L'acquisto massiccio di Btp da parte delle banche italiane solleva interrogativi sulla loro soliditŕ e sul rischio sistemico. La composizione dei detentori, l'andamento nel tempo, le conseguenze.
Negli ultimi anni il sistema bancario italiano è stato oggetto di costante monitoraggio da parte delle istituzioni europee, alla luce della presenza di titoli di Stato, in particolare Btp, nei portafogli bancari. La Commissione europea, attraverso il rapporto sugli squilibri macroeconomici pubblicato a fine novembre, ha sottolineato come questa elevata esposizione al debito sovrano possa introdurre vulnerabilità nel settore creditizio nazionale, in un contesto in cui l'Italia si posiziona tra i Paesi con il maggiore livello di indebitamento pubblico nell'Unione.
Il rischio non deriva solo dall'entità assoluta delle posizioni detenute, ma anche dalla loro incidenza, in termini percentuali, rispetto alle masse totali di attivi bancari. L'equilibrio tra esigenze di investimento, regolamentazione prudenziale e gestione della liquidità si rivela quindi determinante, soprattutto in presenza di potenziali shock sui mercati obbligazionari europei o repentini aumenti dello spread nei confronti dei Bund tedeschi. L'attenzione di analisti e regolatori, pertanto, resta elevata, nella consapevolezza che la solidità patrimoniale delle banche italiane rappresenta una condizione essenziale per la stabilità complessiva dell'economia nazionale.
L'assetto dei sottoscrittori dei titoli di Stato italiani ha subito cambiamenti profondi tra il 2019 e il 2025. Se la quota detenuta dagli istituti bancari italiani era largamente predominante, negli ultimi anni si è assistito a un riequilibrio tra tipologie di investitori, riflesso della crescente complessità e internazionalizzazione dei mercati finanziari.
Un dato significativo riguarda la dinamica delle famiglie italiane, sempre più attente alle opportunità offerte dai titoli pubblici. Dal 2021, la percentuale di debito in loro possesso è quasi raddoppiata, passando dal 7,9% al 14,4% nel 2025, pari a 442 miliardi di euro. Questa tendenza è stata favorita dal successo di emissioni dedicate al pubblico retail, come i Btp Valore e Futura, e dalla crescente percezione della stabilità dei titoli nazionali in un contesto di mercato incerto.
La presenza degli investitori esteri ha registrato una crescita altrettanto marcata: nel 2025 la quota detenuta da soggetti internazionali è salita al 33,8% per oltre 1.039 miliardi di euro, il livello più alto dell'ultimo decennio. L'aumento della domanda estera è dipeso, in parte, dalla maggiore attrattività dei rendimenti relativi rispetto ad altri titoli europei e dalla stabilità politica percepita sul mercato italiano.
Le banche italiane, pur rimanendo tra i principali detentori, mostrano una progressiva riduzione del peso relativo. Nel 2019 la loro incidenza era superiore al 25%, mentre nel 2025 si attesta attorno al 20%. Il valore assoluto delle obbligazioni pubbliche in portafoglio rimane elevato - oltre 620 miliardi di euro - ma la crescita complessiva del debito pubblico e il rafforzamento di nuove categorie di investitori hanno modificato la mappa dei sottoscrittori.
Di seguito una panoramica dei principali detentori della ricchezza di Stato italiana ad agosto 2025:
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Detentore |
Quota % |
Valore (mld EUR) |
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Investitori esteri |
33,8% |
1.039,9 |
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Banca d'Italia |
19,2% |
592,1 |
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Banche italiane |
20,1% |
620,5 |
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Fondi/assicurazioni |
12,5% |
386,4 |
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Famiglie e imprese |
14,4% |
442,4 |
Il risultato evidenzia un sistema più dinamico, dove il risparmio privato e i capitali internazionali sono sempre più centrali nella composizione del debito sovrano italiano, a discapito della concentrazione bancaria tradizionale.
L'analisi delle statistiche degli ultimi sei anni fotografa una riduzione della quota di debito pubblico detenuta dal settore bancario nazionale, che si accompagna, tuttavia, a una sostanziale stabilità dei valori assoluti. Nel gennaio 2020 le banche italiane possedevano circa 630 miliardi di titoli di Stato, il 26% dell'ammontare totale, mentre ad agosto 2025 la cifra è rimasta simile, intorno ai 620 miliardi, ma il peso percentuale è sceso fino al 20,1%.
Questa differenza è attribuibile a diversi fattori:
La discussione sulla concentrazione di titoli pubblici nei portafogli bancari italiani ruota intorno agli effetti diretti e indiretti sulla stabilità dell'intero sistema finanziario nazionale. Le banche, pur riducendo la quota detenuta rispetto al passato, detengono ancora oltre 620 miliardi di euro di Btp e Bot, una mole che può tradursi in rischi particolari quando sui mercati si manifestano turbolenze.
Dal punto di vista macroprudenziale, un'esposizione significativa agli asset sovrani comporta diversi fattori di rischio:
Il caso italiano si inserisce nel più ampio dibattito europeo sulla gestione del rischio sovrano nei bilanci bancari. Sebbene la tendenza a concentrare asset nazionali sia diffusa tra gli istituti dei Paesi dell'area euro, l'incidenza dei titoli di Stato nostrani nei portafogli delle banche in Italia resta tra le più elevate della zona.
A differenza di altri mercati, dove la diversificazione per Paese d'origine degli emittenti è maggiore, le banche italiane hanno storicamente privilegiato titoli pubblici domestici, favorito anche dalla normativa che li considera strumenti a rischio zero ai fini patrimoniali. Tuttavia, come evidenziato dalla crisi del debito sovrano europeo nel 2010-2011, questa scelta può accentuare il rischio sistemico in caso di variazioni improvvise delle aspettative sugli equilibri di finanza pubblica.
Gli altri principali Paesi europei - in particolare Francia e Germania - hanno seguito strategie differenti, distribuendo il rischio sovrano tra diverse emissioni nazionali e sviluppando parallelamente mercati finanziari alternativi. Tale diversificazione ha consentito ai loro sistemi bancari di resistere meglio agli shock localizzati e di sfruttare una leva più ampia in termini di flussi di capitale pan-europei.
Secondo le ultime rilevazioni, l'Italia rimane tra le grandi economie dell'Unione quella con la più alta esposizione dei propri istituti al debito pubblico domestico, seguita da Spagna e Portogallo. L'approccio richiesto dalle autorità europee mira oggi a rafforzare questi elementi attraverso regolamentazioni condivise e incentivi alla diversificazione degli attivi bancari, con l'obiettivo di ridurre la correlazione negativa tra crisi dei titoli di Stato e stabilità dell'erogazione del credito nell'Eurozona.