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Ci sono limiti ai prelievi bancomat e regole da seguire per non rischiare controlli fiscali?

di Chiara Compagnucci pubblicato il
Ci sono limiti ai prelievi bancomat

Il prelievo di contante è quindi monitorato in ottica preventiva: non viene sanzionato di per sé, ma può insospettire il Fisco.

Anche i prelievi in contanti dal bancomat sono finiti sotto la lente di ingrandimento delle autorità. In Italia, non esiste un limite di legge assoluto che impedisca ai cittadini di prelevare somme elevate dal proprio conto. Non significa che si possa agire con totale disinvoltura. La normativa antiriciclaggio e le disposizioni del Fisco impongono limiti indiretti, che è bene conoscere per evitare segnalazioni e controlli.

A livello pratico, è legale prelevare 2.000, 5.000 o anche 10.000 euro in una sola volta o in più operazioni. Ma se la soglia di 10.000 euro mensili complessivi viene superata, scatta l'obbligo per le banche di effettuare una comunicazione all'Unità di Informazione Finanziaria. Questo tipo di segnalazione, pur non equivalendo a una denuncia, è un campanello d'allarme che può spingere l'Agenzia delle entrate a effettuare accertamenti successivi. Andiamo oltre per approfondire:

  • Limiti prelievi bancomat, controlli, banche, cosa succede davvero
  • Come tutelarsi fra buonsenso, documenti e tracciabilità

Limiti prelievi bancomat, controlli, banche, cosa succede davvero

Molti cittadini si chiedono: "Se i soldi sono miei, perché dovrei preoccuparmi di un controllo per averli prelevati?" La risposta sta tutta i un principio della normativa fiscale italiana: la tracciabilità. Il legislatore non vieta l'uso del contante, ma ne scoraggia l'utilizzo per somme elevate proprio per evitare il rischio che tali fondi siano destinati a operazioni in nero o a fini illeciti.

Da parte loro le banche italiane impongono limiti tecnici e contrattuali ai prelievi con bancomat, stabilendo soglie giornaliere e mensili che variano da istituto a istituto. Di solito si parla di limiti compresi tra i 500 e i 1.000 euro giornalieri, con soglie mensili che possono arrivare fino a 3.000 o 5.000 euro, soprattutto per conti business o carte premium.

Oltre a questi aspetti tecnici, va ricordato che ogni operazione finanziaria viene registrata e, se ritenuta anomala, può essere oggetto di analisi da parte del sistema antiriciclaggio. È qui che entrano in gioco i criteri di sospetto: prelievi frequenti, ingenti o scollegati da evidenti necessità possono alimentare sospetti da parte degli operatori bancari, i quali sono tenuti per legge a segnalare le cosiddette operazioni sospette. Queste vengono poi inoltrate alla UIF per ulteriori valutazioni, che possono sfociare in verifiche fiscali.

Come tutelarsi fra buonsenso, documenti e tracciabilità

L'elemento decisivo, in caso di controlli, non è tanto la cifra in sé quanto la capacità di dimostrare come quei soldi siano stati usati. Se un contribuente preleva 9.000 euro e li utilizza per pagare in contanti un artigiano, un acquisto o un regalo, ma non possiede alcuna ricevuta o giustificazione, si espone al rischio che l'Agenzia delle entrate consideri quel denaro come speso in nero, magari per attività non dichiarate. Da qui possono scaturire accertamenti per redditi non dichiarati o per spese non coerenti con il reddito ufficiale.

Il consiglio più utile rimane quello di mantenere una documentazione coerente: scontrini, ricevute, bonifici compensativi, dichiarazioni scritte, se necessario. Anche solo una semplice autodichiarazione può aiutare a ricostruire la logica del prelievo in caso di domande da parte dell'autorità fiscale.

Va ricordato che per spese superiori a 5.000 euro il pagamento in contanti è comunque vietato dalla legge, e chi effettua un acquisto in violazione di questo limite rischia sanzioni importanti. Frazionare il pagamento per aggirare la soglia legale è considerato un comportamento illecito e può peggiorare ulteriormente la posizione del contribuente.

Anche in caso di donazioni o prestiti tra privati, è raccomandabile non affidarsi al contante ma optare per un bonifico tracciabile, eventualmente corredato da una causale chiara. Questo tipo di operazioni, se non documentate, sono tra le prime che l'Agenzia delle entrate contesta in sede di accertamento.

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