Mentre il governo intende utilizzare i proventi della tassa sugli extraprofitti per finanziare interventi di equità sociale, ci sono preoccupazioni sulle conseguenze
La tassa sugli extraprofitti delle banche, introdotta dal governo italiano nel 2023, ha generato un ampio dibattito, con una serie di opinioni contrastanti sulle sue potenziali conseguenze.
Da una parte, il governo giustifica la tassa come una misura di giustizia sociale, necessaria per ridistribuire parte dei guadagni straordinari ottenuti dalle banche durante il periodo di rialzo dei tassi di interesse. Dall'altra, le banche e l'Associazione bancaria italiana sostengono che questa imposta potrebbe danneggiare l'intero sistema finanziario, con ripercussioni negative sui consumatori. Entriamo nel vivo della questione:
Questo aumento è dovuto alla crescita dei margini di interesse ovvero la differenza tra i tassi applicati sui prestiti e quelli riconosciuti sui depositi. Il governo ha deciso di introdurre una tassa straordinaria del 40% su questi extraprofitti, con l'obiettivo di raccogliere circa 3,8 miliardi di euro.
Il ricavato servirà a finanziare misure di sostegno sociale, come la riduzione del cuneo fiscale e il bonus tredicesima per pensionati e lavoratori. La tassa ha sollevato preoccupazioni, sia per l’impatto sul sistema bancario sia per le possibili ripercussioni sui consumatori e sul mercato finanziario.
Una delle preoccupazioni è che le banche possano trasferire i costi della tassa sui consumatori. In pratica, per compensare il prelievo sugli extraprofitti, gli istituti di credito potrebbero aumentare i tassi di interesse sui mutui e sui prestiti o ridurre i rendimenti sui conti deposito. Questo scenario danneggerebbe soprattutto le famiglie e le piccole e medie imprese, che già affrontano difficoltà finanziarie a causa dell’aumento del costo del denaro.
Un altro rischio è il calo degli investimenti delle banche. L’introduzione della tassa potrebbe spingere gli istituti a ridurre gli investimenti in progetti a lungo termine o in nuovi servizi per i clienti, privilegiando invece strategie più conservative per preservare la redditività. Può così essere limitata la capacità delle banche di sostenere l’economia reale, in particolare settori strategici come l’innovazione tecnologica o le infrastrutture.
L'Abi si è espressa in modo critico nei confronti della tassa sugli extraprofitti, sottolineando che le banche italiane già versano imposte superiori rispetto ad altri settori economici. Ha evidenziato che le banche pagano un’aliquota Ires del 24%, a cui si aggiunge un'addizionale del 3,5% per le banche e l'Irap al 5,45%.
L'Abi ha avanzato diverse proposte per limitare gli effetti negativi della tassa, chiedendo che:
Il governo ha dimostrato una certa apertura verso le proposte di modifica, soprattutto in risposta alle critiche provenienti dal settore bancario e da alcune forze politiche. Durante la fase di esame parlamentare è emersa l'ipotesi di introdurre un tetto massimo all'imposta e di escludere i guadagni derivanti dai titoli di Stato dalla base imponibile.
Si sta valutando la possibilità di utilizzare gli attivi ponderati per il rischio come base per calcolare la tassa, in modo da proteggere le banche più piccole e meno redditizie.
Queste modifiche potrebbero attenuare l'impatto della tassa sugli extraprofitti e ridurre il rischio di ripercussioni negative sui consumatori e sull'economia in generale. Resta da vedere se le banche riusciranno a mantenere un equilibrio tra l’assorbimento del costo della tassa e la protezione dei margini di profitto, senza gravare ulteriormente sui clienti.