Se durante una partita di calcio o una sessione di padel un giocatore compie un movimento improvviso che causa un infortunio, la lesione puņ rientrare nella sfera del rischio accettato.
Quando una persona subisce un danno in virtù di un'attività svolta da un altro soggetto, si attiva la disciplina della responsabilità civile prevista dall'articolo 2043 del Codice Civile: chiunque cagioni un danno ingiusto è tenuto al risarcimento. L'ambito sportivo introduce variabili peculiari, perché chi entra in campo accetta implicitamente un certo grado di rischio connesso alla pratica stessa. In tale contesto, la prassi giurisprudenziale ha elaborato il concetto di rischio accettato o alea sportiva che limita la portata della responsabilità.
Chi si iscrive a un torneo di padel, a una partita di calcetto o anche semplicemente frequenta un centro sportivo per il tennis, entra in un contesto dove la velocità, il contatto e l'azione rapida sono elementi costitutivi. Da ciò deriva che una parte del pericolo è connaturata alla condotta stessa. La giurisprudenza della Corte di Cassazione afferma che, partecipando all'attività, il soggetto ha tacitamente accettato il rischio di subire, in relazione a ciò, lesioni anche gravi. L'orientamento è confermato da recenti pronunce che rigettano automaticamente le pretese risarcitorie se l'evento dannoso rientra nell'alea tipica della pratica sportiva.
Va considerato come il rapporto tra giocatore, istruttore, società sportiva o impianto sportivo possa assumere profili contrattuali o extracontrattuali. Se ci si iscrive ad un centro sportivo o ad un torneo, s'instaura un rapporto in cui la struttura può avere obblighi di manutenzione, sicurezza, vigilanza. L'obbligo non si traduce automaticamente in responsabilità risarcitoria qualora l'infortunio derivi da un'azione di gioco nella sua normale dinamica. Recentissime pronunce ribadiscono che la società può essere responsabile solo se ha omesso le cautele richieste per quel tipo di attività.
Se durante una partita di calcio o una sessione di padel un giocatore, pur rispettando le regole, compie un movimento improvviso che causa la distorsione della caviglia all'avversario, la lesione può rientrare nella sfera del rischio accettato. In questi casi la Cassazione ha stabilito che la responsabilità dell'avversario o della società è esclusa, essendo legato all'alea normale dell'attività. Il riferimento è la recente ordinanza n. 25789/2025 con cui è stato ribadito che l'evento dannoso strettamente collegato al rischio accettato non dà luogo automaticamente a risarcimento.
Anche se hai pagato l'abbonamento al centro sportivo e ti sei affidato all'istruttore, ciò non comporta in sé un obbligo illimitato di tutela da parte della struttura. Secondo l'orientamento più recente, la responsabilità della società sportiva o dell'organizzatore si configura solo se vi è stata una colpa nella gestione dell'impianto, nella manutenzione, nella dotazione delle attrezzature o nella vigilanza. Ma nel caso in cui l'infortunio provenga da una dinamica di gioco consueta e priva di elementi di gravità o eccezionali, la domanda risarcitoria viene rigettata.
Ll'accettazione del rischio non significa che il giocatore sia privo di protezione giuridica: tuttavia essa definisce una soglia oltre la quale la responsabilità altrui non può essere invocata. Qualora l'azione lesiva sia parte integrante della normale competizione, senza che vi sia stata una violazione di regole finalizzate alla tutela della sicurezza dell'avversario, il danno resta a carico del soggetto che l'ha subito. Questa evoluzione giurisprudenziale rende sempre più difficile ottenere risarcimenti nel contesto sportivo.
Ci sono circostanze in cui il diritto al risarcimento non è escluso. Qualora la condotta dell'avversario si configuri in modo tale da essere incompatibile con la regola del gioco oppure sia posta in essere con intenzione di ledere, allora la responsabilità civile può emergere. La giurisprudenza chiarisce che la scriminante del rischio accettato non è applicabile se l'atto è stato compiuto con lo scopo di ledere oppure con grave violazione delle norme che disciplinano l'attività sportiva.
La struttura che organizza l'attività sportiva può essere chiamata a rispondere se è stata omessa una adeguata manutenzione dell'impianto, se vi era una pavimentazione pericolosa, attrezzature difettose o condizioni tali da concretizzare una negligente vigilanza. In tali ipotesi la colpa organizzativa o gestionale crea il nesso di causalità tra l'omissione e l'evento dannoso, e dunque la domanda risarcitoria può trovare accoglimento.
Affinché sussista il diritto al risarcimento è essenziale che il danneggiato dimostri il danno, il nesso di causalità e la colpa o dolo dell'autore dell'infortunio o dell'organizzatore. In materia sportiva, molto spesso la prova della colpa risulta ardua, poiché è necessario scindere ciò che rientra nell'alea tipica dall'azione che eccede tale area. Nei casi in cui il fatto si verifica nell'ambito di una partita regolare tra partecipanti adulti consenzienti, la difficoltà di provare la condotta anomala rende altamente probabile l'esclusione del risarcimento.