Se la registrazione è fatta per scopi diversi o in modo non pertinente, può configurarsi una violazione della privacy con responsabilità legali o disciplinari.
La registrazione di una conversazione con i colleghi sul lavoro solleva questioni legali complesse, soprattutto per quanto riguarda la privacy e il diritto di difesa. La normativa in vigore, attraverso le disposizioni del Codice della Privacy e le sentenze della Corte di Cassazione, permette la registrazione in circostanze ben precise, ma richiede che vengano rispettati alcuni criteri ben definiti per non incorrere in violazioni legali.
In questo approfondimento, vedremo cosa dice la normativa attuale e quali sono i limiti da rispettare per evitare problemi legali:
In altre parole, se un dipendente registra una discussione di cui è parte, non viola il diritto alla privacy, a meno che la registrazione non sia utilizzata in modo improprio o per fini estranei alla tutela di un proprio diritto.
Perché la registrazione sia considerata legale, devono essere rispettati alcuni requisiti. La persona che effettua la registrazione deve essere parte attiva della conversazione. Non è consentito registrare conversazioni di cui non si è parte, come ad esempio quelle tra altri colleghi o superiori senza la propria partecipazione.
La registrazione deve essere pertinente alla difesa di un diritto e non eccedere rispetto alle finalità per le quali è stata effettuata. In altre parole, la registrazione non può essere usata per altri scopi, come la diffusione di informazioni riservate o per creare danno ad altri.
La registrazione deve essere considerata necessaria per far valere un diritto in giudizio. Ad esempio, se un lavoratore è soggetto a comportamenti discriminatori o minacce, la registrazione può essere una prova importante da presentare in un tribunale.
La Corte di Cassazione ha stabilito più volte che la registrazione di una conversazione sul luogo di lavoro può essere legittima quando è fatta con l’intenzione di precostituirsi una prova per difendere un proprio diritto in sede giudiziaria o extragiudiziaria.
Ad esempio, la sentenza 11322 del 2018 della Cassazione ha affermato che, nel contesto lavorativo, la registrazione di conversazioni tra colleghi o superiori, anche senza il loro consenso, può essere ammissibile se lo scopo è quello di tutelarsi da eventuali azioni ingiuste, come casi di mobbing, discriminazione o licenziamenti illegittimi.
Il principio che emerge da queste sentenze è che la difesa dei diritti ha un peso rispetto al diritto alla riservatezza. In particolare, secondo la Corte, la registrazione è lecita quando risponde a un’esigenza di difesa anticipata, ossia quando il lavoratore intende raccogliere prove utili per proteggersi in un possibile futuro contenzioso.
Norme alle mano, sebbene la registrazione a fini difensivi sia consentita, ci sono delle limitazioni. La registrazione non può essere utilizzata per scopi estranei alla difesa dei diritti del lavoratore. Ad esempio, usare una registrazione per diffamare un collega o per scopi personali, come minacciare o ricattare qualcuno, costituisce una violazione della privacy e può comportare sanzioni disciplinari o legali.
Se la registrazione riguarda conversazioni che non sono rilevanti per la difesa di un diritto, questa può essere considerata un'invasione della privacy. Può accadere se si registrano conversazioni private tra colleghi senza il loro consenso e senza che queste abbiano una reale connessione con una causa difensiva.
Non è consentito registrare conversazioni in spazi aziendali destinati alla privacy, come ad esempio le sale mediche o le aree riservate alla consulenza psicologica o legale. In questi contesti, il diritto alla riservatezza prevale su qualsiasi altro diritto.
La Cassazione ha comunque evidenziato che il diritto alla privacy non può essere considerato assoluto. Deve essere bilanciato con il diritto alla difesa, come sancito dall'articolo 24 della Costituzione italiana, che garantisce a ogni individuo il diritto di tutelare i propri interessi in sede giudiziaria.
In diversi pronunciamenti, la Cassazione ha stabilito che la registrazione di conversazioni tra presenti non viola automaticamente la normativa sulla privacy se è giustificata dalla necessità di raccogliere prove per una futura azione legale.