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Ci sono terre rare in Italia? Quali sono, dove si trovano e se rappresentano una reale ricchezza

di Chiara Compagnucci pubblicato il
Ricchezza potenziale e realtŕ operative

Secondo quanto rilevato dall'Ispra, in Italia sono stati censiti giacimenti di almeno 16 delle 34 materie prime critiche individuate dall'Unione europea.

Con l'espressione terre rare si indicano 17 elementi chimici appartenenti alla tavola periodica, fondamentali per la produzione di tecnologie moderne come auto elettriche, turbine eoliche, smartphone, batterie e dispositivi medicali avanzati. Il nome è in realtà fuorviante: le terre rare non sono così rare in natura, ma lo è la possibilità di estrarle in modo economicamente vantaggioso e ambientalmente sostenibile. Da qui il problema: la loro disponibilità è concentrata in pochi Paesi, con la Cina che controlla circa il 90% della produzione mondiale.

In questo contesto, anche l'Europa ha deciso di correre ai ripari, avviando una mappatura delle materie prime critiche nei suoi territori. Tra i Paesi che stanno cercando di capire se possono giocare un ruolo in questo campo c'è anche l'Italia, la cui ricchezza geologica è spesso passata inosservata ma che, come vedremo, cela potenzialità non trascurabili:

  • La mappa italiana delle terre rare
  • Tra ricchezza potenziale e realtà operative

La mappa italiana delle terre rare

Secondo quanto rilevato dall'Ispra, in Italia sono stati censiti giacimenti di almeno 16 delle 34 materie prime critiche individuate dall'Unione europea. Si tratta di sostanze come litio, titanio, cobalto, grafite, fluoro, berillio, nichel e altri metalli rari o strategici, utilizzati in settori ad alta tecnologia e difficili da sostituire. Le aree interessate si trovano distribuite lungo tutta la penisola, ma si concentrano soprattutto in alcune regioni: Sardegna, Toscana, Lazio, Liguria, Piemonte e le Alpi orientali.

In Sardegna sono stati individuati giacimenti di cobalto e grafite, due elementi centrali per la produzione di batterie e componenti elettronici. La Toscana e il Lazio si distinguono per la presenza di litio nei fluidi geotermici. In Liguria, all'interno del Parco del Beigua, si trova un importante deposito di titanio, elemento chiave per l'aerospazio e le leghe leggere, anche se lo sfruttamento è bloccato dal fatto che l'area è un sito Unesco e protetto come geoparco.

Nelle Alpi studi preliminari segnalano la possibilità di estrazione di niobio e terre rare leggere, anche se al momento non sono state avviate attività industriali. In Piemonte, in particolare nella zona del Biellese e del Vercellese, si trovano formazioni che contengono elementi rari nei depositi di bauxite e nei minerali accessori delle rocce metamorfiche.

Tra ricchezza potenziale e realtà operative

Sulla carta l'Italia non è priva di terre rare. Alcune fonti stimano che nel sottosuolo nazionale si trovino circa tremila siti potenzialmente sfruttabili, sebbene pochissimi siano oggi in fase di valutazione avanzata. Ma allora, perché non esiste alcuna miniera attiva? Il motivo è duplice: da un lato vi sono ostacoli tecnici ed economici, dall'altro emergono complessità ambientali e normative che rallentano o impediscono del tutto le attività estrattive.

Il primo grande ostacolo riguarda l'elevato costo delle tecnologie necessarie per estrarre e raffinare questi metalli, spesso legati a strutture cristalline complesse che richiedono processi chimici altamente inquinanti. Il secondo ostacolo è la tutela del paesaggio e dell'ambiente, aspetto fondamentale in un Paese come l'Italia, dove molti giacimenti si trovano in aree protette, parchi naturali o zone di interesse archeologico e paesaggistico. Ne è un esempio il giacimento di titanio nel Parco del Beigua, la cui estrazione solleva numerose preoccupazioni anche tra gli ambientalisti e gli enti locali.

Infine, c'è un fattore geopolitico e industriale: per trasformare questi depositi in una vera ricchezza economica, servirebbero investimenti pubblici e privati consistenti, ma soprattutto una filiera industriale a valle, capace di utilizzare i minerali estratti per la produzione di componenti elettronici, batterie o leghe speciali. Senza questa filiera, il rischio è quello di estrarre risorse che poi vengono comunque esportate a basso valore aggiunto, senza generare occupazione e sviluppo sul territorio.