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Agricoltura e lavoratrici donne in Italia: stipendi, ruoli e lavori, dati e statistiche secondo ultimo rapporto (Dis)uguali

di Marcello Tansini pubblicato il
Ultimo rapporto (Dis)uguali

L'agricoltura italiana vede protagoniste molte donne, ancora segnate da disparità salariali, ruoli precari e situazioni di sfruttamento. Tra dati, statistiche e testimonianze, emergono vulnerabilità.

I dati raccolti dall'Osservatorio Placido Rizzotto della Flai Cgil, attraverso il rapporto (Dis)uguali 2025, offrono una fotografia delle condizioni delle lavoratrici agricole, mettendo in luce disuguaglianze ancora profonde rispetto ai colleghi uomini.

Nonostante il numero di donne impiegate nei campi, permangono sfide strutturali come bassi livelli retributivi, segregazione dei ruoli e fenomeni di sfruttamento che coinvolgono la componente femminile della manodopera. L'analisi delle ultime statistiche consente di comprendere le dinamiche presenti e le criticità del comparto, nel rispetto delle persone che lo animano.

Numeri e caratteristiche delle lavoratrici agricole in Italia

Secondo il rapporto (Dis)uguali, in Italia sono circa 300mila le donne impiegate regolarmente come braccianti agricole. Rappresentano circa un terzo del totale degli addetti contrattualizzati nel settore, testimoniando l'importanza quantitativa della componente femminile nella forza lavoro rurale. Un'analisi dettagliata del profilo di queste lavoratrici evidenzia alcune caratteristiche specifiche:

  • Età: La maggior parte, pari a circa il 75%, rientra nella fascia di età 35-64 anni, indice di una presenza meno giovane rispetto alla media maschile impegnata nello stesso settore.
  • Cittadinanza: Le donne di cittadinanza italiana costituiscono l'80% del totale delle forze femminili impiegate con contratto.
  • Tipologie di impiego: Le aree lavorative in cui vengono maggiormente inserite sono quelle relative alla raccolta dei prodotti e alle fasi iniziali dell'impacchettamento, con una presenza meno rilevante in mansioni che prevedono la conduzione di macchinari o la gestione dei processi produttivi.
Rispetto agli uomini, emerge un minore accesso a ruoli di responsabilità e a mansioni qualificate. La distribuzione geografica delle lavoratrici segue quella della manodopera agricola generale, con una maggiore concentrazione nelle regioni del Mezzogiorno, caratterizzate peraltro da condizioni contrattuali spesso più fragili e da una maggiore incidenza del lavoro stagionale. Il permanere di una forte segmentazione di genere si riflette inoltre sulla precarietà occupazionale: le donne risultano più esposte a periodi lavorativi intermittenti e a frequenti contratti a termine, con ripercussioni sulla stabilità economica e sociale.

Il dato di 300mila donne regolarmente registrate non tiene conto dell'ampia quota di lavoratrici irregolari o in nero, la cui presenza è particolarmente significativa tra le cittadine straniere. Questo aspetto, trattato in sezioni successive, rende ancora più articolata la lettura del fenomeno, sottolineando la necessità di adottare politiche mirate alla tutela del lavoro femminile in agricoltura.

Disparità salariale: il divario retributivo tra uomini e donne

Il rapporto tra donne e uomini nei salari agricoli si distingue per un persistente squilibrio sfavorevole alla componente femminile. In base alle più recenti analisi dell'Osservatorio, le dipendenti agricole donne percepiscono mediamente una retribuzione annua lorda di 5.400 euro, contro i 7.200 euro percepiti dai lavoratori uomini. Il gap pari a 1.800 euro annui corrisponde a una differenza percentuale che sfiora il 25%, una delle più elevate all'interno dei comparti produttivi italiani.

La disparità emerge trasversalmente al background delle lavoratrici, risultando indipendente da età, cittadinanza, titolo di studio e area geografica di residenza. Questo fenomeno si configura come una componente strutturale del mercato agricolo nazionale, legata a diversi fattori:

  • Concentrazione in ruoli a basso valore aggiunto: Le donne trovano impiego prevalentemente in attività meno retribuite della filiera, come raccolta manuale e confezionamento, con accesso limitato a mansioni più specializzate.
  • Permanenza di stereotipi di genere: La cultura del lavoro agricolo fatica a riconoscere pienamente le competenze acquisite dalle lavoratrici, confinando spesso la loro presenza in ruoli ritenuti adatti al genere femminile.
  • Contratti atipici e discontinui: L'utilizzo di contratti a termine o a chiamata determina l'assenza di continuità reddituale, aggravando la precarietà.
Il quadro risultante evidenzia un'insufficiente valorizzazione economica e professionale del lavoro femminile agricolo, nonostante il contributo rilevante all'economia rurale nazionale. Questi dati richiamano l'esigenza di una maggiore applicazione delle normative sull'uguaglianza retributiva (art. 37 Costituzione Italiana, Codice delle Pari Opportunità) e di una riforma strutturale dei sistemi contrattuali di settore per ridurre il gap.

