I redditi che derivano dall'affitto di un immobile commerciale sono tassati anche se l'inquilino non paga il canone di locazione: cosa ha stabilito la recente sentenza n.27451/2025 della Cassazione
La questione della tassazione dei redditi da locazione si pone come tema di rilievo per i proprietari di immobili destinati ad attività commerciali, soprattutto quando l’inquilino omette il pagamento dei canoni pattuiti.
Secondo gli ultimi dati, il fenomeno della morosità coinvolge una quota considerevole dei contratti commerciali, imponendo agli imprenditori di affrontare oneri fiscali anche in assenza di effettivo incasso. In tale contesto, l’inquadramento legislativo e giurisprudenziale acquista valore strategico nella gestione delle proprietà ad uso diverso dall’abitativo, poiché determina la modalità di tassazione dei canoni non riscossi.
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27451/2025, ha ulteriormente confermato che i redditi derivanti da affitto di immobili ad uso commerciale sono sottoposti a tassazione anche qualora il locatore non abbia materialmente incassato il canone concordato.
Il principio chiave a cui si ispira la disciplina fiscale individua nel possesso giuridico dell’immobile il presupposto impositivo, attribuendo rilievo al contratto vigente piuttosto che all’effettiva percezione delle somme. “La titolarità del diritto reale”, sottolineano le più recenti sentenze, determina l’obbligo di dichiarazione e versamento delle imposte sul canone previsto.
È importante sottolineare che la sola morosità, o l’avvio di un’azione stragiudiziale, non sono sufficienti a sollevare il proprietario dall’onere dichiarativo e fiscale. L’unico momento in cui decade tale obbligo è rappresentato dalla registrazione della risoluzione del contratto o dalla pronuncia di convalida dello sfratto.
L’orientamento della Cassazione nasce dalla necessità di prevenire comportamenti elusivi, garantendo la trasparenza impositiva su ogni reddito potenzialmente generato dalla locazione. Nel caso di specie, la norma non risolve il disagio del locatore di fronte ai mancati incassi, ponendo però un argine a possibili abusi e incertezze normative.
L’articolo 26 del TUIR occupa un posto di primo piano nella regolamentazione dei redditi fondiari e dei canoni di locazione. Il testo prevede che tali redditi concorrano a formare il reddito complessivo del proprietario indipendentemente dall’effettivo incasso, salvo deroghe specifiche per alcune categorie di immobili.
In particolare, per gli immobili a uso commerciale, l’imputazione fiscale avviene sulla base del canone contrattuale sino a quando il contratto risulti valido e in essere nei registri dell’Agenzia delle Entrate. Solo la formalizzazione di una causa di risoluzione o di un provvedimento giudiziario consente l’esclusione dei canoni non riscossi dal reddito, ovvero:
Ciò significa che è sufficiente avviare la procedura giuridica, e non più attendere la sua conclusione, per evitare la tassazione. Per le locazioni commerciali, invece, l’esclusione dalla tassazione dei canoni non riscossi è notevolmente più restrittiva: questa si verifica soltanto quando intervenga l’effettiva risoluzione del contratto (formalizzata e registrata) o un provvedimento di convalida di sfratto.
| Contratti abitativi | Detassazione anticipata con intimazione di sfratto o ingiunzione |
| Contratti commerciali | Tassazione fino alla risoluzione o convalida di sfratto |
Questo comporta, per i proprietari di immobili destinati a uso commerciale, un aggravio nel caso di inadempienza dell’inquilino, non potendo sospendere la tassazione se non al termine delle procedure previste.
Per sospendere il carico fiscale su canoni rimasti insoluti alla scadenza, il locatore di un immobile commerciale dovrà intraprendere azioni tempestive e puntuali. Le vie percorribili sono le seguenti: