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Nuova crisi immobiliare e finanziaria peggiore del 2008 in arrivo nel 2026-2027 per il troppo caldo e piogge torrenziali

di Chiara Compagnucci pubblicato il
Nuovo crack globale

Il cambiamento climatico non è più una minaccia potenziale per l’economia globale: è già in atto e sta agendo da elemento destabilizzante trasversale.

Mai come in questi ultimi 24 mesi, l’umanità ha avuto la netta percezione di abitare un pianeta che non è più in equilibrio. Il 2024 è stato l’anno più caldo mai registrato, seguito da un inizio 2025 che ha consolidato questo primato: per 12 mesi consecutivi la temperatura globale ha superato di 1,5 gradi centigradi i livelli preindustriali, soglia critica che l’Accordo di Parigi aveva posto come limite da non oltrepassare. Questa anomalia termica è la dimostrazione di un mutamento climatico irreversibile che sta entrando con prepotenza nelle dinamiche economiche, sociali e infrastrutturali del pianeta. A peggiorare lo scenario, eventi meteorologici estremi si sono susseguiti senza tregua: tifoni devastanti nel sud-est asiatico, incendi di proporzioni apocalittiche in Nord America, alluvioni senza precedenti in Europa e in Cina. I fenomeni si concatenano in una catena globale di disastri che mette a dura prova la tenuta del sistema assicurativo e immobiliare mondiale.

Il cambiamento climatico non è più una minaccia potenziale per l’economia globale: è già in atto e sta agendo da elemento destabilizzante trasversale che erode la fiducia nei mercati, riduce la protezione patrimoniale dei cittadini e mette in crisi la capacità di valutare il rischio degli investimenti. Il clima, un tempo variabile esogena, si trasforma oggi in un fattore strutturale e permanente delle politiche finanziarie. Ogni nuova ondata di calore, ogni pioggia torrenziale, ogni stagione che supera i record del passato, si traduce in perdite reali, misurabili e crescenti per famiglie, imprese e istituzioni.

L'effetto domino della crisi climatica minaccia le fondamenta del capitale

Una delle vittime più evidenti ma ancora sottovalutate del riscaldamento globale è il mercato immobiliare. A differenza del 2008, quando il crollo fu innescato da strumenti finanziari tossici come i mutui subprime, oggi a mettere a rischio i valori delle abitazioni è un meccanismo più insidioso e meno reversibile: l’aumento incontrollabile dei costi assicurativi e il ritiro progressivo delle compagnie dalle aree a rischio. In regioni come la Florida, la California e il Midwest americano, ottenere una polizza per la propria casa sta diventando sempre più difficile o economicamente insostenibile. E senza assicurazione, nessuna banca concede un mutuo. La conseguenza? Le famiglie non possono più comprare casa, gli istituti di credito si ritirano, i prezzi iniziano a scendere.

Il ciclo virtuoso dell’edilizia si inverte e diventa un circuito vizioso. Secondo uno studio recente, più di 18 milioni di abitazioni negli Stati Uniti potrebbero perdere dal 20 al 40% del loro valore nei prossimi anni a causa dei rischi ambientali. Ma il fenomeno non è limitato agli USA: anche l’Italia, l’Australia, la Germania e il Giappone stanno vivendo i primi segnali di questo collasso selettivo dei mercati immobiliari regionali. La perdita di valore non è uniforme, ma colpisce con maggiore forza le zone costiere, le aree aride e quelle soggette a incendi e alluvioni. È un lento scivolamento del mattone, che sgretola le certezze del risparmio privato, indebolisce le garanzie ipotecarie, congela gli investimenti e diffonde instabilità.

E l’effetto domino non si ferma al settore immobiliare. Le banche, già alle prese con tassi d’interesse elevati, iniziano a registrare insolvenze sui mutui. Gli istituti più esposti, soprattutto quelli regionali, si trovano costretti a svalutare i propri attivi. Gli stress test della Federal Reserve, pur prevedendo crolli del 25% nei prezzi degli immobili, non avevano tenuto conto di un deterioramento così rapido, fisico e permanente della base immobiliare. Non è più una crisi finanziaria tradizionale: è una crisi climatico-finanziaria, dove il rischio non nasce da eccessi speculativi ma da una perdita sistematica di abitabilità e valore del territorio. A differenza del 2008, qui non si riparte: si disgrega.

Un'economia sull’orlo di un nuovo crack globale

L’anno in corso ha già mostrato i segni evidenti di una tensione crescente sui mercati. Nell’aprile del 2025, in soli due giorni, il Dow Jones, il Nasdaq e lo S&P 500 hanno perso fino al 10%, innescando la peggiore ondata di vendite dalla pandemia. Il collasso è stato alimentato da una combinazione letale: tariffe punitive, incertezza politica e, soprattutto, un allarmante aumento delle insolvenze nel settore immobiliare commerciale e residenziale. La fragilità del mercato è tale che basta un evento climatico estremo a determinare vendite a cascata, ribassi generalizzati e fughe dagli asset più esposti, come titoli assicurativi, fondi REIT e banche con portafogli immobiliari ad alto rischio.

Gli analisti sono divisi: da un lato, istituti come JPMorgan scommettono su una ripresa tecnica, supportata dalla robustezza del mercato del lavoro e dal contenimento dell’inflazione; dall’altro, economisti come Jeremy Grantham e David Rosenberg parlano apertamente di una “bolla finanziaria multipla” che ricorda i prodromi della crisi del 2000 e quella del 2008. Le valutazioni attuali sono considerate da molti scollegate dai fondamentali, sostenute solo da aspettative di rimbalzo che non tengono conto del deterioramento fisico del contesto produttivo e abitativo.

L’instabilità climatica non è più una variabile accessoria nei modelli di previsione: è la nuova costante strutturale. Ogni evento estremo riduce la propensione al rischio, abbassa le valutazioni degli asset tangibili e genera ondate speculative che si propagano in tutto il sistema. Il mondo finanziario si trova di fronte a una transizione epocale, in cui il valore non è più determinato soltanto dalla redditività attesa, ma dalla resilienza ambientale. Chi possiede terreni, immobili o infrastrutture in zone vulnerabili non è più un investitore, ma un creditore a rischio.