L’Ocse annuncia l’uscita a 70 anni dal lavoro: uno scenario che ridisegna le prospettive pensionistiche in Italia e nei Paesi Ocse. Cause demografiche, sostenibilità, impatti sociali e disparità di genere al centro del dibattito.
Il panorama previdenziale nei Paesi Ocse mostra una trasformazione senza precedenti, alimentata da evoluzioni demografiche e legislazioni in continuo aggiornamento. Gli ultimi dati pubblicati segnalano come il traguardo della pensione si stia spostando sempre più avanti, in particolare per i lavoratori che hanno iniziato la loro carriera di recente. Secondo l’analisi, il sistema delle pensioni è oggi oggetto di revisione, con la previsione di un’innalzamento dell’età di uscita dal mondo del lavoro che coinvolge la maggior parte dei paesi industrializzati. Si tratta di una risposta diretta ai profondi cambiamenti nella composizione della popolazione e alle conseguenti esigenze di sostenibilità finanziaria dei sistemi previdenziali. Il nuovo rapporto Ocse del 2025 offre una fotografia aggiornata e dettagliata di queste dinamiche, delineando in modo chiaro le sfide che attendono le future generazioni di lavoratori.
Le ultime pubblicazioni internazionali rilevano che l’età media di pensionamento sta subendo un deciso incremento. Chi ha cominciato a lavorare nel 2024 potrà accedere alla pensione, in media, a 65,9 anni se donna e a 66,4 anni se uomo, staccando così di quasi due anni chi aveva lasciato il lavoro nel 2024, per il quale le medie erano rispettivamente 63,9 e 64,7 anni. Questo trend riguarda la maggior parte delle economie avanzate, ma spicca la posizione dell’Italia.
L’Italia si posiziona nel gruppo ristretto di paesi dove l’età normale della pensione raggiungerà i 70 anni, secondo le norme attualmente vigenti. Una soglia condivisa anche da Danimarca, Estonia, Paesi Bassi e Svezia. Al contrario, altre realtà presentano uscite notevolmente più precoci, come la Colombia (62 anni per gli uomini e 57 per le donne), Lussemburgo e Slovenia (62 anni).
È particolarmente utile analizzare la distribuzione di queste soglie attraverso una tabella:
| Paese | Età pensionabile prevista |
| Italia | 70+ |
| Danimarca | 70+ |
| Estonia | 70+ |
| Paesi Bassi | 70+ |
| Svezia | 70+ |
| Lussemburgo | 62 |
| Slovenia | 62 |
| Colombia (uomini/donne) | 62/57 |
Nei Paesi membri Ocse l’incremento dell’età pensionabile è frutto di interventi normativi strutturali che si sono intensificati negli ultimi anni. Questo scenario sancisce la fine dell’età di pensionamento come variabile poco influenzata dal contesto economico e dagli sviluppi legislativi. Per l’Italia, il raggiungimento del nuovo tetto pone lavoratrici e lavoratori tra coloro che, in futuro, accederanno alla pensione più tardi rispetto agli altri stati dell’area Ocse. Queste tendenze si inseriscono in un quadro globale di crescente longevità e accentuano la necessità di politiche previdenziali e occupazionali in grado di rispondere efficacemente al nuovo scenario.
Dietro al progressivo spostamento dell’età di uscita dal lavoro si celano fattori strutturali legati all’invecchiamento della popolazione e alla sostenibilità economica dei sistemi previdenziali. Il rapporto Ocse sottolinea che l’innalzamento delle aspettative di vita sta cambiando il rapporto tra attivi e pensionati: già oggi, nei paesi Ocse, ogni 100 persone tra i 20 e i 64 anni corrisponderanno, nel 2050, ben 52 persone di almeno 65 anni (contro le 33 del 2025 e le 22 del 2000).
Questo processo risulta particolarmente accentuato in paesi come Italia, Corea, Spagna, Grecia, Polonia e Slovacchia, dove l’incremento degli ultra-sessantacinquenni rispetto agli adulti in età lavorativa sarà tra i più elevati, con stime superiori ai 25 punti percentuali.
La popolazione in età lavorativa (tra 20 e 64 anni) nei prossimi decenni subirà una contrazione:
L’Ocse invita a leggere questo scenario come spinta all’innovazione in campo normativo, suggerendo sia l’ampliamento delle opportunità lavorative in età avanzata sia la promozione di modelli previdenziali flessibili ed equi. La pressione sulle entrate pubbliche, in un contesto di maggiore spesa legata all’invecchiamento, impone scelte calibrate e politiche che incentivino l’inclusione lavorativa delle nuove generazioni e la permanenza attiva dei lavoratori maturi.
L’analisi dei dati evidenzia come i giovani che hanno iniziato la propria carriera lavorativa nel 2024 saranno chiamati a lavorare più a lungo rispetto alle generazioni precedenti. Secondo le statistiche rese note, la prospettiva del pensionamento slitterà, in Italia, oltre i 70 anni per chi entra oggi nel mercato del lavoro. Questa proiezione rende l’età di ritiro non solo una questione personale, ma un fattore di rilevanza sociale legato a doppio filo con la sostenibilità collettiva.
Per la forza lavoro giovane, l’accesso al sistema pensionistico si caratterizzerà quindi per:
La nuova architettura dell’età di ritiro implica quindi scenari inediti per i giovani lavoratori, coinvolgendo tanto le aspettative personali quanto il funzionamento delle dinamiche tra le generazioni: una società più longeva richiede un mercato del lavoro dinamico e inclusivo, nonché sistemi di sicurezza sociale capaci di proteggere i soggetti più esposti alle transizioni dell’età adulta.
Un nodo centrale affrontato dal rapporto Ocse riguarda il divario di genere nelle pensioni. Nel 2024 si registrava una differenza media del 23% tra gli assegni mensili erogati alle donne e quelli destinati agli uomini nei Paesi membri. Si tratta di un gap che, pur mostrando una costante riduzione (era il 28% nel 2007), continua ancora a incidere, in particolare in alcune realtà specifiche.
Le differenze geografiche sono significative:
Le previsioni per il prossimo futuro restano comunque improntate all’ottimismo: è ipotizzato il proseguimento della tendenza alla riduzione di questo divario, trainata sia da riforme normative sia dall’ingresso crescente delle donne in lavori stabili e qualificati. Le strategie da consolidare includono:
L’analisi delle ripercussioni economiche e sociali dell’innalzamento dell’età di uscita dal lavoro evidenzia una pluralità di effetti, la cui portata si riflette tanto sulla collettività quanto sui singoli. L’invecchiamento della popolazione, insieme al calo delle nascite, comporta una costante riduzione della popolazione attiva, con effetti a catena a livello macroeconomico.
Dal punto di vista economico, una maggiore permanenza dei lavoratori anziani nei processi produttivi può contribuire: