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Terzo settore e iva: proroga di 10 anni ufficiale confermata dal Mef. Le conseguenze e cosa cambia

di Marcello Tansini pubblicato il
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Il MEF conferma una proroga di 10 anni sull'applicazione dell'IVA al Terzo Settore. Analizziamo motivazioni, impatti normativi, effetti su enti non profit e sportivi, oltre a criticità, posizione del Governo e possibili sviluppi futuri.

La recente conferma ufficiale della proroga decennale della riforma IVA per gli enti del Terzo settore e per quelli sportivi rappresenta un passaggio determinante nel quadro della normativa fiscale italiana. Questo rinvio, elaborato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), recepisce le istanze provenienti dal mondo non profit, che da tempo sollecitava un’estensione significativa dei tempi per l’adeguamento al nuovo regime, alla luce delle complesse trasformazioni organizzative e amministrative richieste. La proroga non è solo per il 2026, ma più profonda e sistemica.

La proroga decennale della riforma IVA per il Terzo Settore: contesto e motivazioni

La disposizione che sancisce il rinvio della riforma IVA per enti e associazioni si inserisce in un quadro normativo segnato da profondi cambiamenti. Il meccanismo originario, imperniato sull’esclusione dall’IVA prevista dall’articolo 4 del D.P.R. 633/1972 per molte attività associative, ha sollevato per anni discussioni sia in ambito nazionale che comunitario. Dal 2008, una procedura d’infrazione europea contesta il trattamento italiano degli enti non commerciali, favorendo l’evoluzione verso un regime di esenzione più conforme agli standard UE.

Una parte considerevole delle realtà non profit – spesso di piccole dimensioni e con risorse amministrative limitate – ha espresso preoccupazione per il passaggio dal regime di esclusione a quello di esenzione IVA. A differenza dell’esclusione, l’esenzione comporta obblighi dichiarativi, di registrazione e di rendicontazione fiscale significativi, incidendo fortemente sulle attività quotidiane degli enti. Di qui la richiesta delle principali reti associative e delle Commissioni parlamentari di garantire un orizzonte temporale sufficientemente ampio per la transizione, richiesta oggi accolta dal MEF con una proroga stabilita fino al 2036.

Non si tratta di un rinvio tecnico, ma di una scelta che, secondo la gestione ministeriale, offre stabilità e prevedibilità, evitando scadenze annuali incerte e riducendo la pressione organizzativa sugli enti coinvolti. I motivi alla base di questa posizione includono anche la volontà di allineare il calendario della riforma IVA ai tempi di pieno dispiegamento del Codice del Terzo settore (D.lgs. 117/2017) e delle relative disposizioni attuative.

Iter normativo e tappe del rinvio: dal 2022 al 2036

Il percorso che ha portato alla proroga decennale della riforma contiene numerosi passaggi sia legislativi che politici. Inizialmente, il nuovo regime di esenzione IVA doveva entrare in vigore dal 2022, come risposta diretta alla procedura di infrazione europea. Tuttavia, le difficoltà operative denunciata dagli enti coinvolti hanno imposto una serie di rinvii programmati dal legislatore:

  • 1° gennaio 2022: data originaria di decorrenza della riforma IVA per il terzo settore
  • 1° gennaio 2024: primo rinvio dovuto a criticità organizzative
  • 1° luglio 2024: secondo differimento, ancora su richiesta delle associazioni e per questioni tecniche
  • 1° gennaio 2025: slittamento aggiuntivo, alla luce di ulteriori esigenze di adeguamento
  • 1° gennaio 2026: ulteriore posticipo, con temporanea inclusione nel cosiddetto Milleproroghe
  • 1° gennaio 2036: nuovo termine definitivo, secondo la versione aggiornata della proposta MEF
Questa sequenza di rinvii ha avuto, tra le sue finalità, quella di fornire agli enti un approccio graduale e sostenibile alle nuove regole, scongiurando il rischio di impatti eccessivi su strutture con ridotta capacità di compliance. Secondo quanto affermato dal viceministro dell’economia e delle finanze e confermato da rappresentanti del governo e delle commissioni parlamentari, il differimento decennale rappresenta una risposta organica alla complessità del passaggio dal sistema di esclusione a quello di esenzione.

Le implicazioni pratiche per enti non profit e sportivi: obblighi, adempimenti e riorganizzazione

L’entrata in vigore del nuovo regime avrebbe imposto agli enti impegnati nel sociale e nello sportivo un rilevante aggiornamento degli schemi amministrativi. La proroga consente ora di differire molte delle seguenti responsabilità:

  • Gestione dei registri IVA: necessità di aggiornare e mantenere la piena tracciabilità delle operazioni soggette, con una significativa revisione degli attuali processi contabili
  • Presentazione di comunicazioni e dichiarazioni periodiche: rifacimento di flussi amministrativi legati a liquidazioni e dichiarazioni annuali
  • Qualificazione delle operazioni: valutazione dettagliata delle attività per suddividerle fra esenti, imponibili o escluse ai sensi della nuova normativa
  • Possibile apertura della partita IVA: impatto su enti precedentemente esclusi da tale obbligo, con necessità di formazione specifica del personale amministrativo
  • Eventuale esternalizzazione della contabilità: opzione presa in esame da realtà prive della struttura necessaria alla gestione autonoma della fiscalità IVA
Queste responsabilità, se introdotte senza adeguato preavviso o preparazione, avrebbero potuto minare la sostenibilità di realtà particolarmente piccole o dipendenti dal lavoro volontario. Il rinvio al 2036 consente agli enti di pianificare con anticipo la modernizzazione dei processi, seguendo anche l’aggiornamento del quadro civilistico previsto dal Codice del Terzo settore e dalle sue disposizioni attuative.

Procedure europee, criticità e le richieste del Terzo Settore

Alla base delle evoluzioni normative vi è la procedura di infrazione avviata nel 2008 dalla Commissione europea nei confronti dell’Italia sotto il profilo dell’allineamento della disciplina IVA per gli enti non profit agli standard UE. La normativa nazionale veniva considerata troppo favorevole agli enti associativi in quanto collocava molte prestazioni in area di esclusione totale dall’imposta, creando disallineamenti rispetto al resto d’Europa.

Le principali criticità identificate dall’Unione riguardano:

  • L’armonizzazione delle regole IVA per le realtà non commerciali, in particolare tra sistemi che prevedono l’esclusione e l’esenzione
  • La presenza di oneri amministrativi eccessivi per enti privi di strutture amministrative articolate
  • L’impatto secondario su altri tributi, come l’IRAP
Le reti associative del Terzo settore – collaborando anche con i rappresentanti parlamentari – hanno fortemente richiesto una moratoria di lungo periodo per garantire il tempo necessario allo sviluppo di un quadro civilistico-fiscale maggiormente organico e coordinato, in linea con le specificità nazionali. In questa direzione sono andate anche le osservazioni della Commissione finanze, che raccomanda l’introduzione di specifiche esenzioni per categorie particolarmente rappresentative – come le associazioni di donatori di sangue – e il superamento di oneri burocratici sproporzionati.

Ruolo delle istituzioni e sinergie: dichiarazioni e posizione del Governo

La risposta istituzionale si è contraddistinta per un dialogo costante fra governo, parlamento e organizzazioni di settore. Diversi sono gli interventi e le dichiarazioni ufficiali che hanno impostato la strategia seguita dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, dai rappresentanti del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dagli attori parlamentari.

Andrea Giannone, dirigente del MEF, ha esplicitato pubblicamente l’impegno rappresentato dalla “necessità di inserire la proroga decennale all’interno dei decreti legislativi attuativi della legge delega 111/2023”. Il viceministro Maurizio Leo ha ribadito che il principale ostacolo riguarda la burocrazia, sottolineando la necessità di “intervenire per snellire lacci e lacciuoli burocratici, senza impatto sulla finanza pubblica”.

Il governo ha adottato una linea coesa anche grazie all’apporto della viceministra del Lavoro, Maria Teresa Bellucci, che ha richiamato la collaborazione interministeriale, il riconoscimento europeo dell’associazionismo italiano e l’importanza di dare risposte concrete agli operatori e volontari impegnati sul territorio.



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