Nel contesto del diritto italiano, la gestione patrimoniale all’interno del matrimonio assume contorni complessi, specie quando si tratta di valutare se una casa donata o ereditata debba essere considerata patrimonio condiviso o meno.
Nonostante la diffusa applicazione della comunione legale dei beni tra i coniugi, molti continuano a nutrire dubbi circa l’inclusione nel patrimonio comune degli immobili ricevuti attraverso successione o atto di liberalità familiare.
La comunione legale dei beni rappresenta il regime patrimoniale più diffuso in Italia e si applica in assenza di espressa volontà dei coniugi di adottare la separazione dei beni. In base a questa disciplina, tutti i beni acquistati da uno o da entrambi i coniugi durante il matrimonio rientrano automaticamente nella cosiddetta comunione, diventando proprietà comune nella misura del 50% ciascuno.
Tuttavia, la normativa distingue tra i beni oggetto di comunione e i cosiddetti "beni personali". Questi ultimi comprendono:
Essa, inoltre, stabilisce che la comunione dei beni ha effetto dal giorno del matrimonio o dalla scelta volontaria dei coniugi di adottare tale regime patrimoniale. Durante il periodo di comunione, gli acquisti compiuti sono soggetti a regole di cogestione e condivisione.
Il Codice Civile esclude espressamente dalla comunione legale i beni acquisiti da un coniuge dopo il matrimonio per effetto di donazione o successione ereditaria. Questo significa che, generalmente, una casa ricevuta in dono o in eredità durante il matrimonio è un bene personale e non cade in comunione, a meno che, nel caso di una donazione, il donante specifica nell’atto notarile che il bene è attribuito alla comunione. Stesso discorso vale nel caso di una eredità con testamento.
Vi sono, dunque, eccezioni che emergono se il donante o il testatore includono specifiche clausole nell’atto notarile o nel testamento. In tali casi, se espresso chiaramente che l’immobile sia destinato alla comunione, esso diventa un bene condiviso, anche se il beneficiario formale resta uno solo. In assenza di tale espressa volontà, la proprietà resta esclusiva.
La normativa italiana prevede una chiara distinzione temporale per gli immobili donati o ereditati nella comunione. Gli immobili già posseduti prima del matrimonio rientrano tra i beni personali e rimangono tali, senza possibilità di essere inclusi nella quota patrimoniale comune anche in caso di cambiare regime coniugale.
Anche la casa ricevuta tramite donazione o successione durante la vigenza del matrimonio mantiene lo status di bene personale, a meno che l’atto di liberalità o il testamento stabiliscano esplicitamente l’attribuzione alla comunione.
La legge non consente alcuna retroattività nella qualificazione degli immobili: il patrimonio pre-coniugale resta sempre personale, mentre per ciò che viene acquisito nel corso del regime di comunione vale la predetta regola delle eccezioni esplicite.
Capita di frequente che genitori o familiari elargiscano somme di denaro destinate all’acquisto di una casa da parte del figlio, il quale sia già coniugato. In questi casi si verifica una donazione indiretta, poiché la liberalità non riguarda direttamente l’immobile ma il denaro per l’acquisto.
La giurisprudenza italiana ha stabilito che l’immobile acquisito con tali disponibilità è da considerarsi personale, purché sia possibile dimostrare un nesso diretto e documentato tra elargizione e impiego.
Se il denaro donato copra solo una parte del prezzo di acquisto dell’immobile e la restante percentuale venga pagata con denaro della coppia o tramite mutuo, si crea una comproprietà mista in cui: