La Cassazione chiarisce quando vendere o comprare beni da collezione non equivale ad agire come impresa e non comporta obblighi fiscali. Collezionismo, speculazione, nuovi criteri giuridici.
L'universo dei collezionisti è entrato negli ultimi anni nel vivo dell'attenzione giurisprudenziale e fiscale, soprattutto a seguito di recenti pronunce della Corte di Cassazione. La vendita di beni da parte di privati ha sollevato interrogativi sulla differenza tra mera dismissione patrimoniale e vera e propria attività imprenditoriale.
La giurisprudenza ha chiarito che il solo fatto di vendere oggetti accumulati per passione non trasforma il privato in imprenditore, escludendo, in assenza di sistematicità e organizzazione, l'imposizione di imposte tipiche dell'attività d'impresa. Questa posizione, confermata da più sentenze, si fonda sul rispetto della capacità contributiva e sull'esigenza di tutelare la sfera patrimoniale privata nei limiti in cui siano assenti finalità speculative organizzate.
Per qualificare le vendite di beni da collezione effettuate da privati, le autorità fiscali hanno spesso provato a ricondurle all'attività imprenditoriale, mirando all'applicazione di imposte quali Iva, Irap e Irpef. Tuttavia, la giurisprudenza, anche di legittimità, ha ribadito che il semplice numero di transazioni o la loro frequenza in periodi ristretti non costituiscono elementi sufficienti per attribuire natura imprenditoriale a tali attività. La regola generale distingue tra godimento personale e scopo di lucro: laddove il collezionista venda oggetti accumulati nel tempo per passione, si tratta di dismissione patrimoniale e non di attività commerciale.
In questi casi la componente fiscale è irrilevante, poiché manca l'elemento speculativo e il bene non è stato acquistato per essere rivenduto, ma per essere conservato. Soltanto la presenza di una vera e propria organizzazione, con mezzi, risorse e finalità commerciali costanti, fa scattare la definizione di impresa ai fini tributari.
Un caso esemplare riguarda il collezionista di moto d'epoca, oggetto di indagine da parte dell'Agenzia delle Entrate per svariati atti di vendita. La Commissione tributaria ha distinto nettamente tra le vendite di moto (frutto di passione e necessità personali: spese mediche, sostegno ai familiari) e quelle di autovetture, dove sono emersi elementi di ripetitività e intenti diversi. Nel primo caso, le cessioni sono state ritenute esenti da tassazione per la mancanza di un disegno di lucro o continuità. Per le auto, si è invece considerata l'occasionalità della speculazione, applicando il regime dei redditi diversi.
Un passaggio chiave resta la necessità, per il contribuente, di dimostrare le cause personali e contingenti che giustificano le vendite. Le esigenze straordinarie della vita, documentate con precisione, suffragano la tesi della dismissione patrimoniale e smontano l'ipotesi dell'attività imprenditoriale, anche in presenza di numerose vendite in un arco di tempo limitato.
La tripartizione degli operatori nel mercato dell'arte e del collezionismo è un elemento per delineare i relativi trattamenti fiscali:
La differenza tra collezionismo e attività commerciale si apprezza anche in relazione a casi emblematici decisi in sede giudiziaria, come il caso Monet (sentenza Cass. Civ. n. 19363/2024): la vendita di un'opera detenuta per sette anni ma precedentemente concessa a mostre e affidata in vendita a una casa d'aste, in presenza di analoghe operazioni precedenti e successive, ha fatto propendere la Corte per un intento speculativo. Al contrario, nel noto caso De Chirico (Commissione Tributaria Regionale di Trento n. 59/2019), la lunga detenzione (dieci anni), l'assenza di attività promozionali e la vendita dovuta alla necessità di divisione ereditaria hanno portato a escludere l'imponibilità.
Tracciare la linea divisoria tra chi aliena beni artistici per necessità e chi lo fa per guadagno è da sempre materia di analisi giurisprudenziale complessa. La variabilità delle condizioni personali e delle motivazioni dell'operazione comporta una valutazione indiziaria, fondata su indici gravi, precisi e concordanti.
Tra gli elementi utilizzati dai giudici troviamo:
Se nella maggior parte dei casi il collezionista è escluso da tassazione, la posizione del cosiddetto speculatore occasionale assume rilievo fiscale specifico. L'articolo 67 del TUIR disciplina i redditi diversi identificando fra essi le plusvalenze derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente. In questa situazione è tassata solo la differenza tra prezzo di acquisto e di vendita, senza l'assoggettamento ai regimi d'impresa o alle imposte tipiche dell'attività imprenditoriale (Iva e Irap).
È importante rilevare che la tassazione è limitata e specifica: l'esigibilità fiscale sorge solo laddove sia accertabile la finalità speculativa e manchi l'organizzazione imprenditoriale. Il trattamento differenziato riflette la volontà di colpire soltanto gli arricchimenti occasionali da attività commerciali saltuarie e non la semplice alienazione di bene posseduto a lungo per uso personale.
Nelle compravendite occasioni, i contribuenti non sono tenuti agli adempimenti dichiarativi delle imprese e, in particolare, sono esonerati da Iva e Irap. Tuttavia, l'eventuale mancata dichiarazione della plusvalenza può dare luogo a sanzioni rilevanti, specie se l'operazione supera determinati valori o sia oggetto di attenzionamento da parte delle Autorità fiscali, anche in virtù delle nuove regole sulle piattaforme digitali (Direttiva DAC7).
La Legge 111/2023 ha introdotto, con la delega al Governo, la prospettiva di una regolamentazione dettagliata sulle plusvalenze derivanti dalla cessione di oggetti da collezione, arte e antiquariato, escludendo dall'imposizione i casi privi di intento speculativo, inclusi quelli per successione o donazione. L'obiettivo è invertire il principio vigente: saranno tassate tutte le cessioni salvo prova contraria sull'assenza di finalità speculative, ponendo a carico del contribuente l'onere di dimostrare la natura non speculativa dell'operazione: