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Quando si puņ licenziare un dipendente? I motivi legittimi e la giusta causa

di Luigi Mannini pubblicato il
aggiornato con informazioni attualizzate il
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Un'analisi dei motivi validi di quando si puņ licenziare un dipendente sia per il licenziamento per giusta causa sia per altre ragioni

Il licenziamento disciplinare è un provvedimento che il datore di lavoro può adottare nei confronti del dipendente che viola gravemente gli obblighi contrattuali o che commette comportamenti incompatibili con la prosecuzione del rapporto lavorativo. Esistono diverse tipologie di licenziamento disciplinare, classificate in base alla gravità della condotta e alle conseguenze sul rapporto di lavoro.

Licenziamento per giusta causa: la forma più grave

Il licenziamento per giusta causa è disciplinato dall'art. 2119 del Codice Civile, che recita: "Ciascuno dei contraenti può recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto è a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto è a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto".

Secondo la giurisprudenza di legittimità, la giusta causa si sostanzia in un inadempimento talmente grave che qualsiasi altra sanzione diversa dal licenziamento risulterebbe insufficiente a tutelare l'interesse del datore di lavoro. Si tratta quindi della forma più severa di licenziamento disciplinare, che comporta l'interruzione immediata del rapporto di lavoro senza preavviso (il cosiddetto "licenziamento in tronco").

Caratteristiche essenziali del licenziamento per giusta causa

Affinché il licenziamento per giusta causa sia legittimo, la condotta del lavoratore deve:

  • Compromettere irreparabilmente il rapporto fiduciario con il datore di lavoro
  • Essere di tale gravità da non consentire la prosecuzione nemmeno temporanea del rapporto
  • Rappresentare una violazione significativa degli obblighi contrattuali o delle norme di correttezza e buona fede
A differenza del licenziamento per giustificato motivo soggettivo, che prevede un periodo di preavviso, il licenziamento per giusta causa ha effetto immediato e non dà diritto all'indennità sostitutiva del preavviso.

Esempi concreti di giusta causa di licenziamento

Le situazioni che possono legittimare un licenziamento per giusta causa sono numerose. Ecco le più comuni:

  • Insubordinazione grave verso i superiori gerarchici, incluse minacce o violenze
  • Furto o danneggiamento intenzionale di beni aziendali, indipendentemente dal valore economico
  • Falsificazione di documenti aziendali o certificati medici
  • Abbandono ingiustificato del posto di lavoro in situazioni critiche
  • Violazione del patto di non concorrenza o divulgazione di informazioni riservate
  • Utilizzo fraudolento dei permessi (ad esempio quelli previsti dalla Legge 104)
  • Comportamenti che danneggiano gravemente l'immagine o la reputazione dell'azienda
  • Condotte extralavorative penalmente rilevanti che incidono sul rapporto fiduciario

Licenziamento per giustificato motivo soggettivo, una forma meno severa

Il licenziamento per giustificato motivo soggettivo rappresenta una sanzione disciplinare meno grave rispetto alla giusta causa. Come stabilito dall'art. 3 della Legge n. 604/1966, si verifica in caso di "notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro".

La principale differenza consiste nel fatto che, pur essendo grave, l'inadempimento non impedisce la prosecuzione temporanea del rapporto di lavoro. Di conseguenza, il dipendente ha diritto al periodo di preavviso o all'indennità sostitutiva corrispondente.

Quando si configura il giustificato motivo soggettivo

Questo tipo di licenziamento disciplinare può essere applicato in diverse situazioni, tra cui:

  • Scarso rendimento del lavoratore
  • Violazioni meno gravi degli obblighi contrattuali
  • Comportamenti negligenti che arrecano danni all'azienda
  • Assenze ingiustificate ripetute ma non continuative
  • Mancato rispetto delle direttive aziendali
La valutazione della gravità dell'inadempimento deve tener conto di molteplici fattori, tra cui la portata oggettiva e soggettiva della condotta, il contesto in cui è avvenuta e l'intensità dell'elemento intenzionale.

La procedura disciplinare: requisiti fondamentali

Per garantire la legittimità del licenziamento disciplinare, il datore di lavoro deve rispettare una specifica procedura, prevista dall'art. 7 dello Statuto dei Lavoratori (Legge n. 300/1970):

  1. Contestazione dell'addebito: il datore di lavoro deve contestare in forma scritta e specifica i fatti addebitati al lavoratore
  2. Diritto di difesa: il dipendente ha diritto di presentare le proprie giustificazioni entro i termini previsti (generalmente 5 giorni)
  3. Valutazione delle giustificazioni: il datore di lavoro deve esaminare le difese del lavoratore
  4. Comunicazione del provvedimento: in caso di licenziamento, questo deve essere comunicato in forma scritta, indicando i motivi specifici
Il mancato rispetto di questa procedura può comportare l'illegittimità del licenziamento, indipendentemente dalla fondatezza degli addebiti contestati.

L'immediatezza della contestazione

Un elemento cruciale della procedura disciplinare è la tempestività della contestazione. La giurisprudenza ha chiarito che la contestazione deve essere formulata in un tempo ragionevolmente breve rispetto al momento in cui il datore di lavoro è venuto a conoscenza del fatto contestato. Un ritardo eccessivo e ingiustificato può far presumere la scarsa rilevanza disciplinare dell'addebito.

Questa tempestività deve essere valutata tenendo conto della complessità dell'organizzazione aziendale e della necessità di accertare i fatti in modo adeguato, soprattutto quando coinvolgono più persone o richiedono indagini approfondite.

Come impugnare un licenziamento disciplinare

Il lavoratore che ritiene illegittimo il licenziamento disciplinare può impugnarlo entro 60 giorni dalla sua comunicazione. L'impugnazione può avvenire in forma stragiudiziale (ad esempio con una lettera raccomandata) e deve essere seguita, entro 180 giorni, dal deposito del ricorso in tribunale o dalla comunicazione alla controparte della richiesta di tentativo di conciliazione.

Motivi di impugnazione del licenziamento

I principali motivi per cui un licenziamento disciplinare può essere considerato illegittimo sono:

  • Insussistenza del fatto contestato al lavoratore
  • Sproporzione tra la sanzione irrogata e la gravità della condotta
  • Violazione della procedura disciplinare
  • Contestazione tardiva o generica dell'addebito
  • Esistenza di una previsione nel contratto collettivo che punisce il comportamento con una sanzione conservativa

L'onere della prova nel licenziamento disciplinare

In caso di contestazione, è il datore di lavoro a dover provare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo soggettivo di licenziamento. Questo principio, stabilito dall'art. 5 della Legge n. 604/1966, pone a carico del datore l'onere di dimostrare l'effettiva esistenza dei fatti contestati e la loro gravità.

Il giudice del lavoro valuterà poi la proporzionalità tra i fatti e la sanzione irrogata, tenendo conto di tutti gli elementi del caso concreto, incluso il contesto lavorativo, l'anzianità di servizio del dipendente e i suoi precedenti disciplinari.

Le conseguenze dell'illegittimità del licenziamento disciplinare

La tutela prevista in caso di licenziamento disciplinare illegittimo varia in base alle dimensioni dell'azienda e alla data di assunzione del lavoratore.

Regimi di tutela dopo la riforma del Jobs Act

Le riforme introdotte dal Jobs Act (D.Lgs. n. 23/2015) hanno significativamente modificato le tutele per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015. Attualmente, esistono quattro diversi regimi di tutela:

  • Per i lavoratori assunti prima del 7 marzo 2015 presso aziende con più di 15 dipendenti (o più di 5 nel caso di imprese agricole, o più di 60 in totale), si applica l'art. 18 dello Statuto dei Lavoratori come modificato dalla Legge Fornero (L. n. 92/2012)
  • Per i lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015 presso aziende con dimensioni superiori ai limiti sopra indicati, si applica il regime previsto dal D.Lgs. n. 23/2015
  • Per i lavoratori delle piccole imprese assunti prima del 7 marzo 2015, si applica la tutela obbligatoria prevista dall'art. 8 della L. n. 604/1966
  • Per i lavoratori delle piccole imprese assunti dopo il 7 marzo 2015, si applica il regime previsto dall'art. 9 del D.Lgs. n. 23/2015

Reintegrazione o indennità: quali tutele per il lavoratore

In base al regime applicabile, il lavoratore illegittimamente licenziato può ottenere:
  • La reintegrazione nel posto di lavoro, nei casi di licenziamento nullo, discriminatorio o nelle specifiche ipotesi previste dalla legge (come l'insussistenza del fatto contestato)
  • Un'indennità risarcitoria, il cui importo varia in base all'anzianità di servizio e ad altri fattori previsti dalla normativa applicabile
Nel caso dei lavoratori assunti dopo il 7 marzo 2015, le possibilità di reintegrazione sono state significativamente ridotte, mentre è stata ampliata la tutela indennitaria. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 194/2018, ha peraltro dichiarato incostituzionale la previsione di un'indennità calcolata esclusivamente in base all'anzianità di servizio, stabilendo che il giudice deve considerare anche altri fattori come il comportamento delle parti e le dimensioni dell'azienda.

In caso di licenziamento disciplinare c'è la NASpI

Un aspetto spesso trascurato riguarda il diritto alla NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l'Impiego) in caso di licenziamento disciplinare. Il lavoratore licenziato per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo ha diritto a percepire l'indennità di disoccupazione, poiché si tratta comunque di una cessazione involontaria del rapporto di lavoro.

Per accedere alla NASpI, il lavoratore deve possedere i seguenti requisiti:

  • Stato di disoccupazione involontaria
  • Almeno 13 settimane di contribuzione nei quattro anni precedenti l'inizio della disoccupazione
  • Almeno 30 giornate di lavoro effettivo nei dodici mesi precedenti l'inizio della disoccupazione
Nel caso di licenziamento per giusta causa, l'indennità decorre dal trentesimo giorno successivo alla data di cessazione del rapporto di lavoro, anziché dall'ottavo giorno come previsto per le altre ipotesi di licenziamento.

Recenti orientamenti giurisprudenziali sul licenziamento disciplinare

La giurisprudenza recente ha fornito importanti chiarimenti su diversi aspetti del licenziamento disciplinare, contribuendo a delineare con maggiore precisione i confini della legittimità di tale provvedimento.

Il licenziamento per fatti extralavorativi

La Corte di Cassazione ha stabilito che anche comportamenti tenuti al di fuori dell'orario e del luogo di lavoro possono legittimare un licenziamento disciplinare, quando incidono sul rapporto fiduciario. In particolare, la sentenza n. 14114/2023 ha chiarito che la commissione di gravi reati, anche risalenti nel tempo, può costituire giusta causa di licenziamento se compromette la fiducia del datore di lavoro, soprattutto quando il dipendente è a contatto con il pubblico.

Licenziamento e utilizzo dei social network

Un tema di crescente rilevanza riguarda il licenziamento per comportamenti tenuti sui social media. La Cassazione, con sentenza n. 27939/2021, ha ritenuto legittimo il licenziamento per giusta causa di un lavoratore che aveva pubblicato contenuti gravemente offensivi nei confronti dei superiori gerarchici e dei vertici aziendali su profili social senza limitazioni di accesso.

Tuttavia, con la recente ordinanza n. 5334/2025, la Suprema Corte ha precisato che i messaggi scambiati in chat private, come gruppi WhatsApp tra colleghi, godono delle garanzie di libertà e segretezza della corrispondenza previste dall'art. 15 della Costituzione, e non possono quindi costituire giusta causa di licenziamento.

Proporzionalità della sanzione espulsiva

Un principio fondamentale ribadito dalla giurisprudenza è quello della necessaria proporzionalità tra la condotta del lavoratore e la sanzione irrogata. La Corte di Cassazione ha più volte sottolineato che il licenziamento disciplinare, essendo la sanzione più grave, deve essere riservato a comportamenti di particolare gravità.

Ad esempio, con la sentenza n. 14667/2025, la Cassazione ha ritenuto proporzionato il licenziamento in tronco di un dipendente che aveva insultato il datore di lavoro, riconoscendo la gravità del comportamento e l'irrimediabile frattura del vincolo fiduciario, nonostante vi fosse stata una provocazione.

Come evitare controversie sul licenziamento disciplinare

Per ridurre il rischio di contenziosi, è fondamentale che il datore di lavoro adotti alcune precauzioni nella gestione dei procedimenti disciplinari:

  • Adeguata pubblicità del codice disciplinare, che deve essere affisso in luogo accessibile a tutti i lavoratori
  • Contestazione tempestiva, specifica e dettagliata degli addebiti, con indicazione precisa dei fatti contestati
  • Rispetto rigoroso della procedura prevista dall'art. 7 dello Statuto dei Lavoratori
  • Valutazione attenta della proporzionalità tra la condotta contestata e la sanzione da irrogare
  • Considerazione dei precedenti disciplinari del lavoratore e della sua anzianità di servizio
  • Raccolta di prove concrete e documentali a supporto degli addebiti contestati
Queste accortezze non solo riducono il rischio di vedere invalidato il licenziamento, ma contribuiscono anche a creare un clima di trasparenza e correttezza nei rapporti di lavoro.

Per concludere, quando il licenziamento disciplinare è realmente legittimo?

Per capire quando un licenziamento disciplinare è legittimo, occorre considerare molteplici fattori:

  • La gravità oggettiva e soggettiva della condotta del lavoratore
  • L'impatto sul rapporto fiduciario tra le parti
  • La proporzionalità tra il comportamento contestato e la sanzione irrogata
  • Il rispetto della procedura disciplinare prevista dalla legge
  • La conformità alle previsioni del contratto collettivo applicabile
In definitiva, il licenziamento disciplinare rappresenta l'ultima ratio a disposizione del datore di lavoro e, proprio per questo, può essere legittimamente irrogato solo in presenza di comportamenti particolarmente gravi che compromettono irrimediabilmente il rapporto fiduciario tra le parti.

La valutazione della legittimità del licenziamento disciplinare deve sempre basarsi su un'analisi concreta e specifica del caso, considerando non solo gli aspetti formali della procedura, ma anche la sostanza dei fatti contestati e la loro effettiva gravità nel contesto lavorativo specifico. Nei casi più complessi, occorre valutare se si può licenziare senza dare nessun preavviso anche con un contratto a tempo indeterminato o se l'errore sul lavoro può portare al licenziamento e quali conseguenze può avere.

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