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Perchè solo l'Italia e la Grecia hanno stipendi e lavoratori più poveri di 20 anni fa in tutta Europa?

di Marcello Tansini pubblicato il
Italia e la Grecia più poveri di tutta e

Negli ultimi 20 anni mentre in Europa i redditi crescono, Italia e Grecia segnano un preoccupante declino dei salari. Un viaggio tra dati, cause, confronto con altri Paesi, povertà lavorativa e sfide future.

L’ultimo ventennio ha segnato una profonda divergenza nei percorsi economici dei Paesi dell’Unione Europea, con due eccezioni drammatiche: Italia e Grecia. Mentre la maggioranza dei partner europei ha vissuto un sensibile miglioramento dei livelli di reddito reale, Roma e Atene si sono distinte per una riduzione della capacità di spesa dei cittadini. Le statistiche mostrano che il benessere economico di queste nazioni è oggi inferiore rispetto all’inizio del millennio, fatto che ha determinato crescenti disparità sia all’interno dei loro confini sia nei confronti del resto del continente. Comprendere le ragioni di questa controtendenza e l’impatto sulle condizioni di vita delle famiglie è essenziale per individuare nuove strategie di ripresa e riduzione delle disuguaglianze sociali.

I dati Eurostat: crescita dei redditi in Europa e la controtendenza di Italia e Grecia

I dati resi disponibili dall’Ufficio statistico dell’Unione Europea (Eurostat) documentano una crescita media del reddito reale pro capite del 22% nell’arco 2004-2024 tra i paesi dell’Unione. Solo Italia e Grecia rappresentano un’eccezione netta a questa tendenza generalizzata: il reddito reale delle famiglie è infatti diminuito del 4% e del 5% rispettivamente. Mentre Paesi come Romania (+134%), Lituania (+95%), Polonia (+91%) e Malta (+90%) hanno conosciuto incrementi straordinari — agevolati anche dal processo di convergence post-adesione — tra le grandi economie Francia mostra un +21%, Germania +24% e Spagna +11%.

Secondo i dati Eurostat, il trend di miglioramento si è interrotto a partire dal 2008, complice la crisi finanziaria globale che ha colpito tutto il continente, ma che nei casi italiano e greco si è tradotta in una stagnazione ormai strutturale. Il grafico sottostante illustra chiaramente il fenomeno:

Paese Variazione reddito reale 2004-2024 (%)
Romania +134
Lituania +95
Polonia +91
Malta +90
Francia +21
Germania +24
Spagna +11
Italia -4
Grecia -5

Nel corso del tempo, solo Italia e Grecia non hanno saputo recuperare i livelli di reddito pre-crisi, aggravando le condizioni di famiglie e lavoratori e segnando una distanza crescente rispetto agli altri Stati membri.

Le cause del calo dei salari e del reddito in Italia e Grecia

L’analisi delle ragioni alla base della mancata crescita reddituale mostra come più fattori si siano intrecciati, aggravando la situazione. In primo luogo, la crescita economica stagnante di entrambe le economie, e in particolare la quasi immobilità del PIL italiano dagli anni Duemila, hanno impedito al reddito delle persone di crescere al pari degli altri Paesi. Le crisi internazionali — del 2008, del 2011, e quella sanitaria — hanno avuto impatti diffusi, ma altrove la ripresa è stata più robusta.

Le politiche industriali si sono spesso concentrate su settori tradizionali a bassa produttività e stipendi contenuti, come il turismo o l’edilizia, senza riuscire a stimolare un salto verso comparti innovativi. La prevalenza del modello “piccolo è bello”, largamente diffuso, ha reso il tessuto produttivo italiano frammentato e poco competitivo rispetto alle grandi realtà europee. Le piccole e medie imprese soffrono di scarsa propensione all’innovazione e processi aziendali lenti, rallentati anche da una burocrazia complessa e dalla mancanza di investimenti in formazione e istruzione dei lavoratori.

Un’altra componente determinante è la stagnazione della produttività del lavoro, con livelli pressoché invariati negli ultimi vent’anni. A contribuire sono la carenza di investimenti in ricerca, formazione professionale e digitalizzazione, così come le difficoltà nel diffondere una cultura imprenditoriale evoluta.

Il mercato del lavoro italiano si caratterizza infine per una marcata debolezza della capacità negoziale dei sindacati, che spesso si scontra con l’eccessiva durata dei contratti collettivi nazionali non rinnovati: in media, un lavoratore resta con il contratto scaduto per oltre due anni, impedendo adeguamenti salariali regolari rispetto al costo della vita.

L’aumento dell’inflazione e la crisi dei prezzi energetici successiva al conflitto in Ucraina hanno aggravato la perdita di potere d’acquisto. La Grecia, inoltre, ha subito un commissariamento economico senza precedenti, mentre l’Italia paga il prezzo di un sistema salariale rigido e divari territoriali crescenti.

