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Perchè a Novembre è calata la fiducia dei consumatori italiani e il rischio di un Natale con pochi acquisti

di Marcello Tansini pubblicato il
calo indice fiducia consumatori 2025

A novembre il calo della fiducia dei consumatori solleva timori su una possibile flessione degli acquisti natalizi. L’articolo esamina dati, cause e conseguenze, tra rincari, nuove abitudini e strategie per sostenere i consumi.

La recente diminuzione della fiducia delle famiglie mette in discussione le aspettative sul consueto slancio dei consumi durante il periodo natalizio. Secondo le ultime analisi, l’incertezza economica e l’aumento costante dei prezzi stanno condizionando la serenità con cui molti cittadini affrontano le spese tipiche delle feste di fine anno. Le difficoltà nel percepire un miglioramento delle prospettive economiche si riflettono direttamente sull’approccio agli acquisti: emerge maggiore cautela, soprattutto tra chi ha visto erodersi il potere d’acquisto nell’ultimo anno. 

I dati Istat: come è cambiato l’indice di fiducia di consumatori e imprese a novembre

Gli ultimissimi dati Istat riferiti a novembre testimoniano una contrazione significativa dell’indice di fiducia dei consumatori, sceso da 97,6 a 95 punti: si tratta del livello più basso registrato dal mese di aprile. Tutti gli indicatori che compongono il clima della fiducia risultano in calo rispetto al mese precedente, con un peggioramento diffuso sia sul fronte delle aspettative future sia sulle valutazioni della situazione personale e familiare.

  • Clima economico: diminuzione da 99,3 a 96,5
  • Clima personale: scivolata da 97,0 a 94,5
  • Clima corrente: riduzione da 100,2 a 98,6
  • Clima futuro: ulteriore calo da 94,1 a 90,2
Al contrario, il livello di fiducia rilevato tra le imprese appare in controtendenza: l’indice composito per le aziende è passato da 94,4 a 96,1 punti, segnando il valore più alto dal 2024. Tuttavia, tale crescita si presenta come un fenomeno settoriale e differenziato: sono soprattutto le grandi catene della distribuzione e il comparto turistico a beneficiare di aspettative più favorevoli, mentre persistono difficoltà tra servizi di mercato e costruzioni. Il clima resta, dunque, disomogeneo tra le diverse componenti del tessuto produttivo e commerciale.

Conseguenze sulle abitudini di acquisto: consumatori più cauti tra Natale e rincari

La percezione di instabilità e pressione economica ha spinto molte famiglie a ridimensionare spese non essenziali, orientando le scelte di acquisto verso soluzioni più prudenti. La propensione alla spesa per regali, prodotti alimentari di qualità e beni durevoli tende a ridursi, mentre aumentano comportamenti orientati al risparmio e alla ricerca di offerte promozionali, come quelle tipiche del Black Friday. I segnali raccolti dalle associazioni di categoria mettono in luce la seguente realtà:

  • Calano le attese e i giudizi positivi su situazione attuale e futura delle famiglie.
  • Si registra minor propensione all’acquisto di prodotti durevoli, come elettrodomestici e articoli per la casa, con opportunità viste come meno vantaggiose nonostante l’introduzione di bonus e incentivi.
  • L’incremento dei prezzi al dettaglio, soprattutto sui beni alimentari, incide su una dieta più povera e meno attenta ai prodotti freschi.
  • Emergono strategie adattive quali la riduzione degli acquisti di frutta e verdura, maggior ricorso a cibi a lunga conservazione e frequente orientamento verso mercati locali e discount per ottimizzare le spese.
Codacons ha sottolineato la correlazione diretta tra calo della fiducia e riduzione delle spese natalizie, evidenziando rischi per la salute pubblica nel caso di una persistente compressione del potere d’acquisto. Le scelte alimentari dettate dal prezzo e la diminuzione della qualità nutrizionale della dieta sono segnali di ulteriore disagio all’interno delle famiglie con redditi medio-bassi.

Gli effetti sull’economia: impatto sui settori retail e grande distribuzione

Le variazioni dell’umore dei consumatori si riflettono con immediatezza sulle dinamiche di vendita, soprattutto nella grande distribuzione. I supermercati e i piccoli rivenditori hanno registrato una fase di stallo, caratterizzata da vendite ferme e scorte in aumento, segno che il mercato fatica a intercettare una domanda in via di raffreddamento. Questo fenomeno genera:

  • Accumulo di prodotti invenduti, che costringe le aziende ad affrontare costi di magazzino più elevati e riduce i margini di profitto.
  • Necessità di frequenti promozioni e politiche di sconto per alleggerire le rimanenze, talvolta a discapito dei ricavi.
  • Focus sempre maggiore su segmenti come il discount e l’e-commerce, considerati canali più agili per adattarsi alle mutevoli esigenze del pubblico.
La segmentazione tra grandi catene e piccoli esercizi si è acuita: risultano più resilienti i giganti della distribuzione, che possono giocare su economie di scala e una più ampia flessibilità sulla gestione dell’inventario. I piccoli operatori, invece, subiscono in misura maggiore le tensioni su liquidità e gestione degli stock, con rischi crescenti in caso di prolungata stagnazione.

