Le spese di rappresentanza sono soggette a regole precise: inerenza, tracciabilità dei pagamenti e limiti quantitativi imposti dal fisco. La Cassazione 2025 guida l'interpretazione per la deducibilità.
L'attuale scenario fiscale mette al centro l'importanza delle spese di rappresentanza ai fini della deducibilità, ma soprattutto sottolinea l'esigenza di un vincolo concreto all'attività professionale. La Corte di Cassazione, con l'ordinanza n. 26553 del 2 ottobre 2025, ha chiarito che la deduzione di queste spese non può prescindere da una rigorosa prova dell'inerenza rispetto all'attività svolta. La mera possibilità astratta di ricondurre alcune spese tra quelle di rappresentanza non basta se non emerge in modo concreto la loro effettiva destinazione professionale.
L'analisi della giurisprudenza ha rafforzato l'idea che, per garantire la deducibilità, occorra dimostrare in modo puntuale il legame tra la spesa sostenuta e l'esigenza di promuovere l'immagine o l'attività dell'impresa, lasciando fuori le finalità personali. Questo principio ha implicazioni decisive per imprese e professionisti, che devono strutturare una documentazione precisa e adottare comportamenti improntati alla trasparenza e all'efficacia delle proprie strategie fiscali.
La categoria delle spese di rappresentanza rappresenta un insieme di costi sostenuti da imprese e professionisti con lo scopo di accrescere il prestigio e la notorietà dell'azienda, promuovendone l'immagine nei confronti di clienti, fornitori o altre controparti. Queste spese si differenziano da quelle di pubblicità in quanto non direttamente finalizzate a promuovere specifici prodotti o servizi quanto, piuttosto, a consolidare la reputazione della realtà aziendale. Le spese in oggetto includono, tra le altre, omaggi a clienti, cene istituzionali, eventi aziendali, l'acquisto di opere d'arte o oggetti di valore purché strumentali all'attività.
Le principali caratteristiche fiscali di tali spese sono regolate dall'art. 108 del TUIR e dal DM 19 novembre 2008. Sono deducibili nei limiti fissati dalla normativa e devono sempre essere effettivamente sostenute, documentate e inerenti all'attività. La deducibilità riguarda anche costi relativi all'acquisto o importazione di oggetti d'arte, antiquariato o da collezione, se utilizzati come strumenti o destinati a essere ceduti gratuitamente a fini promozionali. Risultano invece escluse quelle spese che si riferiscono alla sfera privata del soggetto, ad esempio, beni che, pur astrattamente riconducibili all'attività, non sono chiaramente connessi a una destinazione aziendale:
Il pilastro attorno cui ruota la deducibilità delle spese di rappresentanza è sicuramente il principio di inerenza. Tale principio impone che ogni costo dedotto debba avere una connessione diretta e dimostrabile con l'attività esercitata. Secondo la giurisprudenza della Cassazione, non è sufficiente invocare una generica funzione rappresentativa: serve una dimostrazione sostanziale che il costo sia stato veramente indirizzato a finalità promozionali a beneficio della posizione aziendale o professionale.
La verifica dell'inerenza si sviluppa su più livelli. Da un lato, occorre valutare la congruità dell'importo sostenuto rispetto alle reali esigenze aziendali. Dall'altro, bisogna riscontrare una corrispondenza evidente tra la spesa e l'obiettivo di favorire rapporti con clienti, fornitori o altri soggetti di interesse. Per questa ragione, la semplice natura del bene o del servizio non garantisce la deducibilità: anche l'acquisto di oggetti astrattamente ammessi, come opere d'arte o gioielli, richiede la dimostrazione del reale impiego a fini promozionali e non privatistici:
Uno degli aspetti più discussi riguarda l'onere della prova sulla destinazione professionale delle spese di rappresentanza. Secondo il quadro tracciato dai giudici di legittimità, il contribuente deve essere in grado di dimostrare, con elementi oggettivi e documentali, che la spesa sostenuta sia stata effettivamente destinata a finalità promozionali e non a soddisfare interessi personali. Non basta la registrazione contabile o l'appartenenza della spesa a categorie considerate astrattamente deducibili: è necessaria una giustificazione puntuale e verificabile, da cui emerga con chiarezza il legame tra l'operazione economica realizzata e lo sviluppo della posizione professionale o aziendale:
Il quadro normativo di riferimento per la deducibilità delle spese di rappresentanza si fonda sull'articolo 108, comma 2, del TUIR, integrato dal DM 19 novembre 2008 e, per i lavoratori autonomi, dall'articolo 54-septies del medesimo Testo unico. La normativa stabilisce precisi limiti quantitativi entro cui le spese possono essere portate in deduzione:
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Ricavi/Proventi fino a 10 milioni di euro |
1,5% |
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Ricavi/Proventi tra 10 e 50 milioni di euro |
0,6% |
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Ricavi/Proventi sopra i 50 milioni di euro |
0,4% |
Per i professionisti, il limite si attesta all'1% dei compensi percepiti nel periodo d'imposta (articolo 54-septies TUIR). È importante che la spesa, oltre a rientrare nei limiti suddetti, sia inerente e documentata. Per alcune categorie di beni (ad esempio, omaggi unitari inferiori a 50 euro), l'IVA è interamente detraibile, viceversa diventa indetraibile superata questa soglia. In ogni caso, viaggi e soggiorni per clienti o collaboratori non rientrano tra le spese di rappresentanza e seguono una disciplina a parte.
La corretta osservanza dei limiti previsti, insieme all'obbligo di tracciabilità e documentazione, rappresenta una componente essenziale per prevenire contestazioni in sede di controllo fiscale.
Le modifiche introdotte nel 2025 rafforzano la tracciabilità dei pagamenti come condizione per la deduzione delle spese di rappresentanza. È ora obbligatorio utilizzare strumenti di pagamento tracciabili, tra cui versamenti bancari, postali o altri metodi previsti dall'articolo 23 del D.Lgs. n. 241/1997. Il mancato rispetto di questa regola preclude il riconoscimento della deduzione, anche se tutte le altre condizioni risultano soddisfatte: