Dopo trent’anni, i dipendenti Benetton sono tornati a scioperare ieri luned 27 ottobre 2025: tra contratti di solidarietà, tensioni sindacali e crisi aziendali, si analizzano cause, reazioni e possibili scenari futuri per lavoratori e azienda.
Ieri lunedì 27 ottobre, si è registrata una giornata che segna un punto di svolta nella storia recente della Benetton: i dipendenti del polo produttivo di Castrette di Villorba (Treviso) hanno aderito in massa a una mobilitazione, segnando il ritorno delle proteste sindacali dopo oltre tre decenni di dialogo stabile tra le parti. Per comprendere l’eccezionalità dell’evento, basta ricordare che il gruppo, nato come emblema dell’abbigliamento accessibile e innovativo, era rimasto immune a scioperi prolungati sin dagli anni Ottanta.
Il contesto che ha portato a questo sciopero è segnato da un progressivo deterioramento delle condizioni di confronto tra azienda e sindacati, con la decisione unilaterale di applicare una misura straordinaria di contratti di solidarietà a una parte rilevante dei dipendenti.
Il significato della protesta va oltre la semplice rivendicazione salariale: la tensione evidenzia le crescenti incertezze nel settore del fast fashion e sottolinea le ripercussioni di strategie industriali sempre più orientate alla riduzione dei costi.
Al centro della protesta che ha portato a un’ampia adesione vi è stata la repentina estensione dei contratti di solidarietà nella misura del 90% a 80 lavoratori. Questa decisione ha impattato direttamente la vita professionale di molti, costringendo a una drastica riduzione delle ore lavorate – un solo giorno ogni dieci – e creando una sensibile diminuzione delle retribuzioni. Tali contratti, strumenti previsti dalla legislazione italiana per evitare licenziamenti collettivi, coinvolgono la riduzione dell’orario con una compensazione solo parziale da parte dell’INPS.
I sindacati non hanno contestato l’uso dello strumento in sé, già oggetto di un accordo a inizio anno, ma soprattutto la modalità di comunicazione: la scelta di inviare una mail ai lavoratori interessati, senza alcun preavviso e bypassando i tavoli di confronto, ha segnato una rottura nei rapporti consolidati di fiducia.
Ulteriore motivo di attrito è nella mancata applicazione di criteri di rotazione tra tutto il personale, fattore ritenuto invece decisivo per distribuire equamente i sacrifici. Più che la misura economica, dunque, è emersa una forte critica verso un metodo gestionale percepito come divisivo e lesivo della dignità professionale.
Questa dinamica è stata aggravata dalla sospensione degli incentivi all’esodo volontario e delle modalità precedenti di gestione del personale, elementi che secondo le rappresentanze sindacali rappresentavano una forma di tutela e garanzia almeno parziale per lavoratori soggetti a politiche di riorganizzazione
L’astensione dal lavoro di due ore per turno, articolata lungo l’arco dell’intera giornata, ha coinvolto la quasi totalità dei reparti dello stabilimento trevigiano, evidenziando un’adesione superiore al 70% tra i circa 700 dipendenti. Nel piazzale della fabbrica, quindi ai margini della strada provinciale “Postumia”, centinaia di persone hanno dato vita a sit-in ordinati ma determinati, sottolineando la coesione e la trasversalità della protesta.
La mobilitazione si è caratterizzata per la varietà di partecipanti, includendo sia lavoratori direttamente colpiti dai contratti di solidarietà sia colleghi solidali con la richiesta di maggior dialogo e trasparenza. La presenza di circa 350 persone nel turno mattutino, estesa anche ai successivi turni, ha ridotto sensibilmente la capacità produttiva giornaliera dello stabilimento, senza tuttavia degenerare in episodi conflittuali.
Nel corso della giornata, la visibilizzazione della protesta con cartelli dal messaggio chiaro – "Dividere i lavoratori non salva l’azienda" – ha contribuito a rafforzare l’impatto simbolico e mediatico dell’azione collettiva. È opportuno sottolineare che alla mobilitazione si sono affiancate anche componenti in somministrazione e personale in scadenza di contratto, estendendo la platea degli interessati alle sorti occupazionali future.
La conduzione della mobilitazione ha visto l’impegno diretto delle maggiori sigle del comparto tessile: Filctem Cgil, Femca Cisl, Uiltec Uil. Le rappresentanze hanno enfatizzato la necessità di maggior coinvolgimento nelle scelte che impattano sull’intero organico, reclamando un ritorno alla prassi del confronto preventivo.
In particolare, i sindacati hanno sottolineato come l’imposizione dei contratti di solidarietà senza una previa trattativa abbia minato la legittimità e la credibilità della relazione sindacale.
I principali punti delle richieste sindacali si articolano come segue:
Il gruppo di Ponzano Veneto, dopo anni di relazioni sindacali considerate corrette dal settore, si è trovato a gestire un’improvvisa impennata della tensione. L’azienda ha giustificato la scelta dei contratti di solidarietà e la loro tempestiva applicazione con il drastico calo degli ordini e dei fatturati, presentando la misura come temporanea e necessaria, con il sostegno della disciplina vigente sulle crisi aziendali.
L’attuale struttura industriale risulta più snella, ma anche meno trasparente nelle strategie a medio termine, generando incertezza sia nelle maestranze sia tra i rappresentanti sindacali.
Il contesto economico nel quale si è sviluppata la vertenza è segnato da una profonda crisi del modello di business originario. Dal 2012, il gruppo ha visto un dimezzamento del fatturato, passando da circa 2 miliardi di euro agli attuali valori inferiori al miliardo.
Nel solo primo semestre del 2025, il valore dei ricavi si è attestato su 279 milioni di euro, in calo rispetto ai 296 dell’anno precedente. Benché le perdite siano diminuite da 66,5 a 37 milioni, il taglio dei costi è avvenuto tramite una significativa riduzione del personale – passato in un solo anno da 1.200 a 750 unità – e la chiusura di centinaia di negozi a livello internazionale.
| Anno | Ricavi | Perdite | Numero dipendenti |
| 2024 | 296 mln € | 66,5 mln € | 1.200 |
| 2025 (sem.1) | 279 mln € | 37 mln € | 750 |
La razionalizzazione organizzativa prevede inoltre la creazione, a partire dal prossimo anno, di sette società operative distinte: una strategia che, secondo l’azienda, mira a ottimizzare i processi ma che per i sindacati rischia di frammentare ulteriormente la forza lavoro.
L’esito della mobilitazione e il sostegno raccolto tra i dipendenti restituiscono un quadro nel quale la continuità produttiva e la coesione delle maestranze rimangono elementi centrali per le strategie future del gruppo trevigiano. Lo scenario che si configura presenta diverse prospettive: