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Scandalo della carne scaduta venduta come fresca: l'inchiesta di Report e la risposta dell'azienda coinvolta

di Chiara Compagnucci pubblicato il
L'inchiesta di Report

L'inchiesta sulla carne scaduta rilavorata e rivenduta come fresca svela gravi falle nei controlli, rischi per la salute e reazioni istituzionali, sollevando interrogativi sulla trasparenza e la fiducia.

L'inchiesta giornalistica trasmessa dalla trasmissione Report ha acceso i riflettori sulla gestione di quantitativi di carni importate e sulla loro presunta rilavorazione dopo la scadenza. La diffusione di filmati sotto copertura e testimonianze dirette dei lavoratori ha alimentato il dibattito tra operatori del settore, istituzioni e consumatori. L'impatto mediatico è stato amplificato non solo dalla gravità delle accuse, ma anche dalla portata nazionale della distribuzione dei prodotti coinvolti.

Le immagini di carne deteriorata ricondizionata e reimmessa sui mercati, rilanciate dai principali canali di informazione, hanno fatto sorgere interrogativi pressanti sulla sicurezza dei generi alimentari e sull'efficacia dei controlli. La vicenda ha contribuito a sollevare un urgente bisogno di chiarezza all'interno dell'intero settore alimentare italiano.

Le modalità della frode: come la carne scaduta veniva rilavorata e rimessa in commercio

Dalle ricostruzioni emerse nell'inchiesta, il meccanismo alla base della presunta frode si rivela tanto semplice quanto allarmante. Le carni importate da vari Paesi extra UE - come Uruguay, Nuova Zelanda ed Egitto - venivano stoccate presso il macello di Pietole e spesso già presentavano date di scadenza superate o imminenti. Secondo le testimonianze, i lotti ritenuti non più idonei alla vendita tradizionale subivano un processo complesso di recupero:

  • Fase iniziale: Le confezioni venivano scongelate, talvolta lasciandole per ore o notti intere in vasconi d'acqua fredda e poi calda. Il passaggio nell'acqua calda serviva ad ammorbidire i blocchi rimasti ghiacciati, ma secondo gli esperti accelerava la proliferazione microbica.
  • Selezione e pulizia: Successivamente, gli addetti procedevano a rimuovere meccanicamente, con l'ausilio di coltelli, le parti superficiali considerate troppo rovinate: la superficie marrone o nera, spesso maleodorante, veniva tagliata via per rendere la carne apparentemente accettabile.
  • Riconfezionamento: A questo punto veniva avviato un nuovo ciclo di confezionamento. La carne, ritenuta ora visivamente più gradevole, veniva sistemata in nuovi imballaggi sottovuoto o in buste, pronta per essere nuovamente congelata o spedita sul mercato.
  • Rietichettatura: Il passaggio finale era rappresentato dall'apposizione di nuove etichette, dove la vera data di scadenza (talvolta scaduta da anni) veniva sostituita con una data aggiornata; in alcuni casi, i prodotti ricevevano una nuova vita commerciale di altri due o tre anni.
Secondo alcune fonti, in taluni casi si sarebbe proceduto anche ad una doppia ricongelazione: carne già trattata in passato veniva scongelata ancora, rilavorata e poi sottoposta a una seconda etichettatura e refrigerazione per nascondere la storia reale del prodotto. Il tutto avveniva attraverso una catena di operazioni che, per protocollo formale, dovevano rispettare la normativa, ma che - secondo le inchieste - mascheravano una realtà ben diversa.

Questa prassi avrebbe consentito la vendita di carne che, senza questi passaggi, sarebbe stata destinata allo smaltimento, producendo indebiti vantaggi economici a danno della salute pubblica e della trasparenza verso i consumatori.

Condizioni igieniche e rischi per la salute dei consumatori

L'inchiesta ha messo in luce scenari di grave degrado igienico-sanitario durante le operazioni di rilavorazione dei prodotti. Filmati e testimonianze raccolti presso lo stabilimento interessato hanno evidenziato diversi aspetti critici:

  • Carni scongelate in acqua non controllata, talvolta senza la protezione degli involucri originari
  • Pezzi di carne che cadevano a terra e venivano semplicemente riposizionati nei contenitori senza essere scartati
  • Banchi e superfici di lavorazione sporchi, imbevuti di sangue e materiale organico, con rischio di contaminazione incrociata
  • Locali e spogliatoi infestati da scarafaggi e altri insetti, secondo quanto documentato dalle immagini raccolte sotto copertura
Secondo gli esperti di sicurezza alimentare, il congelamento consente soltanto di bloccare temporaneamente l'attività microbica, ma non elimina i batteri presenti, tra cui patogeni noti come la salmonella o la listeria. Scongelare in acqua calda, come praticato negli impianti oggetto di indagine, non solo aumenta il rischio batterico, ma può portare allo sviluppo di infezioni severe nei consumatori finali, con manifestazioni che vanno da sintomi gastrointestinali gravi fino a rischi neurologici in caso di ingestione di alimenti contaminati.

Le manipolazioni documentate - con rimozione solo dello strato visibilmente compromesso - non garantiscono la reale sicurezza del prodotto poiché, come chiarito da esperti accademici, la proliferazione microbica avviene anche all'interno dei tessuti, non solo sulle parti della carne che appaiono alterate visivamente o all'olfatto.

Queste condizioni hanno generato un allarme diffuso rispetto alla reale efficacia dei protocolli di sanificazione e alla capacità del sistema di certificazione di proteggere la salute pubblica.

Dove finiva la carne scaduta: distribuzione e tracciabilità dei lotti

Delineare le destinazioni della carne rilavorata risulta problematico. Secondo le testimonianze degli stessi dipendenti, i tagli più pregiati venivano assegnati alla ristorazione milanese e a importanti gruppi della grande distribuzione organizzata.

Le parti meno pregiate, in particolare la carne porzionata o ridotta in piccoli pezzi - definita carnetta dagli operatori - sarebbero invece confluite in reparti di cottura interni ad altri stabilimenti, spesso per la preparazione di prodotti trasformati:

  • La tracciabilità dei lotti si è rivelata labile: nonostante il sistema di etichettatura e la normativa nazionale e comunitaria impongano procedure rigorose, l'inchiesta ha documentato frequenti cambiamenti delle date sulle etichette e sostituzioni dei codici origine.
  • La richiesta di informazioni sull'identità degli acquirenti e sulla reale distribuzione delle carni è stata inoltrata all'ATS competente, ma l'azienda coinvolta avrebbe ritardato - secondo quanto riportato - nella fornitura delle informazioni, citando problemi informatici.
Queste difficoltà hanno reso estremamente complesso stabilire con certezza quali lotti siano effettivamente giunti sulle tavole dei consumatori e in quali aree geografiche, lasciando aperti dubbi sulla sicurezza e sulla trasparenza della filiera distributiva.

La mancanza di una banca dati pubblica aggiornata rende inoltre impossibile, ad oggi, escludere che la carne recuperata abbia raggiunto tutte le regioni italiane, compresa la possibilità di arrivi in zone meno dotate di risorse per i controlli.

Il ruolo dei controlli ufficiali e le falle nel sistema di sicurezza alimentare

L'efficacia e la tempistica delle verifiche istituzionali rappresentano uno degli elementi più discussi emersi dall'inchiesta. L'apparato di controllo prevede, in teoria, ispezioni sanitarie periodiche e a sorpresa presso gli stabilimenti alimentari secondo le Direttive Comunitarie e regolamenti nazionali in materia di sicurezza alimentare.

Tuttavia, dalle ricostruzioni diffuse, molte delle ispezioni risultavano preannunciate agli operatori, lasciando spazio a pratiche fraudolente non individuate nel corso delle visite. Tra i punti critici emersi:

  • Possibile mancanza di ispezioni realmente a sorpresa nelle aziende ad alto rischio
  • Scarso coordinamento tra le autorità competenti nella raccolta, conservazione e verifica dei dati relativi a movimentazioni sospette di merce
  • Gap tecnologici che rallentano la risposta alle richieste documentali sulle tracciabilità dei prodotti
Le Direttive Europee (Reg. CE 178/2002, Reg. CE 853/2004) e le disposizioni ministeriali richiedono obblighi precisi in materia di sicurezza e tracciabilità dei prodotti alimentari. Tuttavia, la vicenda ha evidenziato come tali strumenti, in assenza di un'applicazione rigorosa e indipendente, possano non garantire una barriera sufficiente contro pratiche elusive o fraudolente. L'assenza di segnalazioni o allerta alimentari negli anni precedenti l'inchiesta solleva dubbi sull'effettiva copertura dei controlli esistenti.

La risposta dell'azienda e le reazioni delle autorità

L'azienda coinvolta ha respinto i rilievi emersi dall'inchiesta, sostenendo di aver sempre seguito le leggi comunitarie e nazionali. In posizione ufficiale, l'azienda ha ribadito che la carne commercializzata non ha mai raggiunto, né superato, la data di scadenza.

L'impresa ha sottolineato di:

  • Applicare le disposizioni ministeriali e comunitarie che consentono il congelamento di carni fresche refrigerate, confezionate sottovuoto, prima della data di scadenza
  • Effettuare operazioni sotto rigoroso controllo, garantendo la salubrità dei prodotti nel rispetto della Nota Ministero della Sanità 4 aprile 2022
  • Essere sottoposta a controlli costanti da parte delle autorità, senza che siano mai emerse segnalazioni di rischi o allerta alimentari in passato
Nella versione dei fatti fornita dall'azienda, il passaggio dallo stato di carne fresca refrigerata a carne fresca congelata sarebbe avvenuto sempre in tempi utili, nel rispetto dei parametri di legge. L'azienda ha inoltre evidenziato che, ai sensi delle normative, sulle confezioni è richiesto riportare la sola data di congelamento, come previsto dalle norme italiane ed europee.

Restano quindi posizioni divergenti tra quanto emerso dalle immagini raccolte durante l'inchiesta e la narrazione fornita dalla società. In attesa di verifiche degli organi preposti, l'interpretazione delle norme e la loro concreta applicazione risultano il punto focale del confronto pubblico.

Successivamente alla messa in onda dell'inchiesta, l'Agenzia di Tutela della Salute Valpadana ha dichiarato di aver avviato accertamenti e procedure di controllo presso lo stabilimento e su tutta la filiera interessata. Gli enti coinvolti hanno richiesto l'elenco dei numeri di lotto e la mappatura dei destinatari dei prodotti, scontrandosi però - secondo alcune testimonianze - con ritardi nell'ottenimento dei dati necessari da parte dell'azienda.

La complessità del caso e il sospetto di una filiera poco trasparente, hanno spinto diversi organismi a sollecitare una revisione delle procedure di identificazione e tracciabilità. Pur essendo già intervenute con decisione in altri episodi recenti del settore, le autorità locali e nazionali stanno tuttora valutando l'estensione delle irregolarità denunciate.

Le associazioni di consumatori e i rappresentanti del comparto alimentare hanno richiesto che le future indagini chiariscano rapidamente la catena di responsabilità, indicando con trasparenza eventuali destinatari e fornitori. Rimangono in sospeso anche verifiche su eventuali certificazioni di qualità possedute dalla società coinvolta, che dovranno essere chiarite in seguito a ispezioni più approfondite.