Dal 2006 il tuo sito imparziale su Lavoro, Fisco, Investimenti, Pensioni, Aziende ed Auto

Per quali fondi di investimento conviene pagare la gestione attiva perché fa guadagnare ancora di più nonostante le spese

di Marcello Tansini pubblicato il
Gestione attiva perché fa guadagnare

Analisi delle differenze tra gestione attiva e passiva, confronto delle performance storiche, settori dove la gestione attiva eccelle, valutazione dei costi, criteri di scelta dei fondi e prospettive per il 2025 secondo gli esperti.

Nel panorama degli investimenti, la questione se valga la pena continuare a sostenere i costi della gestione attiva nei fondi rimane centrale per numerosi risparmiatori. L'esplosione della popolarità degli ETF e la crescente attenzione ai costi ha posto sotto la lente l'efficacia dei fondi gestiti attivamente, soprattutto quando l'obiettivo è massimizzare i rendimenti al netto delle spese.

Comprendere dove – e soprattutto quando – la selezione attiva può aggiungere valore è di particolare interesse in un contesto di mercati sempre più competitivi e trasparenti, in cui ogni punto percentuale di extra profitto può fare la differenza nel lungo periodo. L'analisi delle caratteristiche dei prodotti e delle condizioni di mercato permette di affinare l'approccio nella valutazione della convenienza della gestione attiva.

Gestione attiva e gestione passiva: differenze chiave e impatto sui rendimenti

I fondi a gestione attiva si distinguono per la presenza di gestori che prendono decisioni discrezionali su quali titoli includere e con che peso. L'obiettivo di questi fondi è sovraperformare un parametro di riferimento (benchmark), attraverso strategie di selezione di titoli (stock picking) o settori. Contrapposti a questi strumenti sono i fondi a gestione passiva, prevalentemente ETF, che replicano fedelmente un indice di mercato. La gestione passiva si basa sull'efficienza dei mercati finanziari, secondo cui è difficile generare sistematicamente rendimenti superiori al benchmark dopo i costi. Il differenziale principale tra i due approcci risiede sia nel meccanismo decisionale sia nell'impatto che hanno i costi di gestione sui rendimenti finali.

La gestione attiva comporta commissioni più elevate (in media tra 1% e 2,5% annuo) e un turnover maggiore del portafoglio. I fondi passivi, invece, applicano costi notevolmente inferiori (TER spesso sotto lo 0,3%), grazie alla semplicità della replica dell'indice. In pratica:

Fondi attivi

Strategia discrezionale, obiettivo: battere il mercato, costi più elevati

Fondi passivi (ETF)

Replica un benchmark predefinito, costi bassi, rendimenti allineati al mercato

Il fattore costo pesa sensibilmente sull'accumulazione di rendimento nel tempo: piccoli differenziali di spesa annuale possono tradursi in differenze significative di patrimonio dopo 10 o 20 anni. L'evidenza storica mostra che, a parità di categoria, la maggior parte dei gestori attivi non riesce a battere sistematicamente i fondi passivi sul lungo termine, proprio a causa dell'erosione delle commissioni e della difficoltà di prevedere l'andamento dei mercati.

Performance storiche a confronto: quando la gestione attiva batte il mercato

L'analisi dei risultati storici mostra come la gestione attiva abbia registrato tassi di successo piuttosto limitati rispetto agli indici replicati dagli ETF. Secondo studi aggregati – tra cui il barometro Morningstar attivo/passivo – soltanto circa il 29% dei fondi azionari attivi europei è riuscito a sovraperformare il mercato in un arco temporale di 12 mesi tra 2024 e 2025. Allungando l'orizzonte temporale a dieci anni, il successo dei comparti attivi crolla mediamente al 13-16%, con valori ancora più critici su segmenti di mercato molto seguiti, come le large cap americane.

La differenza si fa più marcata in termini di performance aggiustate per il rischio e net of fees. I costi elevati dei fondi a gestione attiva costituiscono un ostacolo rilevante, difficilmente superabile con sola abilità di selezione. Tuttavia, l'analisi di lungo periodo rivela alcune eccezioni: in particolari contesti – come in alcuni mercati emergenti o settori meno efficienti – la gestione attiva ha avuto un maggiore tasso di successo, superando in alcune finestre temporali anche il 40-50% dei casi, soprattutto nei comparti obbligazionari e tra i fondi focalizzati su nicchie di mercato. Per essere più chiari:

  • Azionario globale large cap: negli USA, solo il 4-5% dei gestori attivi ha battuto l'indice S&P 500 in dieci anni (dati SPIVA).
  • Mercati emergenti e settori specializzati: tasso di successo dei fondi attivi superiore al 40% su alcuni orizzonti pluriennali.
  • Reddito fisso: nei comparti obbligazionari, le competenze attive hanno premiato più spesso soprattutto nei Treasury e nei segmenti corporate.
Questi risultati evidenziano l'importanza di una selezione accurata e aggiornata nel tempo quando si valuta la convenienza della gestione attiva.

Le aree di vantaggio della gestione attiva: mercati liquidi, settoriali e obbligazionari

Mentre sui mercati azionari ampi e liquidi (come quelli USA o Europa large cap) la gestione passiva domina per rendimento netto e costi, la gestione attiva trova spazi di relativa convenienza in alcune aree e contesti specifici:

  • Mercati meno efficienti o meno liquidi: piccole capitalizzazioni, mercati emergenti, segmenti settoriali ristretti o aree geografiche con minor copertura da parte degli ETF.
  • Obbligazionario e credito: nei comparti a reddito fisso, soprattutto titoli governativi globali, corporate e Treasury USA, i gestori attivi hanno dimostrato capacità superiori di reagire alle variazioni dei tassi d'interesse e ai cambiamenti nelle condizioni di mercato.
  • Contesti di volatilità e rotazione settoriale: la reattività dei gestori a mutamenti macroeconomici o eventi straordinari (come shock monetari, crisi valutarie o trade war) può offrire vantaggi rispetto a una semplice replica del benchmark.
L'abilità del gestore si traduce soprattutto nella possibilità di evitare concentrazioni settoriali o rischi specifici, oppure nello scegliere titoli di nicchia o strategie di opportunistic asset allocation. Ad esempio, nel mercato azionario nordico o in India, in particolari contesti, la percentuale dei fondi attivi che ha sovraperformato i passivi ha toccato picchi del 40-50% anche su archi triennali. Nel comparto obbligazionario, dati recenti rivelano che oltre il 50% dei gestori attivi è riuscito a battere gli ETF nell'ultimo anno, evidenziando un potenziale valore aggiunto nei contesti meno standardizzati e più influenzati da variabili macro.

I costi della gestione attiva: quando incidono davvero

Uno degli elementi più incisivi su cui si concentra l'analisi della convenienza di pagare la gestione attiva riguarda i costi. Il Total Expense Ratio (TER) dei fondi attivi azionari si attesta spesso tra l'1,5% e il 2,5% annuo, mentre i fondi passivi viaggiano su medie tra 0,05% e 0,5%. Questo differenziale erode progressivamente i rendimenti anche nei casi di gestione brillante.

I costi includono non solo le commissioni di gestione, ma anche costi di transazione, di performance e talvolta commissioni di ingresso/uscita. L'impatto dei costi è amplificato su archi temporali pluriennali, portando in alcuni casi a una perdita accumulata del 40-50% del capitale potenziale rispetto alla gestione passiva. Banche e reti distributive spesso privilegiano i fondi attivi per beneficio retrocessione sulle commissioni, a danno dell'allineamento di interessi col risparmiatore.

Diversi studi sottolineano che i fondi attivi con spese più basse hanno percentuali di successo maggiori sia sul breve che su archi decennali. Quindi, se si opta per la gestione attiva, è essenziale confrontare in modo critico i livelli di costo, valutando il bilancio tra extra rendimento effettivo e spese ricorrenti. Nei casi in cui il gestore non aggiunge reale “alf a” rispetto al benchmark di riferimento, i costi elevati rendono sconveniente la permanenza nel prodotto.

Fondi consigliati e scenari per il 2025 secondo gli esperti

La selezione accurata resta la chiave per intercettare fondi a gestione attiva che mostrano potenziale di sovraperformance nonostante le spese associate. Occorre adottare una strategia rigorosa per individuare comparti o gestori ancora in grado di offrire valore reale:

  • Controllo dei costi: preferire fondi con TER tra i più bassi della categoria. Fondi con costi contenuti hanno statisticamente maggiori chance di successo.
  • Analizzare la persistenza delle performance: preferire fondi con lunga storia di extra rendimento netta da spese. La coerenza è segnale di processo solido.
  • Specializzazione tematica/geografica: scegliere comparti focalizzati su nicchie, mercati emergenti e obbligazionari dove la gestione attiva ha dimostrato più valore.
  • Misurare il rischio assunto rispetto al benchmark: valutare il tracking error e il beta, per comprendere se l'overperformance è frutto di vera abilità o di rischio aggiuntivo.
  • Trasparenza e processo di investimento: affidarsi a società di gestione con processi chiari, comunicazione trasparente e governance efficace.
  • Adattività alle condizioni macro: fondi che hanno dimostrato capacità di adattare l'asset allocation in fasi di volatilità (rotazione settoriale, gestione attiva del rischio valutario, market timing disciplinato).
È importante evitare soluzioni “indice hugging”, ossia fondi attivi che si limitano a ricalcare l'indice con minime deviazioni (quindi elevati costi senza reale valore aggiunto). Le risorse informative pubbliche e rating indipendenti (come Morningstar o SPIVA) sono strumenti utili per valutare ex ante la competitività reale di un fondo rispetto al proprio universo di riferimento.

Le prospettive per il 2025 vedono, secondo gli analisti, alcune tipologie di fondi attivi in equilibrio tra rischio e rendimento attesi. Sono individuati comparti diversi in relazione al profilo dell'investitore e ai possibili scenari macro:

  • Fondi obbligazionari globali a duration media-lunga su emissioni governative o corporate investment grade, con focus su strategie di active allocation e gestione flessibile del rischio cambi.
  • Multi-asset globali: strumenti misti che combinano azioni, obbligazioni e liquidità; apprezzati per la capacità di attutire volatilità e per l'approccio dinamico all'evoluzione dei mercati.
  • Fondi settoriali specializzati: innovazione tecnologica, transizione energetica, sostenibilità ESG e segmenti di mercato non coperti da ETF mainstream.
Gli specialisti raccomandano un monitoraggio continuo dei costi effettivi, della governance del gestore e della trasparenza nella comunicazione delle strategie e dei rischi. In considerazione delle incertezze geopolitiche e dei potenziali cambi di scenario sulle politiche monetarie, il ruolo della gestione attiva assume maggiore rilievo nelle asset class a bassa efficienza o in presenza di mercati caratterizzati da forti asimmetrie informative.

Fondi monetari e liquidità

BlackRock Institutional Cash Series, UBS Select Money Market, Fidelity Institutional Liquidity

Fondi indicizzati efficienti

Amundi FTSE EPRA NAREIT Global, iShares US Index Flexible Acc, Amundi S&P 500 ESG Index

Multi-asset e Absolute Return

UBAM Absolute Return Fixed Income, BNP Paribas Target Risk Balanced, Alkimis Capital UCITS