Dalle strategie delle multinazionali, come Amazon e Campari, agli accordi milinari col Fisco italiano: un'analisi sulle contestazioni, le normative UE e l'impatto di questi compromessi sul sistema fiscale nazionale.
Negli ultimi anni la collaborazione tra autorità fiscali e grandi aziende ha segnato una svolta significativa nel contrasto all’evasione tributaria internazionale.
La crescente tracciabilità delle operazioni digitali, unitamente all’adozione di norme europee sempre più stringenti, ha permesso di portare a termine accordi transattivi da centinaia di milioni di euro tra il Fisco italiano e multinazionali protagoniste del commercio online e dell’industria. Queste intese si inseriscono in una strategia mirata dove non si punta solo al recupero di imposte evase, ma anche alla definizione di regole certe e prevedibili per il mercato.
In questa cornice, i recenti casi che hanno coinvolto colossi come Amazon e Campari evidenziano il nuovo livello di attenzione dedicato all’economia digitale e ai gruppi industriali con strutture societarie complesse, spesso basate in Lussemburgo e altri Paesi UE.
Le soluzioni negoziate tra Fisco e imprese consentono di chiudere lunghi contenziosi, riducendo le sanzioni e migliorando la certezza giuridica, ma pongono interrogativi sull’equità e l’efficacia del sistema di controllo fiscale.
Il caso che vede protagonista Amazon e l’Agenzia delle Entrate italiana rappresenta un passaggio epocale nella gestione dei contenziosi fiscali con le grandi aziende.
L’accordo raggiunto, ufficializzato a dicembre 2025, prevede il pagamento di 723 milioni di euro suddivisi su tre fronti distinti. La quota principale (511 milioni) deriva da rilievi indirizzati alla holding lussemburghese del gruppo, responsabile – secondo le autorità – di aver omesso la comunicazione delle operazioni IVA effettuate dai venditori terzi tramite la propria piattaforma tra il 2019 e il 2021. Si tratta di una procedura di importanza centrale nella lotta all’evasione su scala paneuropea e rientra nell’ambito delle più recenti normative UE sull’e-commerce.
Gli altri due capitoli dell’accordo, per un totale di 212 milioni di euro, sono relativi a società italiane affiliate – Amazon Logistica e Amazon Italia Transport. L’Agenzia delle Entrate, avvalendosi dei nuclei antifrode, ha condotto accertamenti che hanno portato a definire depotenziate le ipotesi iniziali di evasione. Secondo le fonti investigative, l’intesa consente allo Stato di incassare una somma ben superiore alle precedenti definizioni, senza però arrivare alle cifre miliardarie inizialmente ipotizzate.
Dal punto di vista operativo, il versamento avverrà anche secondo modalità rateali previste dagli strumenti di adesione agevolata alle contestazioni fiscali (vedi D.Lgs. n. 218/1997). Amazon ha dichiarato pubblicamente di voler collaborare in modo trasparente con le istituzioni nazionali, pur riservandosi il diritto di tutelarsi nelle sedi opportune per le eventuali contestazioni penali ancora in corso.
Le ragioni di fondo di tale accordo vanno lette anche alla luce del continuo adattamento delle strategie fiscali adottate dalle multinazionali rispetto a normative nazionali e sovranazionali, in un contesto in cui la crescente digitalizzazione richiede strumenti di controllo sempre più sofisticati.
I principali rilievi mossi dai verificatori italiani hanno riguardato la presunta incompletezza nelle comunicazioni IVA sulle transazioni digitali operanti attraverso la holding lussemburghese del gruppo.
Secondo la normativa europea (Direttiva UE 2017/2455 e successive), i gestori di piattaforme digitali sono obbligati a fornire alle autorità fiscali dettagli precisi sulle operazioni dei venditori terzi. Questo sistema mira a consentire a ogni Stato membro di riscuotere correttamente l’imposta sui volumi generati dai marketplace, limitando le pratiche elusive.
Nel caso di Amazon, le contestazioni traevano origine da un presunto ritardo e dalla mancata completezza nella trasmissione dei flussi di dati IVA relativi al triennio 2019-2021. Tali omissioni, secondo la Guardia di Finanza e la procura di Milano, hanno reso difficile all’Erario ricostruire la massa imponibile riferibile ai venditori terzi, espandendo il rischio di evasione.
La novità dell’approccio normativo sta proprio nell’attribuzione al gestore della piattaforma della responsabilità solidale qualora le informazioni mancanti impediscano l’accertamento nei confronti dei soggetti passivi effettivi. In altri termini: se la piattaforma digitale non comunica dati chiave, può essere chiamata a rispondere anche dell’IVA originariamente dovuta dai suoi clienti-operatori.
Questo assetto regolatorio europeo, adottato anche in Italia tramite la legge di recepimento, mostra come la tecnologia e la tracciabilità digitale possano rafforzare drasticamente la capacità degli Stati di far rispettare i principi di equità fiscale nel mercato unico.
Le indagini fiscali su Amazon hanno toccato un ulteriore aspetto di rilevanza crescente nell’economia digitale: l’eterodirezione digitale dei lavoratori.
Secondo i nuclei antifrode dell’Agenzia delle Entrate, le società italiane Amazon Logistica e Amazon Italia Transport avrebbero impiegato risorse umane secondo modelli organizzativi riconducibili alla regolazione fiscale estera.
In termini tecnici, l’eterodirezione digitale si manifesta quando i lavoratori italiani risultano formalmente inseriti in strutture operative estere, pur svolgendo stabilmente le loro mansioni in Italia. Tale schema può produrre effetti in merito:
Pur avendo scelto la via della negoziazione per risolvere il contenzioso fiscale, Amazon ribadisce la piena collaborazione con il Fisco italiano solo sul piano amministrativo. La posizione assunta nei confronti della giustizia penale rimane invece di ferma difesa.
Amazon sostiene di essere tra i principali contribuenti d’Italia – con investimenti per oltre 25 miliardi di euro e quasi ventimila posti di lavoro creati in quindici anni – ma allo stesso tempo ritiene infondati i profili penali contestati dalla procura milanese relativi a presunte frodi fiscali da più di 1,2 miliardi di euro. La società, come emerso dalle dichiarazioni ufficiali, si oppone con determinazione all’eventualità di misure punitive non proporzionate, evidenziando rischi per l’attrattività dell’Italia come mercato.
Resta dunque aperto il fronte giudiziario: se da un lato il fisco ha visto incassare risorse cospicue, dall’altro l’azione penale prosegue per verificare la reale natura delle operazioni e le responsabilità individuali dei manager indagati.
Questo scenario rende chiaro quanto sia complesso il bilanciamento tra esigenze di controllo, tutela della legalità e attrazione di capitali esteri nell’attuale quadro europeo. Il caso italiano, in questa ottica, rappresenta un precedente rilevante anche per altri Stati membri dell’Unione.
Oltre a quanto accaduto con Amazon, anche Campari si trova al centro di una significativa definizione fiscale con l’Agenzia delle Entrate.
Secondo le indiscrezioni filtrate nei giorni scorsi, la holding lussemburghese Lagfin, che controlla il noto gruppo beverage italiano, avrebbe concordato il pagamento di circa 400 milioni di euro per chiudere un lungo contenzioso. L’origine dell’accertamento si inserisce nello studio approfondito delle operazioni di fusione e trasferimento di asset transnazionali: alla base della contestazione vi era la presunta mancata corresponsione della cosiddetta exit tax in occasione dell’assorbimento di una controllata italiana da parte dell’holding estera.
Per Campari, la soluzione negoziata rappresenta un compromesso tra l’obiettivo di archiviare anni di incertezza fiscale e quello di ridurre l’impatto economico rispetto alle prime ipotesi di contestazione. Pur non raggiungendo i valori delle richieste iniziali – che sarebbero potute risultare molto più onerose – la definizione permette al gruppo di tornare a programmare investimenti su basi più solide.
Le ricadute di questa intesa sono tangibili anche a livello borsistico, con una temporanea volatilità dei titoli seguita dal recupero successivo alla formalizzazione dell’accordo. Da una prospettiva regolamentare, il caso Campari sottolinea la crescente attenzione del Fisco italiano verso operazioni societarie internazionali complesse, specie in presenza di strutture holding ubicate in giurisdizioni a fiscalità agevolata.
Le recenti definizioni concordate con Amazon e Campari producono effetti rilevanti sia per i gruppi coinvolti sia per il sistema Paese.
Per le imprese multinazionali, queste intese rappresentano una strada alternativa a lunghi e costosi procedimenti giudiziari, con benefici in termini di prevedibilità e rapidità di soluzione dei contenziosi.
Dal lato delle istituzioni italiane, la capacità di ottenere versamenti record rafforza il messaggio di una maggiore efficacia del controllo fiscale sulle big tech e sulle holding estere, a vantaggio del gettito pubblico ma anche della reputazione del Paese nella comunità internazionale.
Le aziende devono tuttavia fare i conti con un contesto normativo percepito come incerto: la combinazione di accertamenti fiscali, responsabilità solidale per omissioni altrui e procedimenti penali in parallelo può aumentare il clima di tensione tra controllori e soggetti controllati, influenzando a lungo termine le strategie di investimento.
Le vicende analizzate segnano un crescente impegno dello Stato italiano nella lotta all’evasione fiscale su scala internazionale, grazie anche all’utilizzo delle nuove regole UE sull’economia digitale e al rafforzamento degli strumenti investigativi interni.
Le soluzioni transattive consentono di accelerare la chiusura di contenziosi, riducendo l’onere economico degli accertamenti rispetto alle ipotesi di partenza, ma non eliminano automaticamente i rischi reputazionali e giudiziari per i soggetti coinvolti.
I casi di Amazon e Campari forniscono modelli concreti di adesione agevolata alle contestazioni tributari, sottolineando l’importanza della trasparenza e della prontezza nella comunicazione dei dati fiscali richiesti dalle autorità.
Il futuro del controllo fiscale sulle multinazionali sarà contraddistinto da una sempre maggiore integrazione normativa a livello europeo e dalla ricerca di un punto di equilibrio tra tutela dell’interesse pubblico e mantenimento della competitività economica nazionale. La capacità di evolversi efficacemente su questo terreno sarà uno degli elementi chiave nella relazione tra grandi aziende, investitori esteri e amministrazioni pubbliche nei prossimi anni.