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Il debito pubblico italiano aumenta nel silenzio: nuovo record a 3131 miliardi (ma c'è qualcosa di buono)

di Marcello Tansini pubblicato il
debito record pubblico ad ottobre 2025

Il debito pubblico italiano tocca un nuovo record a ottobre, raggiungendo quota 3131 miliardi. Un'analisi delle cause dietro la crescita, dagli aspetti strutturali ai rischi futuri per l'economia nazionale e la spesa statale.

Negli ultimi mesi, la finanza pubblica nazionale si trova nuovamente sotto i riflettori a causa dell'ulteriore incremento dell'ammontare complessivo del debito statale. Gli aggiornamenti pubblicati dalla Banca d’Italia confermano come a ottobre il livello del debito abbia raggiunto il massimo storico di 3.131,7 miliardi di euro, segnando un aumento consistente rispetto ai mesi precedenti. Tale incremento non rappresenta solo una fotografia numerica della situazione, ma riflette tendenze persistenti nel tempo che stanno ridefinendo l'equilibrio dei conti pubblici.

Per comprendere la portata di questa crescita, è necessario considerare tanto le dinamiche storiche quanto il contesto economico attuale. Dopo una relativa stabilità osservata a settembre, quando il debito ammontava a 3.080,9 miliardi, un mese dopo si registra un aprile sensibile, confermando un trend di crescita che prosegue senza interruzioni dallo scorso anno. I dati mettono in evidenza non soltanto l’incremento nominale, ma anche le cause sottostanti che alimentano questo fenomeno, tra cui variazioni nella liquidità del Tesoro, l’andamento del fabbisogno delle amministrazioni pubbliche e le condizioni dei mercati finanziari.

Dietro questi numeri si celano scenari da esplorare: la sostenibilità del debito stesso, il conseguente peso sulla fiscalità generale e le possibili implicazioni future per cittadini, imprese e investitori. Anche perchè non manca qualche elemento positivo

Fattori che guidano la crescita del debito: liquidità, fabbisogno, emissioni e impatto settoriale

L’analisi dell’aumento del debito evidenzia una molteplicità di fattori che ne determinano la dinamica. In primo luogo, la crescita delle disponibilità liquide del Tesoro, che ad ottobre si attestano a 77,2 miliardi di euro (+31,8 miliardi rispetto al mese precedente), rappresenta uno dei principali elementi all’origine del nuovo picco. L’accumulo di liquidità, se da un lato garantisce margini di manovra per far fronte a esigenze impreviste o a scadenze di pagamento ravvicinate, dall’altro determina comunque un incremento temporaneo dello stock del debito stesso.

A ciò si somma il fabbisogno delle amministrazioni pubbliche: a ottobre è stato registrato un dato di 18,8 miliardi, evidenziando come la differenza tra le entrate e le uscite delle amministrazioni continui ad alimentare la crescita dell’indebitamento. L’andamento delle entrate tributarie risulta in leggera crescita (+2,5% rispetto a ottobre dell’anno precedente), ma non sufficiente per compensare la dinamica delle spese.

Ulteriori contributi derivano da componenti tecniche come gli scarti e i premi all’emissione e al rimborso, la rivalutazione dei titoli indicizzati all’inflazione e la variazione dei tassi di cambio (0,1 miliardi complessivi nel mese analizzato). Tali fattori, pur rappresentando una parte minore, influiscono sulla volatilità e sull’andamento degli aggregati finanziari.

Per una migliore comprensione della distribuzione di questo incremento, analizziamo la ripartizione per sottosettori:

  • Amministrazioni centrali: +50,6 miliardi ad ottobre, confermandosi il motore principale dell’aumento.
  • Amministrazioni locali: crescita limitata a 0,2 miliardi.
  • Enti di previdenza: situazione pressoché invariata, senza impatti significativi sul totale nazionale.
Interessante anche la questione di chi detiene il debito statale: la Banca d’Italia riduce progressivamente la propria quota ora al 18,8%, mentre i non residenti incrementano la propria esposizione al 33,9%. Il resto è nelle mani di residenti diversi da banche e assicurazioni, principalmente famiglie e imprese non finanziarie, in calo al 14,2%. Tale frammentazione degli investitori determina dinamiche diverse circa la stabilità dei collocamenti e la sensibilità agli andamenti dello spread tra titoli italiani e tedeschi.

La vita media residua delle emissioni scende a 7,8 anni rispetto agli 8,0 precedenti: segno della tendenza a preferire scadenze più brevi anche alla luce della crescente domanda di strumenti indicizzati all’inflazione, come dimostra il successo delle recenti emissioni BTp Valore. Questo riflette una necessità di adattare la struttura del debito a un contesto finanziario in rapida evoluzione e a potenziali rischi di volatilità futura.

Principali drivers dell'aumento del debito (Ottobre 2025) Milioni di euro
Disponibilità liquide del Tesoro +31.800
Fabbisogno amministrazioni pubbliche +18.800
Effetti tecnici/emissioni e rivalutazioni +100
TOTALE +50.700

Non va trascurato, infine, l’aspetto congiunturale: la diminuzione dello spread Btp-Bund sotto i 70 punti base, ai minimi dal 2009, aiuta a contenere il costo del nuovo debito ma non cancella i nodi strutturali della sostenibilità sul lungo termine.

Conseguenze della crescita: spesa per interessi, impatto economico e rischi futuri (e alcuni elementi positivi)

L’aumento dello stock del debito comporta implicazioni di rilievo sulla gestione del bilancio pubblico, con effetti tangibili su diversi comparti dell'economia. L’indicatore più significativo resta la spesa per interessi, che nei primi undici mesi dell’anno registra una leggera flessione del tasso medio (2,79%, in calo dal 3,41% del 2024), pur restando sensibilmente superiore ai livelli prepandemici (ben sotto l’1%). Tuttavia, il dato assoluto sulla spesa annuale supera i 100 miliardi di euro, contro i 64 miliardi rilevati solo tre anni fa. In rapporto al PIL, si passa dal 3,2% del 2022 al 3,9% attuale.

La penetrazione delle emissioni a rendimenti più elevati, in sostituzione di titoli emessi in passato a condizioni assai più favorevoli, fa sì che il costo per interessi si mantenga stabile solo se le condizioni finanziarie restano favorevoli. Se in futuro il costo del denaro dovesse invertire la rotta o se il Pil nominale rallentasse, una porzione crescente delle risorse pubbliche si troverebbe assorbita dal servizio del debito, a discapito di settori come scuola, sanità, previdenza, assistenza sociale e infrastrutture.

Alcuni dei principali rischi collegati sono:

  • Esposizione alla volatilità dei tassi di interesse: la prevalenza di titoli a lunga scadenza o indicizzati comporta, in caso di repentine variazioni dei mercati, una forte instabilità nei portafogli degli investitori e, di riflesso, sui conti pubblici.
  • Flessibilità limitata della politica fiscale: alti livelli di spesa per interessi riducono la disponibilità di fondi per interventi strutturali o emergenziali.
  • Sensibilità alle condizioni macroeconomiche: recessioni o stagnazione del Pil aumentano l’incidenza percentuale della spesa per interessi, aggravando la difficoltà di gestione del debito stesso.
Nonostante questi fattori di rischio, il quadro presenta anche elementi positivi: l’avanzo primario sfiora l’1% del Pil e il sistema-Paese beneficia oggi di valutazioni favorevoli dalle principali agenzie di rating, elemento che fornisce margine per il mantenimento di costi di finanziamento relativamente contenuti.


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