Una class action senza precedenti vede gli albergatori italiani contrapposti a Booking.com per pratiche considerate scorrette e clausole tariffarie vincolanti. Tra motivi legali, impatti economici e nuovi scenari digitali, la controversia promette di ridefinire il rapporto tra hotel e piattaforme online.
Negli ultimi anni il settore alberghiero europeo è stato teatro di una mobilitazione senza precedenti, con migliaia di strutture ricettive che hanno deciso di avviare una class action nei confronti di Booking.com. Al centro della controversia vi sono pratiche commerciali ritenute scorrette, che avrebbero alterato il funzionamento del mercato online delle prenotazioni, penalizzando in particolare gli albergatori.
L'azione collettiva, promossa da oltre 30 associazioni nazionali del settore - tra cui Hotrec e Federalberghi - mira a ottenere un risarcimento per i danni derivanti dall'applicazione di precise condizioni contrattuali imposte dal portale. La risposta positiva da parte delle strutture ricettive, in particolare italiane, testimonia una diffusa esigenza di giustizia e di riequilibrio delle regole del mercato digitale dell'ospitalità moderna.
Alla base della contestazione si trovano le cosiddette clausole di parità tariffaria o rate parity, ovvero disposizioni inserite nei contratti tra Booking.com e gli hotel che vietano agli albergatori di offrire sui propri siti o attraverso altri canali suscettibili di pubblicità, condizioni economiche più vantaggiose rispetto a quelle proposte sulla piattaforma olandese.
Questa prassi, consolidata dal 2004 al 2024, ha avuto un impatto: gli hotel sono stati obbligati a mantenere su tutti i canali pubblici un prezzo non inferiore a quello inserito su Booking.com, perdendo così autonomia commerciale e capacità di gestire promozioni e scontistiche dedicate. I punti chiave sono:
L'avvio di questa controversia affonda le radici nella crescente preoccupazione per le condizioni di accesso e permanenza delle strutture alberghiere sui principali portali di prenotazione. La svolta normativa è arrivata con la storica sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione Europea del 19 settembre 2024 (C-264/23), che ha stabilito la contrarietà delle clausole di parity rate alle regole UE sulla concorrenza. In parallelo, l'entrata in vigore del Digital Markets Act (DMA), ha imposto alle piattaforme digitali di limitare pratiche discriminatorie che potessero alterare l'accesso al mercato.
Le due novità legislative hanno aperto la strada alla richiesta di ristoro economico per tutte le strutture che, nell'arco di vent'anni, hanno subito restrizioni o danni finanziari riconducibili alle pratiche contestate. La controversia, oggi, ruota non solo sull'accertamento del danno subito, ma anche sulla determinazione delle modalità di calcolo dei risarcimenti per il periodo interessato, in cui la pratica contestata era applicata sistematicamente da Booking.com.
L'imposizione delle clausole di parità tariffaria si è tradotta per gli hotel in una serie di conseguenze economiche tangibili:
Secondo analisi indipendenti, il danno collettivo generato da queste pratiche è quantificabile in una quota delle commissioni pagate dagli hotel a Booking.com, costituendo il fondamento economico della richiesta di risarcimento alla base della class action.
Booking.com, dal proprio canto, ha respinto le critiche e le richieste avanzate dagli albergatori e dalle associazioni di settore. In numerose dichiarazioni ufficiali, la società ha definito “errate e fuorvianti” le interpretazioni secondo cui le clausole di parità tariffaria avrebbero avuto effetti anticoncorrenziali generalizzati. Booking.com sostiene che tali clausole erano mirate a prevenire fenomeni di free-riding - clienti che individuano una struttura grazie alla piattaforma, ma poi prenotano altrove a tariffe più basse, eludendo così il pagamento delle commissioni.
L'interpretazione della recente sentenza della Corte di Giustizia UE è al centro della disputa: secondo Booking.com, la pronuncia non ha considerato illegittime in modo assoluto le parity clause, ma ha rimandato l'accertamento degli eventuali effetti anticoncorrenziali ai tribunali nazionali, caso per caso. L'azienda rivendica inoltre un ruolo di promotore della concorrenza sui prezzi e sottolinea come, secondo alcuni sondaggi, molti albergatori abbiano beneficiato di una crescita della clientela e della visibilità tramite il portale.
Dall'altro lato, le associazioni coinvolte - tra cui Hotrec e Federalberghi - mantengono una posizione ferma nell'attribuire alle condizioni contrattuali di Booking.com la responsabilità del progressivo squilibrio a danno delle PMI del settore, citando la forza probatoria sia della sentenza UE che delle indagini condotte da autorità di regolazione nazionali.
L'azione collettiva è stata progettata in modo da essere accessibile e priva di rischi economici per le strutture partecipanti. Tutti gli hotel che abbiano utilizzato Booking.com tra il 2004 e il 2024 e che abbiano subito, anche indirettamente, le conseguenze derivanti dall'applicazione delle clausole contestate, possono aderire compilando una procedura digitale sul sito ufficiale www.mybookingclaim.com. La registrazione è gratuita e necessita solo dell'invio di informazioni basilari e successiva documentazione amministrativa, che può essere fornita anche in una fase successiva alla pre-iscrizione.
Le stime preliminari, elaborate da team giuridici e associazioni rappresentative, indicano che gli hotel coinvolti potrebbero ottenere un risarcimento pari fino al 30% delle commissioni totali versate a Booking.com nel periodo oggetto della controversia, oltre agli interessi maturati. Questa percentuale varia in base all'entità degli importi corrisposti dalla singola struttura, alla durata del rapporto contrattuale e all'incidenza delle parity clause sulle condizioni di vendita effettive.
Oltre all'aspetto economico, la class action produce potenzialmente ricadute più ampie: