Tra pressioni esterne di Cina e Usa e fragilità interne, l'Unione Europea si trova a un bivio: dovrà rivedere la propria integrazione, rafforzare leadership e autonomie per restare protagonista nello scenario globale futuro.
Nell’attuale scenario geopolitico globale, l’Europa si ritrova al centro di una transizione epocale tra due poli di potere economico e militare: la Cina e gli Stati Uniti. L’emergere di nuove potenze e la ridefinizione degli equilibri globali hanno posto il Vecchio Continente di fronte al rischio concreto di scivolare in una posizione marginale. Il dibattito politico, alimentato sia dalle istituzioni comunitarie sia dalle opinioni degli esperti, evidenzia come l’UE debba ridefinire la propria strategia per non rimanere spettatrice degli eventi, subendo le scelte di attori esterni più assertivi e organizzati.
Il modello europeo, storicamente fondato sul potere regolatorio e sul multilateralismo, appare oggi sotto pressione da flussi di merci sovvenzionate provenienti dalla Cina e dalla spinta al protezionismo statunitense, mentre fenomeni come la frammentazione politica interna e i limiti dei trattati vengono percepiti come ostacoli alla capacità di reazione.
La competizione tra Cina e Stati Uniti esercita un impatto profondo sulle dinamiche europee. La Cina, nel corso degli ultimi anni, ha incrementato drasticamente il proprio peso nelle catene globali del valore: secondo dati ufficiali, nei primi sei mesi del 2025 le esportazioni cinesi verso l’Europa sono aumentate del 7%, mentre le importazioni europee verso la Cina sono calate del 6%. Il deficit commerciale dell’UE nei confronti di Pechino ha così raggiunto livelli mai visti, con effetti tangibili sulla competitività dell’industria continentale.
Queste dinamiche sono influenzate da pratiche di dumping, sovvenzioni statali, barriere tecnologiche e restrizioni all’export (specialmente nel settore dei semiconduttori e delle materie prime strategiche), che hanno acuito la dipendenza europea dai fornitori asiatici. Inoltre, la svolta assertiva della Cina non si limita all’ambito economico: Pechino promuove un modello alternativo a quello occidentale, focalizzato sull’ordine e sulla realpolitik, trovando consensi in ampie regioni di Africa, Asia e America Latina.
Sul fronte opposto, gli Stati Uniti stanno ridefinendo la loro postura internazionale. L’adozione di politiche protezioniste in ambito commerciale e la richiesta di uno sforzo maggiore da parte dei partner NATO hanno indebolito la fiducia europea nella tradizionale alleanza transatlantica. A questa situazione si sommano le pressioni per distaccarsi tecnologicamente e diplomaticamente dalla Cina, mettendo l’Europa di fronte alla necessità di evitare una nuova dipendenza dalle scelte di Washington dopo aver ridotto quelle da Mosca. Gli equilibri geoeconomici sono ulteriormente complicati dall’emergenza di organismi come i BRICS, che sfidano il modello guidato dall’Occidente e contribuiscono a rendere il sistema internazionale sempre più multipolare.
La tabella sottostante illustra sinteticamente alcune delle principali pressioni esterne a cui è sottoposta l’UE:
| Pressione | Origine | Impatto su UE |
| Dumping industriale e tecnologico | Cina | Competitività ridotta; deficit commerciale |
| Politiche protezionistiche | USA | Accesso limitato ai mercati; tensioni alleate |
| Sanzioni e contro-sanzioni | Cina/Russia/USA | Volatilità commerciale; oscillazioni nei flussi di beni |
| Nuovi blocchi geopolitici | BRICS, SCO | Perdita di influenza multilaterale |
"La forza economica europea resta un antidoto contro la marginalizzazione, ma l’UE deve evitare di passare da una dipendenza all’altra", ammonisce Giampiero Massolo, sottolineando come il pragmatismo negli accordi e la costruzione di nuove alleanze selettive rappresentino criteri imprescindibili.
Le fragilità interne all’Unione rappresentano un ostacolo strutturale nell’affermarsi sulla scena internazionale. La governance comunitaria appare frammentata da processi decisionali lenti e complessi, spesso vincolati a regole dell’unanimità che consentono a singoli Stati di esercitare veti su dossier strategici. Questo meccanismo alimenta impasse e rallentamenti nelle risposte alle crisi, come evidenziato nel dibattito sulla riforma dei trattati e nella difficoltà di adottare strategie comuni in materia di difesa o politica economica.
L’assenza di una politica estera realmente unificata riduce la capacità europea di incidere su scenari come quelli ucraino o mediorientale, relegando Bruxelles a un ruolo di equilibrio limitato. Le divisioni tra Stati membri emergono tanto sulle questioni di sicurezza quanto sulle priorità industriali, energetiche o migratorie: Nord e Sud, Est e Ovest del continente restano distanti.
La leadership politica, troppo spesso concentrata sulla tenuta del consenso nazionale, si traduce in uno scarso coraggio nelle scelte strategiche. Governi stabili, come quello italiano, possono temporaneamente colmare alcune lacune, ma la mancanza di un’ambizione condivisa frena progetti di investimento e innovazione su larga scala. Lo stesso meccanismo delle "cooperazioni rafforzate"—già visto nell’esperienza di Schengen o dell’euro—offre soluzioni parziali, ma lascia persistenti zone d’ombra sulla coesione complessiva.
Un altro nodo irrisolto riguarda la governance economica, che secondo i rapporti Draghi e Letta dovrebbe orientarsi verso: integrazione dei mercati finanziari, riduzione della burocrazia, iniziative comuni di investimento e attuazione della cosiddetta “preferenza europea” sugli acquisti pubblici.
La fase attuale impone all’Europa un salto di qualità nelle strategie e nelle politiche di risposta alle sfide interne ed esterne. Sulla scia degli insegnamenti degli ultimi anni, le istituzioni comunitarie puntano su tre pilastri principali: integrazione politica avanzata, rafforzamento dell’autonomia strategica e rilancio della competitività economica.
In questo scenario, l’Italia emerge come esempio di stabilità e pragmatismo, secondo alcuni esperti: la coerenza tra vocazione atlantica e spinta verso una maggiore autonomia dell’UE rappresenta uno degli equilibri su cui Bruxelles dovrebbe puntare maggiormente. Non c’è contraddizione tra rafforzare la difesa comune e mantenere relazioni privilegiate con gli USA, ma occorre implementare le responsabilità reciproche affinché la collaborazione sia realmente bilaterale e non subordinata.
La prospettiva futura per il progetto europeo appare densa di incognite ma anche di opportunità. In un mondo che si muove sempre più verso una pluralità di poli di influenza e in cui la competizione tra grandi economie plasma regole e mercati, il percorso tracciato dall’UE dipende dalla capacità di adattarsi tempestivamente e risolvere le distorsioni che la frenano.
È essenziale rafforzare le alleanze strategiche, senza escludere la costruzione di partenariati innovativi con attori non tradizionali:
L’alternativa offerta dall’Europa deve mantenere attrattività e praticabilità nel confronto sia con la dottrina "America First" sia con il modello autoritario cinese. Come sottolineato dai dibattiti più recenti, Bruxelles non può permettersi di abbandonare i pilastri del multilateralismo, dei diritti e della sostenibilità. Questa visione può generare consenso solo se accompagnata da riforme concrete, trasparenza nei processi e azioni incisive, in linea con le aspettative dei cittadini europei e con i trend globali.