La trasparenza bancaria rappresenta uno degli elementi centrali nella strategia del Fisco per contrastare l'evasione fiscale. I movimenti sui conti correnti costituiscono infatti una fonte primaria di informazioni per l'Agenzia delle Entrate, che negli ultimi anni ha intensificato l'attività di controllo delle operazioni finanziarie dei contribuenti. Le recenti sentenze della Corte di Cassazione hanno definito con maggiore chiarezza il perimetro entro cui tali verifiche possono essere condotte, stabilendo importanti precedenti per la tutela sia dell'Erario che dei diritti dei contribuenti.
Esaminiamo nel dettaglio quali sono i controlli che possono essere effettuati sui conti correnti e come cambiano accertamenti e controlli dell'Agenzia delle Entrate con le nuove leggi a tutela del contribuente.
L'Agenzia delle Entrate dispone di strumenti particolarmente incisivi per verificare eventuali incongruenze tra quanto dichiarato e la reale situazione patrimoniale del contribuente. Tra questi, le indagini sui conti bancari rappresentano uno strumento di particolare efficacia nella lotta all'evasione.
Con le recenti pronunce, la Corte di Cassazione ha confermato la legittimità dell'allargamento delle indagini bancarie ai congiunti del contribuente, ritenendo che il rapporto familiare costituisca una condizione sufficiente per giustificare l'estensione delle verifiche. Questo principio è stato ribadito in numerose sentenze, tra cui spicca l'ordinanza n. 7403 del 20 marzo 2025, con cui la Suprema Corte ha precisato che gli accertamenti bancari possono riguardare anche conti correnti intestati a terzi quando l'Amministrazione finanziaria alleghi adeguati indizi, ulteriori rispetto al vincolo familiare con l'intestatario dei conti.
In sostanza, sarebbe un errore fatale per il contribuente pensare di poter utilizzare i conti correnti di persone a lui vicine, come coniuge, figli o genitori, per operazioni sospette. L'Agenzia delle Entrate ha da tempo ampliato la sua sfera d'azione, e le pronunce della Cassazione continuano a rafforzare questa tendenza.
Uno degli aspetti più rilevanti degli accertamenti bancari riguarda la presunzione legale stabilita dalla normativa fiscale. In base all'art. 32 del D.P.R. n. 600/1973, i versamenti e i prelevamenti non giustificati sui conti bancari sono considerati, fino a prova contraria, come ricavi o compensi non dichiarati.
Come chiarito dall'ordinanza n. 9681 del 14 aprile 2025 della Cassazione, l'onere di superare questa presunzione ricade interamente sul contribuente, che deve dimostrare in modo analitico l'estraneità di ciascuna operazione a fatti imponibili. Non sono sufficienti giustificazioni generiche o documentazione non puntuale: è necessario fornire prove specifiche per ogni singola movimentazione contestata.
La Corte di Cassazione ha precisato che questa presunzione legale, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall'art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici. È quindi particolarmente stringente l'onere probatorio richiesto al contribuente per superare le contestazioni dell'Amministrazione finanziaria.
Per quanto riguarda l'estensione dei controlli ai conti correnti dei familiari, la giurisprudenza ha individuato alcuni elementi che rendono legittima tale verifica. In particolare, l'ordinanza n. 7583 del 21 marzo 2025 della Cassazione ha stabilito che, in tema di indagini finanziarie, la riferibilità di movimentazioni bancarie intestate a soggetti terzi dipende dalla presenza di specifici indizi.
Tra questi elementi, la Corte ha identificato:
È importante sottolineare che il solo vincolo familiare non è sufficiente: l'Agenzia delle Entrate deve dimostrare, con altri elementi indiziari, che la situazione reddituale del familiare non è compatibile con le movimentazioni riscontrate sul suo conto.