Cause e fattori che alimentano l’incertezza: prezzi, pressione fiscale e politiche economiche

L’incertezza che grava sui consumi è alimentata da una molteplicità di fattori: l’aumento dei prezzi al dettaglio, in particolare nei comparti alimentari e dell’energia, si accompagna a una pressione fiscale che sottrae margini di spesa ai redditi medio-bassi. Nonostante alcune misure temporanee (ad esempio, il Bonus Natale), permane una diffusa difficoltà a percepire reali benefici dalla politica economica statale. I principali elementi di criticità si possono riassumere come segue:

  • Elevata inflazione negli ultimi due anni, con impatto diretto su acquisti alimentari e beni di uso quotidiano.
  • Crescita modesta dei salari e redditi, che porta a una riduzione della capacità di spesa, acuita dall’aumento dei contributi sociali (come da fonti Confcommercio).
  • Fiscal drag e peso dell’IRPEF sulle retribuzioni, che rischiano di sterilizzare gli eventuali aumenti salariali.
  • La mancanza di provvedimenti strutturali per il sostegno alla domanda interna e la scarsa continuità delle politiche economiche nazionali.
La sfiducia cresce, inoltre, di fronte all’instabilità internazionale e alle oscillazioni dei mercati finanziari, contribuendo a una visione pessimistica sulle prospettive di breve termine per la crescita e l’occupazione.

Le richieste delle associazioni dei consumatori: misure per sostenere il potere d’acquisto

Le principali organizzazioni rappresentative hanno ribadito la necessità di interventi mirati per sostenere la spesa delle famiglie. Federcosumatori, Unione Nazionale Consumatori e Codacons chiedono soluzioni che agiscano su:

  • Riduzione della pressione fiscale sui redditi da lavoro dipendente, anche per compensare effetti da fiscal drag dovuti a scatti di aliquota IRPEF.
  • Estensione e rafforzamento di bonus temporanei e incentivi agli acquisti di beni di consumo e salute.
  • Contenimento dei prezzi al dettaglio, in particolare su comparti essenziali come alimentari ed energia.
  • Accordi di filiera tra produzione, industria e distribuzione per garantire prezzi giusti e maggiore equilibrio tra qualità, quantità e costi.
Secondo Coldiretti, garantire l’accesso a una dieta sana a prezzi accessibili rappresenta una priorità non solo economica, ma anche sociale e sanitaria. Le richieste includono una maggiore trasparenza nella formazione dei prezzi e una riforma strutturale degli strumenti a tutela dei consumatori.

Cambiamento dei modelli di consumo: tra risparmio, prodotti durevoli e nuove priorità alimentari

Il ricordo di crisi recenti e lo scenario di scarsa crescita hanno accelerato l’evoluzione delle abitudini di spesa. Negli ultimi anni, a fronte di un potere d’acquisto solo parzialmente recuperato, la tendenza ad accantonare risorse è diventata più marcata, anche nei confronti di occasioni considerate tradizionalmente propizie come il periodo natalizio. Dal punto di vista delle scelte di consumo:

  • Spesa pro capite ancora inferiore ai livelli del 2007, nonostante gli incrementi registrati su base annua (fonte Confcommercio).
  • Minore acquisto di prodotti freschi come frutta e verdura, sia per ragioni di prezzo sia per la ricerca di lunga conservazione.
  • Ricorso frequente a prodotti locali, tracciabili ed economie di prossimità per migliorare rapporto qualità/prezzo e ridurre l’impatto della filiera logistica.
  • Incremento dell’interesse verso canali come mercati contadini, discount e soluzioni “fai-da-te” alimentare.
  • Focus sui prodotti durevoli solo in presenza di incentivi o bonus specifici, con un approccio sempre più selettivo.
Il cambiamento delle priorità si riflette anche in una crescente attenzione alla salute e al benessere, ma spesso le scelte sono guidate prima di tutto dal prezzo più che da principi nutrizionali. Questo allontanamento dalla dieta mediterranea rischia di aggravare il tema delle disuguaglianze sociali e sanitarie, secondo quanto riportato da Coldiretti e ISMEA.