Ruoli e mansioni tipiche delle donne in agricoltura

Secondo i dati disponibili e le evidenze delle indagini sindacali, la distribuzione dei compiti segue schemi consolidati, che limitano spesso le possibilità di crescita professionale.

Le attività più frequenti riguardano:

  • Raccolta stagionale: Composte da gruppi eterogenei, le squadre di raccolta vedono una presenza femminile dominante, in particolare durante campagne intensive per ortaggi e frutta.
  • Selezione e impacchettamento: La prima fase di imballaggio del prodotto agricolo è quasi esclusivamente affidata a lavoratrici, considerate dal mercato più rapide e meticolose nelle operazioni manuali.
  • Lavori di pulizia e cura della produzione: Nelle aziende familiari e nelle strutture medio-piccole, le donne si occupano regolarmente anche della manutenzione ordinaria di ambienti e strumenti.
Meno frequenti sono gli impieghi che prevedono la conduzione di macchinari, la cura degli aspetti amministrativi o la supervisione di squadre, ruoli ancora appannaggio maschile. Tale segmentazione limita non solo la crescita salariale delle lavoratrici, ma riduce anche l'accesso a formazione tecnica e possibilità di avanzamento di carriera. Il peso delle responsabilità familiari, infine, incide ulteriormente sul tipo di impiego ricercato o accettato dalle donne impegnate in agricoltura.

Lo sfruttamento e il caporalato: la doppia vulnerabilità delle donne

Il fenomeno del caporalato è un'emergenza strutturale per il settore primario italiano, con impatti significativi e peculiari sulla componente femminile. Le donne vengono spesso esposte a forme di doppia vulnerabilità, sia come lavoratrici irregolari che come dipendenti ufficialmente contrattualizzate ma sottopagate:

  • Nell'ambito del lavoro nero, le modalità di reclutamento tramite mediatori informali alimentano una spirale di ricatti, con episodi di sfruttamento lavorativo e, non di rado, anche di abuso sessuale o molestie. Queste dinamiche si manifestano con maggior incidenza per chi appartiene a fasce sociali deboli o è priva di una rete familiare e comunitaria di supporto.
  • Nel mercato legale, i dati denunciano una penalizzazione salariale che si aggiunge alla tendenza a concentrare la componente femminile in compiti meno tutelati e meno pagati.
Stime precise sono difficili da ottenere, ma secondo Flai Cgil e ActionAid il numero di lavoratrici straniere irregolari impiegate nei campi varia tra le 51.000 e le 57.000 persone. Le condizioni di lavoro sono spesso aggravate da una sistematica invisibilità sociale e istituzionale, che impedisce alle donne di accedere ai servizi essenziali o di denunciare episodi di sfruttamento.
Testimonianze raccolte nei rapporti delle organizzazioni sindacali raccontano invece storie di donne che trovano impiego sulla base di promesse irrealistiche (orari, compensi, condizioni di alloggio), per poi ritrovarsi costrette a turni massacranti e a vivere in edifici fatiscenti, senza elettricità né servizi igienici.

La debolezza della tutela rende ancora più difficile contrastare il coinvolgimento in reti di sfruttamento, alimentate dalla scarsità di alternative occupazionali e da fenomeni di isolamento sociale. In questo contesto, la specificità dello sfruttamento femminile si presenta intrecciata al più generale problema della precarietà del lavoro in agricoltura e delle lacune nel sistema dei controlli.

Le condizioni delle braccianti straniere: provenienza, lavoro nero e rischio di abusi

Secondo le più recenti rilevazioni, la maggior parte delle braccianti irregolari non proviene dall'Africa e dall'Asia come nel caso maschile, ma da Paesi dell'Est europeo, soprattutto Albania e Bulgaria. Tra le comunità più rappresentate si segnalano inoltre donne rom e turche, spesso prive di titoli di studio e senza competenze professionali spendibili sul mercato del lavoro.

La vulnerabilità di queste lavoratrici è aggravata da più fattori:

  • Difficoltà linguistiche e assenza di reti di supporto nei territori di arrivo
  • Dipendenza quasi totale dai canali di intermediazione informale, con il rischio di affidarsi ai caporali e di accettare condizioni di lavoro inferiori alla soglia minima di dignità
  • Insediamento temporaneo in strutture fatiscenti o isolate, con carenza di servizi essenziali e scarsissima possibilità di tutela sanitaria e sociale
Le condizioni di vita e lavoro sono spesso documentate da testimonianze di estremo disagio: lavori stagionali pagati meno del pattuito, ricatti, alloggi di fortuna, assenza totale di tutele previdenziali o coperture assicurative. Alcuni casi, riportati direttamente nel rapporto dell'Osservatorio Placido Rizzotto, descrivono situazioni in cui le braccianti vengono costrette ad accettare offerte indegne pur di ricevere la paga spettante.

Le politiche di contrasto al caporalato, a partire dalla legge n. 199/2016 contro il lavoro nero in agricoltura, hanno iniziato a muovere passi significativi dal punto di vista normativo, ma la strada verso una reale parità di condizioni rimane ancora lunga, soprattutto per le lavoratrici migranti.