Particolare attenzione merita il caso dei conti correnti intestati al coniuge o al convivente del contribuente sottoposto a verifica fiscale. Con l'ordinanza n. 20816 del 25 luglio 2024, la Cassazione ha affermato che, in caso di accertamento dell'imposta sui redditi, le verifiche fiscali possono avere ad oggetto anche i conti bancari intestati al coniuge o al familiare del contribuente.
La Suprema Corte ha specificato che il regime patrimoniale di separazione dei beni o la mancanza di cointestazione o delega sul conto non costituiscono elementi sufficienti a escludere la riferibilità delle operazioni al contribuente. Ciò che rileva è la possibilità di desumere, tramite elementi sintomatici, che le movimentazioni siano riconducibili al soggetto sottoposto a verifica.
Nel caso dei conviventi, l'ordinanza n. 7583/2025 ha precisato che è necessario verificare l'esistenza, nell'anno d'imposta, di uno stabile legame affettivo di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, in linea con quanto previsto dall'art. 1, comma 36, della legge 20 maggio 2016, n. 76.
Un altro ambito significativo riguarda i controlli sui conti correnti di soci di società, soprattutto nel caso di società a base familiare o a ristretta base sociale. La giurisprudenza della Cassazione ha ripetutamente affermato che l'Amministrazione finanziaria può legittimamente utilizzare le risultanze di conti correnti bancari intestati ai soci, riferendo alla società le operazioni ivi riscontrate.
La ratio di questa impostazione risiede nella presunzione di sovrapposizione tra interessi personali e societari, particolarmente evidente nelle società a ristretta base sociale. Come chiarito dall'ordinanza n. 5529 del 2 marzo 2025, quando si parla di accertamenti sui redditi di società di persone a base familiare, la relazione di parentela tra i soci è idonea a far presumere la sostanziale identificazione degli interessi economici perseguiti dalla società con quelli dei soci.
Nel caso specifico di società di capitali a ristretta base partecipativa, l'ordinanza n. 7758 del 20 marzo 2019 ha confermato che sono consentite le indagini bancarie sui conti correnti dei soci, incombendo sulla società l'onere di dimostrare che gli importi rinvenuti non sono a sé riconducibili.
Le indagini bancarie sono disciplinate da precise norme procedurali, che l'Amministrazione finanziaria è tenuta a rispettare. A norma di legge (DPR 633 del 1972), gli Uffici dell'imposta sul valore aggiunto possono richiedere dati, notizie e documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata dai contribuenti.
Tuttavia, è indispensabile l'autorizzazione del direttore centrale dell'accertamento dell'Agenzia delle Entrate o del direttore regionale della stessa, ovvero, per il Corpo della guardia di finanza, del comandante regionale. Tale autorizzazione deve essere richiesta alle banche, alla società Poste italiane, alle società ed enti di assicurazione, agli intermediari finanziari e alle società fiduciarie.
Con l'ordinanza n. 4853 del 23 febbraio 2024, la Cassazione ha precisato che la mancanza di autorizzazione non implica automaticamente l'inutilizzabilità dei dati acquisiti, salvo che ne sia derivato un concreto pregiudizio al contribuente o vengano in discussione diritti fondamentali di rango costituzionale.
Inoltre, non sussiste obbligo di allegazione dell'autorizzazione all'avviso di accertamento, né è richiesto che essa sia motivata, avendo natura di atto meramente preparatorio interno all'Amministrazione finanziaria.
Un aspetto importante riguarda i termini entro cui l'Amministrazione finanziaria può effettuare i controlli sui conti correnti. A norma dell'art. 43 delle disposizioni sull'accertamento delle imposte sui redditi, gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione.
Nel caso di omessa presentazione della dichiarazione o di dichiarazione nulla, il termine si estende al settimo anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata.
Questi termini sono strettamente collegati all'obbligo di conservazione dei documenti fiscali, che l'art. 8 dello Statuto del contribuente fissa in dieci anni dalla loro formazione, emanazione o utilizzo.