L'economia italiana si trova in una fase di incertezza: il Pil ristagna mentre l'export soffre le tensioni globali. Nonostante ciò, investimenti e fiducia delle imprese mostrano segnali di ripresa, tra sfide e opportunità.
L’economia italiana si trova oggi ad affrontare una fase complessa, secondo quanto riportato dalle ultime analisi di Confindustria. La crescita del Prodotto Interno Lordo appare stagnante, mentre l’export sconta gli effetti di tensioni commerciali e geopolitiche. A fronte di queste criticità, alcuni indicatori come la fiducia delle imprese e gli investimenti mostrano comunque segnali di recupero, suggerendo una resilienza del tessuto produttivo. L’insieme di questi fattori delinea un quadro articolato, in cui forze ostative e opportunità di rilancio coesistono, complicando le previsioni sia a breve che a medio termine.
Secondo Confindustria, la dinamica del Pil italiano negli ultimi trimestri evidenzia una fase di sostanziale stagnazione. Dopo una lieve crescita nei primi tre mesi del 2025 (+0,4% rispetto all’anno precedente), il secondo trimestre ha mostrato una variazione nulla rispetto ai tre mesi precedenti (-0,1%), secondo i dati Istat. La quota di imprese che prevede un’espansione resta contenuta, bilanciata da una larga porzione che immagina stabilità piuttosto che crescita.
Le cause della bassa crescita vanno ricercate principalmente in:
| Indicatore | Variazione 2025 (primi due trimestri) |
| Pil | +0,5% (rispetto al 2024) |
| Deficit/Pil | 2% (calo da 3,8% del 2024) |
La stabilità del deficit e il lieve miglioramento fiscale sono elementi rassicuranti, ma non bastano da soli a invertire la tendenza di crescita debole. Il rischio di una prolungata stagnazione della produttività e della domanda interna rappresenta dunque un nodo da sciogliere per rilanciare la traiettoria economica nazionale.
Le esportazioni italiane si trovano oggi ad affrontare un contesto particolarmente sfidante. I dati mostrano una flessione delle esportazioni extra-UE, influenzata sia dall’effetto delle guerre commerciali sia da una barriera totale all’export verso gli Stati Uniti che ha superato il 20% a seguito dell’introduzione dei nuovi dazi americani e della svalutazione del dollaro.
La pressione dei dazi statunitensi e la fragilità degli scambi intra-europei riducono i margini di manovra per le imprese esportatrici. Inoltre, il conflitto Israele-Iran dell’anno in corso ha risollevato i prezzi dell’energia, aggiungendo costi competitivi ai produttori italiani e vanificando parzialmente i vantaggi derivanti dal cambio favorevole euro-dollaro.
I rischi che impattano sull’export italiano sono molteplici:
La corsa dei prezzi energetici rappresenta una delle principali criticità per la competitività delle imprese italiane nel panorama internazionale. Il costo del gas in Europa è tornato a salire nel 2025 (fino a 50 euro/mwh), e nonostante l’Italia abbia ridotto drasticamente la dipendenza dal gas russo grazie alla diversificazione dei fornitori e alla riduzione dei consumi, il rincaro si trasferisce immediatamente sui prezzi dell’elettricità: il PUN (Prezzo Unico Nazionale) è aumentato quasi del 58% in un anno e rimane significativamente superiore rispetto a Germania, Francia e Spagna.
La bolletta energetica italiana, storicamente più alta rispetto agli altri principali paesi UE, si traduce in un vantaggio competitivo negativo per le aziende manifatturiere, soprattutto nei settori ad alta intensità energetica come chimica, carta, metallurgia e minerali non metalliferi. Secondo il Centro Studi di Confindustria, l'incidenza dei costi energetici sui costi di produzione potrebbe avvicinarsi, solo nel 2022, all’8,8%, molto più alta rispetto a Francia e Germania.
Nonostante il contesto di Pil fermo e difficoltà sull’export, si registrano segnali positivi sul fronte della fiducia e degli investimenti. Le ultime rilevazioni condotte da Confindustria tra gennaio e luglio 2025 evidenziano un lieve miglioramento delle aspettative produttive. Oltre la metà degli industriali prevede una crescita moderata della produzione, e si riduce la quota degli “ottimisti prudenti”.
La ripresa della fiducia si riflette anche negli investimenti delle imprese, in particolare:
Il mercato del lavoro negli ultimi anni ha mostrato segni di miglioramento, nonostante la crescita modesta dell’occupazione e la presenza di fenomeni come il “labor hoarding”, ovvero la tendenza delle imprese a trattenere forza lavoro anche in presenza di cali produttivi, per evitare difficoltà di reperimento futuro e accompagnare la trasformazione produttiva. Circa il 35% delle grandi aziende dichiara di mantenere una forza lavoro stabile per queste ragioni, mentre la cassa integrazione resta uno strumento diffuso per gestire gli esuberi temporanei.
I salari reali dal 2000 al 2020 sono cresciuti del 24,3%, a fronte di una produttività aumentata del 22,6%. Tuttavia, la crescita dei salari è risultata superiore a Germania e Spagna, ma inferiore alla crescita della produttività registrata in questi paesi. Questo equilibrio ha comportato una contrazione dei margini di profitto nel manifatturiero italiano, spesso al di sotto della media dell’Eurozona.
| Fattore | Italia | Germania | Francia |
| Aumento salari reali (2000-2020) | +24,3% | inferiore | simile |
| Aumento produttività | +22,6% | molto più alto | simile |
Le prospettive a breve vedono un recupero del potere d’acquisto dei salari, grazie ai rinnovi contrattuali e a una moderazione dell’inflazione, ma il rischio resta quello di una crescita salariale non accompagnata dall’innalzamento della produttività. La carenza di personale qualificato, infine, rimane un ostacolo strutturale che potrebbe rallentare la transizione verso settori a maggiore valore aggiunto.
Secondo la visione di Confindustria, l’economia italiana si trova in una fase di equilibrio precario, caratterizzata da lati positivi come la tenuta degli investimenti, l’aumento della fiducia degli imprenditori e il miglioramento del saldo fiscale, ma anche da limiti strutturali ancora irrisolti.
Le prospettive per i prossimi mesi sono condizionate dalla necessità di approfondire strategie che integrino sostenibilità, digitalizzazione ed efficienza energetica. Sarà essenziale: