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Salario minimo: rimane nella direttiva europea, ma tolto il criterio di calcolo. Cosa significa per l'Italia concretamente?

di Marcello Tansini pubblicato il
Criterio di calcolo

La direttiva europea sul salario minimo cambia volto: resta il principio, sparisce il criterio di calcolo. Sentenze UE, resistenze nordiche e lo scenario italiano senza salario minimo legale.

L'obiettivo della direttiva europea sui salari minimi adeguati è garantire condizioni di vita e lavoro dignitose, favorendo un quadro di equità salariale all'interno del mercato unico. Questa iniziativa rientra in una più ampia strategia volta a rafforzare la dimensione sociale dell'Europa, promuovendo tutele per i lavoratori e riducendo i fenomeni di povertà lavorativa.

Nel tempo, la direttiva è stata oggetto di discussioni tra gli Stati membri, sia per le differenze nei sistemi retributivi che per le evoluzioni delle condizioni economiche nei singoli Paesi. Ad oggi, 22 dei 27 membri dell'UE hanno un salario minimo legale, ma esistono cinque Stati - tra cui l'Italia - dove i salari sono definiti principalmente tramite la contrattazione collettiva. Oggi la Corte di giustizia dell'Unione europea salva la direttiva sul salario minimo.

La sentenza della Corte Ue: cosa resta della direttiva europea sul salario minimo

Il pronunciamento della Corte di Giustizia dell'Unione europea ha riaffermato la validità della direttiva UE sul salario minimo, respingendo la richiesta di annullamento avanzata dalla Danimarca e confermando la maggior parte delle sue disposizioni. Tuttavia, la sentenza ha accolto le obiezioni nordiche su due punti specifici, ritenendo che alcune previsioni della direttiva rappresentassero un'ingerenza diretta nella determinazione delle retribuzioni, materia riservata alla competenza nazionale secondo l'articolo 153(5) del TFUE (Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea).

Nel dettaglio, la Corte ha annullato:

  • La parte della direttiva che imponeva obbligatoriamente l'adozione di criteri di calcolo per la determinazione e l'aggiornamento dei salari minimi legali da parte degli Stati membri
  • La norma che impediva la riduzione dei salari minimi legali laddove questi fossero soggetti a indicizzazione automatica
Resta invece valida l'architettura generale della direttiva, che si propone di promuovere la contrattazione collettiva e di spronare gli Stati a garantire trattamenti salariali equi e adeguati. La sentenza sottolinea anche l'impegno a rispettare le tradizioni e l'autonomia delle parti sociali nei diversi contesti nazionali. Da nove Stati la normativa è già stata recepita, evidenziando una spinta europea verso l'armonizzazione dei livelli minimi di retribuzione, pur salvaguardando la sovranità degli Stati sulla definizione delle modalità concrete.

Le ragioni della Danimarca e delle opposizioni nordiche: sovranità e contrattazione collettiva

I Paesi nordici, in particolare Danimarca e Svezia, hanno espresso preoccupazione per possibili interferenze europee nei propri modelli di relazioni industriali, storicamente fondati su un alto livello di copertura garantito dalla contrattazione collettiva. Nei sistemi nordici, i salari minimi non sono determinati per legge, ma sono negoziati tra parti sociali attraverso accordi settoriali che coinvolgono una vasta maggioranza della forza lavoro.

Le ragioni di questa opposizione si riassumono in alcuni punti chiave:

  • Tutela dell'autonomia delle parti sociali nella definizione delle condizioni retributive
  • Evitare il rischio di standardizzazione che potrebbe risultare dall'imposizione di criteri comuni europei sulle retribuzioni
  • Preoccupazione per il possibile abbassamento delle retribuzioni medie a causa dell'introduzione di minimi legali inferiori agli standard attuali
  • Rivendicazione della sovranità nazionale in materia di diritto del lavoro, come previsto dal TFUE
Sia la Danimarca che la Svezia assicurano ampie garanzie ai lavoratori tramite una copertura contrattuale superiore all'80%, dimostrando che la contrattazione collettiva offre - secondo la loro visione - un'efficacia superiore rispetto a vincoli legali indiscriminati e uniformi per tutti i Paesi membri.

