione e programmi di formazione congiunta. Questo approccio mira a valorizzare le capacità già presenti nel tessuto industriale nazionale: università, centri di ricerca e imprese sono chiamati a operare sinergicamente, per assicurare continuità nelle competenze e cogliere sia le opportunità del mercato interno sia quelle dell’export.
L’esperienza interna è rafforzata anche dai rapporti con grandi player europei e internazionali, come testimoniato dalla partecipazione di aziende come Enel, Ansaldo Nucleare e Leonardo in consorzi dedicati allo sviluppo e alla verifica delle tecnologie SMR e AMR. Tuttavia, permane un elemento di criticità: la mancanza di impianti di riferimento completamente operativi e la distanza ancora significativa tra la progettazione e la reale messa in esercizio, sia sul fronte dei piccoli reattori sia su quello, ancora sperimentale, della fusione nucleare.
Il rafforzamento della filiera richiede quindi strategie industriali integrate, connessioni con la ricerca applicata e una pianificazione che consideri le specificità del contesto italiano. Solo in questo modo può emergere una catena del valore robusta, capace di affrontare le sfide di un settore destinato a trasformare profondamente lo scenario energetico nazionale.
Uno dei nodi più discussi riguarda la sostenibilità finanziaria e temporale degli investimenti previsti per il ritorno dell’energia nucleare. Le recenti audizioni parlamentari hanno messo in evidenza come i costi di costruzione di impianti di terza o futura generazione restino molto elevati rispetto ad altre tecnologie per la produzione di energia su larga scala. Alcuni progetti europei, come quelli di Flamanville e Hinkley Point, sono stati contraddistinti da significativi extrabudget e rilevanti ritardi nei tempi di consegna, in alcuni casi superiori a un decennio rispetto alle previsioni iniziali.
I valori stimati per la produzione elettrica tramite reattori di nuova concezione vanno indicativamente dai 70 ai 110 USD/MWh, un dato confrontabile con le principali fonti rinnovabili soltanto quando si includono i costi degli accumuli energetici e della stabilità di rete. Tuttavia, l’incertezza sui costi delle tecnologie di quarta generazione e dei reattori non ancora disponibili commercialmente rende difficile fare previsioni attendibili.
Per quanto riguarda i tempi di messa in esercizio, si stima che i primi impianti potrebbero essere operativi non prima del 2035. Il processo richiede comunque la revisione di regolamenti, la costruzione di una supply chain efficiente, l’ottenimento delle autorizzazioni e la formazione di risorse professionali qualificate. L’assenza attuale di un deposito nazionale per le scorie aggiunge ulteriori elementi di incertezza e possibili costi aggiuntivi.
Dunque, il tema della sostenibilità economica del nucleare rimane al centro della discussione: da un lato, rappresenta una potenziale risposta alle esigenze di sicurezza energetica e decarbonizzazione; dall’altro, occorre valutare con rigore la compatibilità dei piani industriali con i vincoli di bilancio pubblico e la reale convenienza rispetto alle alternative offerte dal progresso tecnologico delle fonti rinnovabili.
Il ritorno dell’atomo rientra tra le priorità politiche delineate dal recente disegno di legge delega approdato in Parlamento. Tale provvedimento disciplina l’intero ciclo di vita degli impianti di nuova generazione: dalla sperimentazione e progettazione, fino alla gestione finale delle scorie e al decommissioning. Il governo si è impegnato a definire entro dodici mesi i decreti attuativi che stabiliranno programmi operativi, ruoli istituzionali e regole autorizzative, segnando così una svolta rispetto alla posizione storica di stop sancita dai referendum passati.
Tra le strategie individuate, il piano si concentra sulla qualificazione delle tecnologie considerate “sostenibili” – prevalentemente sulla scia delle direttive europee – e sulla necessità di garantire sicurezza e autonomia energetica. In parallelo sono previsti progetti pilota, accordi industriali e la nascita di soggetti come newco pubblico-private capitanati da Enel, Ansaldo Nucleare e Leonardo, incaricati di studiare la fattibilità tecnica degli SMR e AMR nel contesto specifico italiano.
La valutazione del rischio territoriale, la coerenza con la pianificazione regionale e il confronto pubblico rappresentano elementi chiave per assicurare che le nuove installazioni siano accettate e integrate nel tessuto sociale. Inoltre, la trasparenza delle informazioni e una comunicazione basata su dati scientifici sono ritenute indispensabili dal Governo per governare il dibattito e promuovere il consenso, colmando il divario con la cittadinanza formatosi dopo le precedenti consultazioni popolari.
I piani per la reintroduzione dell’energia dall’atomo prevedono un impatto significativo su diversi settori del tessuto industriale nazionale. Secondo dati presentati in documenti tecnici e rapporti delle maggiori associazioni di categoria, il rilancio della filiera potrebbe generare oltre 117.000 posti di lavoro entro il 2050, con un impatto sul PIL stimato fino al 2,5%.
Le opportunità occupazionali non si limitano soltanto ai ruoli tecnici all’interno degli impianti, ma si estendono alle professioni dell’ingegneria, della ricerca scientifica e della sicurezza, oltre che all’indotto manifatturiero. La partecipazione di aziende italiane in accordi di collaborazione a livello europeo e internazionale, in particolare con soggetti come Fincantieri, Rina, Saipem e Ansaldo, contribuisce ad aumentare la competitività e la presenza della nostra industria nei mercati esteri.
La nuova catena del valore legata ai reattori modulari avanzati offre inoltre la possibilità di rivitalizzare siti industriali e territori oggi penalizzati dal declino di comparti tradizionali. La creazione di una supply chain nazionale verticale consente di attrarre investimenti, innovazione tecnologica e di favorire la crescita di nuove competenze, specie tra i giovani e nel contesto universitario. Si tratta di un’opportunità che, in assenza di colli di bottiglia normativi ed economico-finanziari, può diventare volano reale per una riconversione industriale orientata alla sostenibilità nel lungo periodo.
Nonostante i piani di rilancio, la prospettiva di un nuovo ciclo del nucleare in Italia incontra numerose resistenze. Una delle principali concerne la gestione delle scorie radioattive. La costruzione del deposito nazionale per i rifiuti, pur programmata da tempo, è ancora lontana dall’essere realizzata; ciò solleva dubbi circa la capacità di affrontare in modo responsabile la questione del trattamento e dello smaltimento sicuro dei residui radioattivi.
Altrettanto rilevanti sono le posizioni critiche sulla sicurezza degli impianti e sui rischi connessi a eventi naturali o antropici, come dimostrato dal retaggio di due referendum popolari che hanno sancito la sospensione delle attività nel settore. La sensibilità del territorio italiano a rischio sismico, idrogeologico e paesaggistico rende particolarmente complessa la localizzazione dei nuovi impianti, alimentando timori nella popolazione e nei governi locali.
La discussione attuale si incentra sulla complementarietà tra nucleare e rinnovabili. Molti esperti vedono nelle due fonti una alleanza strategica per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione e garantire la stabilità della rete.
I reattori modulari sono considerati adatti a fornire energia programmabile a supporto di eolico e fotovoltaico, i quali soffrono tuttora di rilevanti limiti di intermittenza. Questa sinergia consente di gestire la variabilità della produzione da fonti verdi e di offrire continuità di fornitura nei periodi di picco della domanda, ad esempio per i data center e le applicazioni dell’intelligenza artificiale.
Tuttavia, non mancano voci dissonanti che mettono in rilievo possibili elementi di concorrenza. In scenari a crescita molto accelerata delle rinnovabili, come già registrato in vari contesti europei, il rischio è quello di dover tenere inattivi periodicamente gli impianti nucleari o di dover sacrificare parte della produzione verde, con possibili ricadute sui costi complessivi del sistema elettrico. Inoltre, la sovrapposizione dei costi e degli investimenti impone al decisore pubblico una scelta sulla priorità degli incentivi e delle politiche di sviluppo delle diverse filiere.
Un’analisi equilibrata suggerisce che, solo attraverso un disegno strategico unitario, il nucleare avanzato e le rinnovabili potranno effettivamente svolgere un ruolo sinergico nella transizione energetica, evitando sovrapposizioni, sprechi e rigidità operative.