Confronto con gli altri Paesi europei: performance economiche e impatti sulle famiglie

In questo scenario, l’Europa si è divisa tra Stati in recupero rapido e aree in cui la stagnazione e la diminuzione del reddito hanno inciso sulle prospettive di benessere. I Paesi baltici e dell’Est, partiti da livelli bassi, hanno beneficiato dei fondi UE e delle riforme strutturali, colmando in parte il divario storico.

Francia e Germania, pur avendo subito la crisi finanziaria globale, hanno saputo rilanciare la crescita grazie a politiche di sostegno all’innovazione, formazione e modernizzazione delle imprese. In Spagna, dopo il crollo immobiliare, il reddito ha ripreso a salire attraverso una diversificazione dei settori trainanti.

Nel confronto diretto, l’Italia oggi dispone di un potere di acquisto inferiore rispetto a due decenni fa, mentre le principali economie partner hanno rafforzato la protezione sociale e l’accessibilità ai servizi, riducendo la vulnerabilità delle famiglie agli shock economici. Una coppia senza figli con due redditi nella media raggiunge in Italia circa 49.600 euro annui, cifra che non basta ormai a coprire le crescenti spese, a differenza delle situazioni riscontrate in altri Paesi.

Gli impatti sulle famiglie si riflettono anche nel confronto tra livelli di disuguaglianza: il rapporto tra il 20% più ricco e il 20% più povero in Italia è di 6,3, contro una media UE di 5,1, a riprova di una distribuzione della ricchezza sempre meno equilibrata.

Il fenomeno dei lavoratori poveri e della povertà percepita in Italia

Un cambiamento sostanziale sta riguardando il volto della povertà nel Paese. Cresce la fascia dei cosiddetti “lavoratori poveri”, quell’1 lavoratore su 10 a rischio povertà, secondo i dati raccolti da Antoniano di Bologna. Non si tratta più solo di chi è privo di occupazione, ma anche di chi, pur lavorando, fatica ad arrivare a fine mese e a mantenere standard di vita dignitosi.

Tra gennaio e settembre si è constatato un aumento del 14% delle persone che hanno usufruito della rete delle mense solidali di Operazione Pane, con un boom di richieste tra giovani (18-30 anni) e over 60. In regioni come il Veneto, il numero di occupati che ricorrono agli aiuti è cresciuto di oltre la metà rispetto all’anno precedente.

Il sentimento di disagio è confermato anche dalla ricerca Eurostat sulla povertà soggettiva: quasi il 19% degli italiani si sente in condizioni di necessità, percentuale che coincide con il rischio statistico di povertà calcolato sui redditi, segno di una percezione molto aderente alla realtà vissuta. In altre nazioni, come la Grecia, la percezione della povertà supera di gran lunga i dati statistici, a testimonianza della profondità del disagio.

  • La percezione e la realtà della povertà coincidono quasi perfettamente in Italia
  • L’allineamento segnala il radicamento dei problemi reddituali e la difficoltà di scorgere vie d’uscita percepite nei dati di crescita generale europea
Le carenze normative — su tutte, l’assenza di una legge sul salario minimo — e la crescita dell’occupazione precaria accumulano effetti duraturi sulla qualità della vita dei più fragili. La crescita lenta dei redditi reali contribuisce così a radicare la povertà lavorativa, modificando la struttura stessa del disagio sociale.

Disuguaglianze, disparità regionali e categorie vulnerabili in Italia

L’Italia è attraversata da profondi squilibri territoriali e sociali che amplificano le difficoltà economiche. Il Sud si distingue come l’area più colpita dal rischio di povertà: ad esempio, nel 2024 la Calabria ha registrato il 37,2% della popolazione a rischio esclusione sociale ed economica, seguita da Campania e Sicilia.

Le disparità si manifestano anche attraverso una maggiore incidenza della povertà tra donne, giovani e persone con basso livello di istruzione. L’istruzione rappresenta il principale fattore discriminante: a livello europeo, il rischio di povertà tra chi ha bassa istruzione è triplo rispetto a chi ha livelli più alti, aspetto riscontrabile anche nel contesto italiano.

  • Donne e minori risultano maggiormente esposti a forme di povertà percepita e reale
  • L’assenza di politiche efficaci per ridurre il divario Nord-Sud alimenta lo spopolamento e aumenta la vulnerabilità delle famiglie nelle aree interne
  • Differenze marcate persistono, infine, anche a livello di servizi e accesso alle opportunità lavorative nelle diverse regioni
I dati Eurostat confermano che solo alcune province del Nord (ad esempio, Bolzano o Trento) presentano valori di povertà inferiori al 7%, mentre la mappa nazionale evidenzia aree ad alta concentrazione di disagio. La coesione sociale e territoriale resta così una delle criticità irrisolte del sistema italiano nell’ultimo ventennio.