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Buoni Pasto dipendenti pubblici, quando se ne ha diritto dopo 6 ore di lavoro in base sentenza Cassazione n.25525 2025

di Marcello Tansini pubblicato il
Buoni Pasto dipendenti pubblici cassazio

l buoni pasto spettano a tutti i dipendenti pubblici il cui orario di lavoro supera le sei ore e che hanno diritto alla pausa pranzo: a stabilirlo č stata la Corte di Cassazione con la recente sentenza n.25525

L’attribuzione dei buoni pasto nel settore pubblico è stata a lungo oggetto di controversia e interpretazioni diverse, soprattutto nei contesti organizzativi più complessi come quello sanitario. La recente ordinanza della Cassazione, n. 25525/2025, rappresenta un punto di svolta nella disciplina dei diritti dei dipendenti pubblici allo strumento del buono pasto, ponendo le basi per una maggiore uniformità e trasparenza nelle modalità di riconoscimento di questo beneficio.

La disciplina attuale e il funzionamento dei buoni pasto per i dipendenti pubblici

Il sistema dei buoni pasto nel pubblico impiego trae origine sia dal quadro normativo generale che dalla contrattazione collettiva nazionale. La funzione principale di questo strumento non è di natura retributiva, ma assistenziale: i buoni pasto sono destinati a garantire il benessere fisico dei lavoratori pubblici durante la giornata lavorativa, permettendo la consumazione di un pasto adeguato quando l’attività si protrae per molte ore consecutive.

La finalità è favorire il recupero delle energie psicofisiche, migliorando la produttività e tutelando la salute dei dipendenti.

Le regole di attribuzione sono da sempre oggetto di numerose controversie, soprattutto per quanto riguarda i lavoratori turnisti e quelli impegnati in attività che non consentono una ordinaria pausa pranzo. La disciplina attuale impone agli enti di assicurare tale diritto ogniqualvolta la durata della prestazione lavorativa ecceda le sei ore, senza distinzioni basate sulla tipologia di turno o sull’organizzazione interna dei servizi.

Riferimenti normativi principali Ambito di applicazione
Art. 8 D.Lgs. 66/2003 Pausa pranzo oltre le sei ore per tutti i lavoratori pubblici
Art. 29 CCNL comparto sanità 2001 Diritto mensa/alternativa buono pasto

La sentenza Cassazione n. 25525/2025: cosa cambia per i diritti dei lavoratori pubblici

La sentenza n. 25525/2025 della Corte di Cassazione ha di recente stabilito che i buoni pasto spettano a tutti i dipendenti pubblici, anche non turnisti, il cui orario di lavoro superi le sei ore e che hanno diritto alla pausa pranzo.

Secondo quanto spiegato dai giudici, essendo il buono pasto un’agevolazione strettamente connessa alla necessità di effettuare una pausa pranzo, il diritto scatta ogni volta che la prestazione lavorativa giornaliera superi le sei ore. Pertanto, se un dipendente pubblico lavora per più di sei ore in un giorno e il suo contratto gli riconosce il diritto a una pausa per il pranzo, allora ha anche diritto a ricevere il buono.

Fino a poco tempo fa, molte amministrazioni pubbliche tendevano a limitare il beneficio a chi svolgeva orari spezzati o lavorava su turni non continuativi, escludendo invece infermieri, medici e tecnici con orari prolungati e privi di pausa formale.

La vertenza all’esame della Cassazione riguardava proprio alcune figure professionali sanitarie che, a causa dell’organizzazione del servizio, non riuscivano ad accedere in modo tradizionale alla mensa, nonostante l’orario giornaliero ben superiore alle sei ore. La Corte ha affermato:

  • Superamento della distinzione tra turnisti e non turnisti: la durata dell’orario è l’unico criterio per il riconoscimento del buono pasto.
  • Principio di automaticità: lavorare più di sei ore giornaliere fa sorgere il diritto alla pausa e, conseguentemente, al buono pasto, anche in forma sostitutiva, se non è fruibile la mensa.
  • Valorizzazione della funzione assistenziale: il beneficio ha natura assistenziale e non entra nella retribuzione, non può essere limitato da regolamenti interni aziendali più restrittivi.
Nel caso giudicato, i lavoratori turnisti hanno ottenuto il riconoscimento degli arretrati per i buoni pasto non percepiti. Di rilievo anche la conferma del principio secondo cui il benefit non è monetizzabile, ma in caso di mancata erogazione si può agire per il risarcimento del danno, parametrato al valore del ticket non assegnato.

La pausa pranzo dopo sei ore di lavoro: requisiti, modalità e implicazioni pratiche

L’aspetto chiave della sentenza è la definizione dei requisiti per il diritto alla pausa pranzo e al relativo buono pasto nel settore pubblico. Secondo la normativa vigente, la pausa si rende obbligatoria e “qualificante” ai fini del diritto all’agevolazione, quando le ore di lavoro consecutive superano la soglia minima di sei.

  • Condizione necessaria: superamento delle sei ore di lavoro effettivo nella giornata.
  • Pausa effettiva: l’interruzione di servizio deve essere reale; se non viene fruita per ragioni organizzative, si ha comunque diritto alla soluzione sostitutiva come il ticket.
  • Durata della pausa: i contratti collettivi possono prevedere pause di almeno 10 o 30 minuti, in base all’articolazione dell’orario.
È rilevante sottolineare che il semplice “andarsene” dopo sei ore senza effettuare la pausa né rientrare al lavoro non consente di maturare il beneficio. Spetta invece a chi, anche solo per pochi minuti, rientra dopo la pausa per il proseguimento della propria attività.

Turnisti e non turnisti: superamento della distinzione ai fini del diritto al buono pasto

Molte amministrazioni pubbliche fino ad oggi hanno differenziato fra personale turnista e non turnista nella concessione dei buoni pasto, sostenendo che solo chi svolgeva orario spezzato potesse legittimamente fruire del beneficio.

La decisione della Cassazione pone termine a questa distinzione, stabilendo alcuni punti fermi:

  • Uniformità di trattamento: la fruizione della pausa (quando l’orario supera sei ore) è l’unico elemento rilevante, a prescindere dalla natura del turno.
  • Rilevanza delle condizioni di lavoro: chi, per esigenze di continuità assistenziale o organizzativa, non può usufruire della mensa, matura automaticamente il diritto alla soluzione alternativa prevista.
  • Eliminazione di discriminazioni interne: tutte le differenze legate a regolamenti aziendali sono superate, garantendo equità di trattamento a tutto il personale.
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