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Spese legali e cause con il Fisco: anche se si vince sono spesso da pagare paradossalmente

di Marianna Quatraro pubblicato il
Spese legali cause Fisco

Anche quando un contribuente vince una causa con il Fisco deve pagare le spese: il paradosso del sistema italiano

La difesa contro richieste fiscali ritenute ingiuste comporta spesso scelte delicate e difficili valutazioni di costo e beneficio. Si è portati a pensare che, in linea con il principio "chi perde paga", il cittadino che ottiene ragione in giudizio contro il Fisco debba essere indennizzato di tutte le spese.

Tuttavia, la realtà del contenzioso tributario italiano presenta un paradosso: anche in caso di vittoria, al contribuente rimane spesso sulle spalle una parte significativa delle spese legali. Da qui nasce la percezione che l’accesso alla giustizia fiscale sia "a rischio" per chi teme che il risultato economico netto della causa non sia affatto conveniente, a prescindere dall’esito.

Le statistiche e i casi concreti mettono in luce un sistema sbilanciato a due velocità: la compensazione delle spese è assai più frequente quando è lo Stato a perdere, rispetto a quando la parte soccombente è il cittadino. 

Perdita e vittoria in tribunale: cosa succede alle spese di giudizio

L’idea comune secondo cui chi vince una causa venga rimborsato di ogni spesa si scontra con le regole e prassi del processo tributario. Teoricamente, "la parte soccombente è condannata a rimborsare le spese, competenze e onorari di giudizio". Tuttavia, in concreto, questa previsione subisce molteplici eccezioni e applicazioni non uniformi nei tribunali tributari.

Quando un cittadino perde una controversia con l’amministrazione finanziaria, è tenuto, nella maggioranza dei casi, a sostenere anche le spese legali dell’ente pubblico, oltre a quelle già anticipate per la propria difesa.

Se invece il giudice riconosce la fondatezza della contestazione avanzata dal contribuente, la situazione cambia: solo una parte delle sentenze comporta la condanna del Fisco al rimborso delle spese processuali. Parte delle spese può restare così a carico dello stesso contribuente che aveva ragione, per effetto della compensazione disposta dal giudice.

Le motivazioni per tale scelta sono molteplici e talvolta poco trasparenti: questioni peculiari, giurisprudenza "oscillante" o mere formule di rito come "nulla spese" possono essere sufficienti a escludere una condanna alle spese per l’ente pubblico. Ciò determina un rischio concreto per chi si difende contro il Fisco: anche una vittoria può rivelarsi economicamente insoddisfacente, poiché l’eventuale rimborso copre solo parzialmente quanto effettivamente versato al proprio difensore.

  • L’asimmetria riguarda sia il primo grado sia l’appello e la Cassazione: le stesse regole si applicano in ogni fase, ma le probabilità di ottenere il rimborso diminuiscono nei gradi successivi.
  • Per le cause di valore inferiore a 2.582,28 euro, il rimborso spese non è previsto, con ulteriore aggravio soprattutto nelle liti minori.
L’esperienza dei contribuenti che hanno affrontato ricorsi tributari racconta spesso di un faticoso equilibrio tra speranza di giustizia e la realtà di spese irrecuperabili anche a sentenza favorevole.

Compensazione delle spese: quando anche chi vince paga

La compensazione delle spese rappresenta uno degli aspetti più dibattuti della giustizia tributaria. La norma consente al giudice di disporre che ciascuna parte sopporti le proprie spese quando "ricorrano giusti motivi", in particolare gravi ed eccezionali ragioni. Tuttavia, la prassi ne ha esteso notevolmente l’applicazione, soprattutto nei confronti dei contribuenti vincenti. Per riassumere:

  • Se il Fisco vince, i contribuenti vengono quasi sempre condannati anche al rimborso delle spese di giudizio.
  • Se il contribuente prevale, la compensazione delle spese viene applicata più frequentemente, lasciando comunque a carico del cittadino una quota consistente delle spese sostenute.
Le motivazioni di questa scelta sono spesso generiche, non sempre adeguatamente motivate, e vanno dal richiamo a questioni controverse alla semplice assenza di una giurisprudenza consolidata. Il risultato è un deterrente significativo all’esercizio del diritto di difesa: molti cittadini preferiscono rinunciare al ricorso pur ritenendo ingiusta la pretesa fiscale, consapevoli che anche vincendo dovranno sostenere comunque parte dei costi.

Per evitare abusi, la normativa è stata modificata nel 2016 proprio per limitare la discrezionalità giudiziale. Tuttavia, i dati evidenziano come la compensazione continui ad essere lo sbocco ordinario di molte sentenze, soprattutto nei confronti delle amministrazioni pubbliche soccombenti.

  • Circa il 60% dei contribuenti che vincono in primo grado ottengono una condanna del Fisco al rimborso delle spese. Il 40% resta parzialmente scoperto.
  • In appello, la forbice si allarga: meno della metà dei contribuenti vincenti ottiene il rimborso integrale delle spese.
La compensazione delle spese, quindi, non è episodio raro, ma consuetudine nei casi di esito favorevole per il cittadino, spesso in assenza di motivazioni puntuali che giustifichino la deroga alla regola del "soccombente paga".

Disparità tra contribuente e Fisco: analisi dei dati recenti

I dati più recenti pubblicati dal Dipartimento Giustizia Tributaria confermano la persistente disparità di trattamento tra cittadino e Agenzia delle Entrate per quanto riguarda il rimborso delle spese processuali.