Implicazioni per l'Italia: tra contrattazione collettiva e mancanza di salario minimo legale

Il panorama italiano si caratterizza per l'assenza di un salario minimo legale, con stipendi fissati attraverso una vasta rete di contrattazione collettiva nazionale di categoria. Questa impostazione ha garantito storicamente una copertura quasi universale dei lavoratori dipendenti, avvicinandosi al 100% secondo i dati ufficiali. La sentenza della Corte UE sottolinea come la direttiva non imponga l'introduzione di un minimo salariale per legge, lasciando agli Stati dotati di sistemi contrattuali avanzati la possibilità di continuare ad affidarsi ai meccanismi già in essere.

Nonostante l'ampia copertura assicurata dagli accordi collettivi, persistono alcune problematiche che alimentano il dibattito interno:

  • La presenza di contratti cosiddetti pirata, spesso sottoscritti da sigle sindacali non rappresentative, che erodono diritti e livelli salariali nei settori più vulnerabili
  • Lavoratori con trattamenti inferiori ai limiti di dignità e proporzionalità stabiliti dalla Costituzione italiana
  • Difficoltà nel garantire aggiornamenti tempestivi dei contratti e nell'individuare parametri omogenei per tutti, specialmente nelle aree a bassa densità sindacale
Il Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro (CNEL) ha ribadito la centralità della contrattazione, sebbene abbia suggerito l'adozione di strumenti di sostegno contro pratiche elusive e fraudenti nei rapporti di lavoro. Secondo l'Istituto Nazionale per l'Analisi delle Politiche Pubbliche (INAPP), una soglia di nove euro lordi orari interesserebbe circa il 21% dei lavoratori dipendenti italiani, rappresentando un punto di svolta nelle dinamiche salariali nazionali e nei costi delle imprese. Rimane forte la richiesta sindacale di avviare un confronto concreto, in linea con la direzione europea, per superare gli ostacoli all'applicazione di livelli salariali dignitosi per tutti.

Il ruolo della contrattazione collettiva e le criticità del sistema italiano

La contrattazione collettiva è lo strumento cardine del sistema italiano delle relazioni industriali. Attraverso la stipula di accordi nazionali di categoria tra sindacati e associazioni datoriali maggiormente rappresentativi, vengono definiti standard retributivi e condizioni di lavoro considerati punto di riferimento anche in assenza di una legge specifica sul salario minimo.

Accanto ai punti di forza, il sistema registrare alcune criticità rilevate anche dalla recente discussione europea:

  • Ritardi nel rinnovo dei contratti, con alcuni comparti che accumulano anni di vacanza contrattuale
  • Disomogeneità applicativa, in particolare nei settori caratterizzati da contratti meno rappresentativi
  • Fenomeno del dumping contrattuale, ovvero la stipula di contratti poco qualificati o meno esigenti con l'obiettivo di ridurre il costo del lavoro, generando concorrenza sleale e abbassamento degli standard retributivi
Il CNEL e altri enti consultivi suggeriscono di rafforzare i controlli sulla rappresentatività delle parti sociali firmatarie dei contratti collettivi, promuovendo la trasparenza e la legalità nelle relazioni sindacali. Parallelamente, emerge la necessità di una riflessione su meccanismi più agili per la revisione periodica dei trattamenti economici e sulla possibilità di estendere l'efficacia erga omnes dei contratti firmati da soggetti realmente rappresentativi.

Gli effetti dell'esclusione del criterio di calcolo: cosa cambia concretamente

L'eliminazione dei criteri obbligatori di calcolo e aggiornamento del salario minimo legale dalla direttiva europea comporta cambiamenti significativi principalmente per gli Stati che hanno scelto di fissare soglie minime per legge. In particolare:

  • Viene riaffermata la sovranità nazionale sulla determinazione delle modalità e dei parametri relativi al salario minimo
  • Gli Stati rimangono liberi di adottare, o meno, indicatori come il costo della vita, la produttività o il salario mediano per fissare la soglia minima
  • Rimangono valide le linee guida generali: assicurare salari adeguati, garantire la dignità dei lavoratori e sostenere la contrattazione collettiva qualificata
Per quanto riguarda l'Italia, la scelta della Corte rimuove alcuni vincoli procedurali, lasciando spazio a un dibattito politico e tecnico sulle modalità migliori per contrastare fenomeni di povertà lavorativa e dumping senza obblighi europei prescrittivi nella definizione numerica o nella revisione della soglia minima.