Il recente scenario occupazionale in Italia viene spesso raccontato attraverso la crescita generale del tasso di occupazione, che secondo ISTAT raggiunge il 62,7%, segnando massimi storici dal 2004. Tuttavia, dietro questa apparente stabilità si nascondono dinamiche generazionali asimmetriche: l'incremento degli occupati interessa quasi esclusivamente la fascia over 50, mentre tra i più giovani il numero degli occupati o ristagna o si riduce. Dai dati più aggiornati emerge come la riduzione della disoccupazione sia il risultato soprattutto di un aumento degli inattivi tra gli under 35, molti dei quali smettono di cercare lavoro. Questa anomalia sta ridisegnando profondamente le prospettive socio-economiche del Paese, acuendo i divari generazionali e sollevando questioni di sostenibilità e inclusività del mercato del lavoro per le nuove generazioni.
L’ascesa occupazionale degli over 50: fattori demografici e normativi
La crescita degli occupati tra gli ultracinquantenni non è un caso isolato ma il risultato di fattori interconnessi che partono dall’invecchiamento demografico dell’Italia. La popolazione over 50 – grazie al progressivo aumento della longevità e al crollo delle nascite – ha assunto un peso sempre maggiore nella forza lavoro: dal 2021 al 2025, la quota di lavoratori tra i 50 e i 64 anni è cresciuta di oltre il 3% secondo ISTAT. L'avanzamento dell'età pensionabile, introdotto dalle riforme previdenziali e confermato dalla legge Fornero, ha contribuito a trattenere le coorti più anziane nel lavoro attivo.
Le aziende, di fronte a una forza lavoro più anziana, hanno incrementato le strategie di retention puntando su:
- Esperienza consolidata: i lavoratori senior vengono preferiti per ramificata conoscenza e capacità gestionali;
- Flessibilità contrattuale: più disponibilità all’accettazione di forme part-time, consulenze o lavori su progetti;
- Maggiore affidabilità percepita nella gestione di compiti critici o nella continuità operativa.
Un altro elemento chiave risiede nella
progressiva riduzione dei flussi in uscita dal mercato del lavoro: le strette sulle pensioni e l’attenuazione delle finestre per il pensionamento anticipato, già avviate da diversi governi, hanno portato milioni di italiani a prolungare la propria vita lavorativa oltre i 62-64 anni. Il risultato è che
il numero di occupati tra over 50 e over 65 è cresciuto in misura superiore a qualsiasi altra fascia anagrafica. Secondo ISTAT, il saldo annuale degli occupati in questa fascia raggiunge spesso il 96% dell’aumento complessivo dell’occupazione.
Infine, il quadro delle riforme europee e nazionali sulla gestione statistica e normativa del lavoro (Regolamenti UE n. 577/98 e 2019/1700; risoluzioni della ILO) fornisce un riferimento costante per la classificazione e il monitoraggio delle dinamiche occupazionali tra gli ultra 50enni, garantendo una base dati armonizzata e confrontabile a livello internazionale.
Le difficoltà dei giovani nel mercato del lavoro italiano
Il panorama per gli under 35 si presenta diametralmente opposto. Nonostante una leggera contrazione del tasso di disoccupazione generale al 6%, tra i giovani si registrano livelli di partecipazione ai minimi storici e una forte crescita dell’inattività: molti giovani, infatti, non solo faticano ad accedere al primo impiego ma sono scoraggiati anche dal cercare lavoro. Il tasso di disoccupazione tra i 15 e i 24 anni rimane superiore al 19,8%, tra i più elevati della UE.
Le cause di questa stagnazione sono molteplici:
- Mancato incontro tra domanda e offerta: le competenze richieste dalle imprese raramente coincidono con quelle fornite dal sistema scolastico e universitario;
- Precarietà contrattuale: le nuove generazioni sono spesso costrette ad accettare impieghi a termine, stage o collaborazioni, caratterizzati da basse retribuzioni e scarsa prospettiva di stabilità;
- Emigrazione giovanile: dal 2013 al 2022, oltre 200 mila giovani italiani, di cui numerosi laureati, hanno scelto l’estero come unica prospettiva di carriera;
- Poco ricambio generazionale nelle imprese: il turnover è limitato, mentre le posizioni stabili vengono occupate a lungo da lavoratori più esperti.
Persiste inoltre un
quadro di scoraggiamento, riflesso nell’alto numero di NEET (Not in Education, Employment or Training) e nel costante rallentamento della natalità, spesso rimandata per instabilità economica. Il mercato, centrato sulla valorizzazione dei senior, rischia di escludere progressivamente chi dovrebbe garantire il ricambio e la vitalità economica del Paese.
Effetti delle riforme sul lavoro e polarizzazione generazionale
L’introduzione del Jobs Act nel 2015 ha segnato una svolta per il mercato del lavoro italiano. Le misure di flessibilità e gli incentivi alle assunzioni hanno generato nel breve periodo un incremento nei contratti a tempo indeterminato, ma soprattutto tra i lavoratori con maggiore esperienza o anzianità.
La polarizzazione generazionale è emersa:
- Maggiori opportunità e stabilità per chi aveva già un percorso professionale consolidato;
- Crescita delle forme di impiego precario e temporaneo soprattutto nelle nuove generazioni, che hanno visto un peggioramento sia nelle prospettive lavorative sia nelle tutele contrattuali.
I dati testimoniano che la quota di occupati nella fascia 25-34 si è ridotta, mentre quella degli over 50 è aumentata, spesso parallelamente a
una diminuzione della qualità del lavoro nei segmenti più giovani. Gli strumenti normativi hanno dunque stabilizzato una parte della forza lavoro, ma
non hanno favorito un accesso più inclusivo e duraturo ai giovani, alimentando una “bipolarizzazione” strutturale che si riflette oggi nella statistica nazionale.
Le sfide per un futuro sostenibile: proposte e prospettive di riforma
Affrontare l’attuale squilibrio intergenerazionale diventa nevralgico per la sostenibilità sociale ed economica italiana. Le principali proposte di riforma, oggetto di dibattito tra istituzioni e attori sociali, puntano su:
- Potenziamento dei servizi per l’impiego e miglioramento dell’orientamento scolastico/universitario verso le professioni emergenti;
- Incentivi fiscali mirati alle assunzioni giovanili e valorizzazione dei percorsi di tirocinio di qualità, garantendo accesso reale a posizioni stabili;
- Formazione continua e life-long learning per migliorare l’adattabilità alle evoluzioni del mercato e colmare il gap di competenze nei settori tecnologici e digitali;
- Promozione di modelli “ponte” tra scuola e impresa, ispirati alle pratiche virtuose sperimentate in Germania e nei Paesi del Nord Europa;
- Sviluppo di politiche attive per favorire il ricambio generazionale nelle imprese e una maggiore flessibilità all’interno dei modelli organizzativi.
Particolare attenzione meritano i NEET, la cui riduzione resta priorità nella strategia occupazionale nazionale e nei target concordati a livello europeo. Solo un approccio integrato - dalla scuola al lavoro - può creare le condizioni per invertire la tendenza e rendere
il mercato più attrattivo e inclusivo per le nuove leve.