Esito % Rimborso spese a carico parte soccombente
Se perde il contribuente 64,8% (primo grado)
Se perde il Fisco 60,3% (primo grado)
Appello: contribuente perde 58,6%
Appello: Fisco perde 44,1%

Questa forbice percentuale si traduce, in pratica, in almeno un 15% di probabilità in più a carico del privato di dover sostenere spese, anche vincendo. L'effetto indiretto è quello di scoraggiare molti cittadini dal proporre ricorso e, in generale, dal difendersi se la somma in gioco è di modesto valore.

La situazione è aggravata dal fatto che la prassi giudiziale tende a essere più "solerte" nel condannare il cittadino perdente a rimborsare l’ufficio rispetto a quanto avviene nel caso inverso. Quando la compensazione viene disposta, spesso manca una vera motivazione personalizzata, violando il principio di trasparenza e minando la percezione di equità della giustizia.

Un ulteriore aspetto critico consiste nella modalità di calcolo dei rimborsi spettanti: anche a parità di valore della lite, spesso le somme riconosciute a favore del Fisco risultano superiori rispetto a quelle dovute ai contribuenti vincenti, nonostante la presenza di tariffe tabellari ridotte per la difesa pubblica interna.

Spese legali e voci di rimborso: IVA, contributi previdenziali e interessi

Il rimborso delle spese processuali nei giudizi tributari comprende diverse voci, che talvolta vengono liquidate solo parzialmente o in modo non uniforme. È quindi essenziale comprendere quali importi effettivi siano effettivamente rimborsati e quali restano in capo al contribuente, che sono:

  • Parcella legale: il professionista che assiste il contribuente emette fattura comprensiva di onorari, contributi e IVA. Il rapporto è tra difensore e cliente, soggetto a IVA .
  • IVA: il rimborso dell’imposta è dovuto dal Fisco solo se rappresenta per il contribuente un costo effettivo e non detraibile. Ad esempio, il privato cittadino che non può "recuperare" l’IVA riceverà anche questa somma; una società che detrae l’IVA sugli acquisti, invece, non otterrà tale rimborso.
  • Contributo previdenziale (Cassa Avvocati, CPA 4%): può essere rimborsato solo se richiesto dal difensore e, soprattutto, se espressamente liquidato dal giudice in sentenza. In caso contrario, resta a carico del contribuente.
  • Contributo unificato: trattandosi di tassa versata per l’iscrizione a ruolo, viene solitamente rimborsato se previsto dal dispositivo della sentenza.
  • Interessi legali: il credito per il rimborso delle spese produce interessi dalla data in cui la sentenza diventa esecutiva, secondo l’art. 1282 c.c..
Il rimborso delle voci accessorie avviene solo quando il giudice le liquida espressamente in sentenza. In assenza della puntuale indicazione, la prassi amministrativa consente all’Agenzia delle Entrate di rifiutarsi di pagare talune componenti della spesa sostenuta dal contribuente vittorioso.
  • Per le società soggette a IVA, l’IVA sulla parcella non rappresenta un costo definitivo e non viene rimborsata, mentre per il cittadino privato la stessa voce è riconosciuta.
  • A titolo esemplificativo, una società può ottenere solo la parte "netta" delle spese, mentre un pensionato o dipendente riceverà anche IVA e CPA, se richiesti e liquidati.
La corretta gestione della nota spese e la richiesta di tutte le voci in giudizio è pertanto decisiva per massimizzare il rimborso potenziale.

I costi del ricorso: cifra complessiva e rischi concreti per il contribuente

Chi affronta una causa tributaria si trova spesso a sostenere costi elevati sin dall’inizio, a fronte di un esito incerto sotto il profilo economico anche in caso di successo. Gli elementi di spesa che gravano sul ricorrente sono:

  • Contributo unificato tributario: tassa variabile a seconda dell’importo contestato (da 30 euro sotto i 2.582,28 euro, fino a 1.500 euro per liti sopra 200.000 euro). Valori intermedi proporzionati al valore della controversia.
  • Spese vive e costi amministrativi: marche da bollo, notifica degli atti, copie conformi e pratiche documentali (di norma tra 50 e 150 euro).
  • Onorari professionali: il costo del difensore può variare notevolmente. Per cause semplici si parte da 500 euro, ma per liti di medio valore (tra 25 e 75 mila euro) si raggiungono facilmente i 2.000–4.000 euro. Controversie complesse oppure pluriennali possono comportare importi anche superiori a 5.000 euro.
  • Perizie tecniche o consulenze contabili: rendono necessario un ulteriore investimento da parte del contribuente.
Il rischio più temuto resta l’obbligo di rimborso delle spese di controparte in caso di soccombenza, che può incrementare considerevolmente il costo finale. Inoltre, tempi processuali lunghi (in media 14–24 mesi per il primo grado) e incertezza sull’esito concorrono a frenare molti cittadini dal percorrere la via giudiziale, specie per liti di modesto valore.
Voce di costo Intervallo (€)
Contributo unificato 30 – 1.500
Spese vive 50 – 150
Parcella difensore 500 – 4.000+

Anche un’eventuale vittoria in giudizio non assicura il pieno recupero delle somme spese: il giudice potrebbe disporre la compensazione delle spese, attribuendo al contribuente solo un rimborso parziale.